Ho letto la proposta di legge regionale dell’associazione Luca Coscioni sull’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito e la delibera n. 12 del 22 febbraio 2023 dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna sull’ammissibilità della proposta di legge (ritenuta ammissibile con alcune rilevanti criticità indicate al paragrafo 12 che però paiono ritenute non impeditive di una sua approvazione nel testo integrale). Sia la relazione dell’associazione sia l’art. 1 del testo di legge regionale sono chiarissimi nel configurare un vero e proprio diritto soggettivo assoluto al suicidio assistito e un corrispondente dovere della struttura sanitaria pubblica di dare attuazione a questo diritto.

L’intento finale è quello di equiparare l’assistenza al suicidio assistito a una qualsiasi altra prestazione sanitaria (si legge nella relazione: «È superfluo inoltre soffermarsi sulla scelta di aver considerato il percorso di accesso al suicidio assistito, alla stregua di altre prestazioni sanitarie»), senza che la scelta suicidaria possa venire “impantanata” dalla necessità di rispettare procedimenti amministrativi e burocratici.
Se mai potessero esserci dubbi sul chiaro intento di assicurare il dovere delle strutture sanitarie di accompagnare i pazienti che intendano suicidarsi basti leggere la conclusione della relazione: «E su questo vale chiarire la considerazione che in fondo lo scopo della legge è assicurare alle persone in condizioni corrispondenti al giudicato costituzionale, a seguito del parere dei comitati etici sulle condizioni e modalità, ad avere piena assistenza e presa in carico del Servizio Sanitario Regionale nella procedura anche di auto somministrazione del farmaco…». Ora, la legge regionale non può disciplinare le modalità attuative di un diritto al suicidio assistito, laddove la legge nazionale è chiarissima nell’affermare che non esiste un diritto al suicidio assistito, perché ciò equivale a ipotizzare una legge regionale che, a parte il dubbio sulla competenza della Regione in simili materie, si pone in contrasto coi principi fondamentali dell’ordinamento che la Regione è obbligata a rispettare nel caso di legislazione concorrente (art. 117, comma 3 Cost.).

L’inviolabilità del diritto alla vita

La sentenza della Corte Costituzionale 22 novembre 2019, n. 242 si è limitata a escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio in presenza delle condizioni che si sono viste, ma ha chiarito che a ciò non corrisponde l’introduzione di un diritto al suicidio da parte del paziente e tanto meno l’introduzione di un dovere del medico a dare esecuzione al proposito suicidario. Si introduce quindi solo la facoltà per il medico di aderire o meno a tale proposito. La legislazione oggi in vigore non consente trattamenti diretti non già a eliminare la sofferenza del paziente, ma a determinare la morte. E questo costituisce un principio fondamentale che è espressione del principio fondamentale della inviolabilità del diritto alla vita.
Non esiste nella nostra legislazione nazionale né un diritto al suicidio assistito né un obbligo del personale medico di dare esecuzione e assistenza alla richiesta di aiuto al suicidio da parte del paziente e quindi non può la legislazione regionale introdurre un tale diritto e correlativi obblighi del personale medico.

La sentenza della Corte Costituzionale nel 2022

Tali concetti sono stati ribaditi dalla Corte Costituzionale, con la sentenza 2 marzo 2022, n. 50 la quale ha giudicato inammissibile il referendum sulla abrogazione parziale dell’art. 579 c.p. sull’omicidio del consenziente in quando l’abrogazione proposta avrebbe reso penalmente lecita l’uccisione di una persona con il semplice consenso della stessa, così sancendo la piena disponibilità della vita da parte di chiunque sia in grado di prestare un valido consenso alla propria morte, senza alcun riferimento limitativo.

La sentenza è importante perché, dopo la precisazione che non esiste un diritto alla morte espresso dalla di poco precedente C. Cost. 22 novembre 2019, n. 242, ha chiarito che il diritto alla vita è da iscriversi tra i diritti inviolabili, in quanto appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana ed è anzi il primo dei diritti inviolabili dell’uomo in quanto presupposto per l’esercizio di tutti gli altri. Il progetto di legge regionale – lo si ribadisce – si pone in contrasto con questi valori supremi. Dal diritto alla vita discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo, non quello – opposto – di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire. Alla luce di tutto ciò, la libertà di autodeterminazione non può mai prevalere incondizionatamente sulle ragioni di tutela del medesimo bene.

Non a caso esiste a livello nazionale una proposta di legge su “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita”, da ultimo presentata il 10 maggio 2021 (Relatore Bazoli) il quale prevede un vero e proprio diritto a richiedere assistenza medica, con il supporto del Servizio Sanitario Nazionale, per porre fine volontariamente e autonomamente alla propria vita. Si tratta però di un disegno di legge mai approvato con legge nazionale e quindi non è pensabile che la Regione si sostituisca allo Stato. Ne consegue che, a mio avviso, neppure sussiste competenza legislativa della Regione in materia, in quanto il comma 3 dell’art. 117 Cost., attribuisce competenza legislativa concorrente alla Regione in materia di “tutela della salute”, ma si capisce bene che, se in Italia non esiste un diritto al suicidio, prevedere l’obbligo di prestazioni sanitarie per attuare ipotesi suicidarie costituisce l’esatto contrario della tutela della salute. L’inesistenza di un diritto a morire o di un diritto al suicidio assistito implica che, ove si volesse introdurre un tale diritto nel nostro ordinamento, esso sarebbe di esclusiva competenza dello Stato, a cui compete potestà legislativa esclusiva sulla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (nel caso di specie sanitarie) concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, comma 2, lett. m).

Il parere dell’Assemblea regionale

In parte di questo pare dare atto l’Assemblea legislativa della Regione al paragrafo 12 della delibera n. 12 del 22 febbraio 2023, laddove coglie che il progetto di legge regionale pretenderebbe di introdurre un vero e proprio obbligo della struttura sanitaria di accompagnare il paziente al suicidio richiesto, laddove tutt’al più di potrebbe ipotizzare un obbligo della struttura sanitaria di accertare le condizioni per la non punibilità dell’attuazione del proposito suicidario. Poi però quella delibera finisce col ritenere ammissibile l’intero progetto di legge in quanto non in contrasto con la Costituzione (si veda il rimando al paragrafo 8 delle medesima delibera), laddove invece si è spiegato il contrasto addirittura coi principi fondamentali del nostro ordinamento (anzi col più fondamentale dei principi che è la tutela della vita umana). Non si tratta quindi di lavorare su modifiche o limitazioni al testo del disegno di legge, ma di affermare chiaramente il divieto per la Regione di riconoscere un diritto al suicidio assistito e un corrispondente obbligo della struttura sanitaria di accompagnare il paziente alla realizzazione del proposito suicidario e ancor prima il divieto di legiferare sul tema, di competenza esclusiva del legislatore nazionale, in presenza di una legislazione nazionale che tutela la vita come bene indisponibile, non riconosce il diritto al suicidio, ma solo la non punibilità di chi realizzi un proposito suicidario in presenza di condizioni rigorosamente fissate dalla Corte Costituzionale.

Paolo Bontempi