“Parlami di Adriano”, la storia dell’imprenditore delle macchine per scrivere e da calcolo, esordirà venerdì 5 maggio, al Teatro dei Sozofili di Modigliana.
Narrata da Antonio Spino, con la sottolineatura ritmico sonora del pandeiro di Bubi Staffa, la vita di Adriano Olivetti si dipanerà fra le anguste parentesi delle due guerre mondiali, in quella prima metà del “secolo breve” (dove è accaduto di tutto), fino alla morte del protagonista, avvenuta in pieno boom economico.
“È bastato che raccontassi loro il mio progetto – commenta il narratore Antonio Spino, e subito hanno aderito con entusiasmo. Sto parlando delle associazioni modiglianesi, in primis la Pro Loco, che ha poi contagiato tutte le altre: Protezione Civile, Moto Club, Associazione Mazziniana, Associazione Alpini e Consulta Giovani.
Una cordata di volontariato, che ha messo a disposizione della mia idea teatrale dei veri e propri produttori esecutivi, una solida capacità logistica e burocratica, a testimonianza di una comunità concreta, in quanto attiva e generatrice di progetti.”
“Mi piace definirlo ‘monologo-cattedrale’ – continua Spino – vista la maestosità della sua struttura. Ha richiesto anni di ricerca sprofondata nei file dell’Archivio Storico Olivetti, della Fondazione Adriano Olivetti (la quale pubblica tutto ciò che fa, rendendolo pure scaricabile) e fra i libri delle rinate Edizioni di Comunità.”
“Bubi Staffa ha sviscerato il potenziale espressivo del pandeiro, rivelandone la nascosta virtù evocativa, mentre io mi sono occupato di verbalizzare i suoni: un processo contrario alla pratica, ma per me, risultato efficace.”
“Un lavoro mastodontico, per approfondire, ricostruire e promuovere i grandi valori dell’ingegnere Olivetti e le sue concezioni di fabbrica a responsabilità sociale (qualcuno la definirà persino la “fabbrica del bene”), che intendeva utilizzare come punto di partenza per arrivare alla realizzazione di una società a “misura d’uomo”, in armonia con i principi espressi dalla nostra Costituzione.
Si trattava, per Adriano, di fare della necessità di fabbrica, quindi del bisogno di lavoro, virtù del territorio. Perché dalla fabbrica può e deve fiorire una comunità concreta, operante per il benessere sociale il quale la promuoverebbe, così, a comunità di destino, comunità di cura e, in fine, comunità educante.”
La narrazione segue una cronologia storico-biografica, con rivelazioni improvvise, inaspettate apparizioni e con una struttura a tragedia. Quindi con un suo prologo: vera e propria proposta d’accordo con lo spettatore; un episodio: con una sua peculiare linearità intrecciata; e un tragico epilogo: che inizia e si esaurisce nell’Italia del boom economico, dopo che Adriano era riuscito ad essere stato un vero protagonista dell’innovazione e della ricostruzione.
Già agli inizi degli anni trenta, sulle orme del padre Camillo, l’ingegnere Adriano provvederà servizi sociali (asili nido, scuole materne, istituti superiori, centri comunitari, strutture e interventi sanitari); progetterà opere architettoniche (quartieri abitativi per i suoi operai); finanzierà interi piani regolatori (Valle d’Aosta, Ivrea, Matera); formulerà proposte culturali, editoriali, politiche (il Movimento Comunità); nonché biblioteche (famosissima quella interna alla sua fabbrica).
Ovvio, tutto questo attirerà invidie feroci e malevolenze spietate.
Vittorio Valletta arriverà a definirlo “un pericoloso bolscevico!” e additerà l’Olivetti come “un covo di comunisti!”. Per non parlare dell’opposizioni dei sindacati, dei grandi partiti di massa italiani e, soprattutto, della Confindustria. Tutti contro l’ingegnere Olivetti.
Ma Adriano continuerà imperterrito ad agire guidato dalla morale della dignità umana e dall’etica del progresso. Perché lui era un rivoluzionario, non gestibile, imprevedibile: addirittura, figlio di padre ebreo, ma battezzato valdese come la madre, deciderà pure di farsi ribatezzare cattolico, convertendosi così alla Chiesa di Roma. Un rivoluzionario che pagava i suoi operai fino all’80% in più rispetto alle altre aziende metalmeccaniche. Lui, che pagava gli studi universitari agli operai che desideravano laurearsi.
Coronerà la sua esistenza con successi innegabili: da leader mondiale della produzione di macchine per scrivere e da calcolo, fino all’ELEA 9003: l’elaboratore elettronico moderno; e, da questo, la Programma 101: primo personal computer della storia.
“Ritengo che la vita di Adriano Olivetti sia stata una reazione morale ed etica nei confronti dell’assurdità del reale, dove non solo l’uomo è lupo dell’uomo ma è pure talmente stupido da trasformare le fabbriche in matrigne malvage anziché madri premurose.”
“Parlare dell’ingegnere Olivetti vuol dire parlare di lavoro, di sociale, del bene, della dignità, del diritto, dell’etica e della morale, della competenza e della rappresentanza. Tutti grandi temi che stanno alla base di un unico illuminato tentativo: quello di costruire quella società a misura d’uomo, dove l’individuo si eleva a persona libera, consapevole, e operante per il bene di tutta la comunità.”
E Adriano – conclude Spino – l’inguaribile “umanista dei tempi moderni”, è innegabilmente riuscito a dimostrare che tutto ciò è possibile.”