Chiariamo subito che si tratta di un film come semplice commedia all’italiana, senza pretese culturali, destinata all’intrattenimento d’evasione, sul tema della famiglia oggi. Vorrei partire tuttavia da Tre di troppo, film di Fabio De Luigi con Virginia Raffaele, per considerazioni esistenziali, senza facili moralismi o, al contrario, dissertazioni speculative, per il soggetto interessante su cui è costruito con brio la trama. È la storia di una giovane coppia di sposi, che non vuole avere figli e guarda, con compatimento, gli amici presi dal peso della presenza dei bambini nella loro vita. È il facile sogno dell’eterno desiderio di una prolungata giovinezza, in libertà, come un ballo sfrenato, giocoso, senza fine. Ma da sempre sappiamo che “Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura”… ci avverte Dante con i celeberrimi versi d’inizio della Commedia. Per quanto si procrastini, prima o poi ci attende il giro di boa.
L’idea del film è di far cadere i due protagonisti in un incubo, forse per un senso di colpa per la mancanza di figli, un incubo che sembra scatenato da una maledizione punitiva. Le paure ataviche e inconsce forse hanno radice nel senso doloroso di sentirci misteriosamente “abbandonati”, così ben descritto in capolavori della letteratura, come La peste di Camus, La montagna incantata di Thomas Mann e il celebre Aspettando Godot di Samuel Beckett. A livello filosofico già nel 1927, Martin Heidegger, con Essere e tempo dipingeva la condizione umana come essere gettati nel mondo, alla ricerca di un senso.
Aprendo la Bibbia, il racconto della tentazione di Adamo ed Eva fa leva, con divieti e limiti, a un allontanamento di Dio: «Dio vi lascia soli, tiene per sé soltanto, i frutti dell’albero del bene e del male. Dovete arrangiarvi. Cercate un risarcimento…». Il senso dell’abbandono scorre anche tra le innervature delle preghiere salmodiche e dà spessore ai lamenti biblici. Come non ricordare il salmo 21, gridato da Gesù sulla croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». La Chiesa ha rinnovato la dicitura della preghiera del Padre Nostro, con una più aderente ed esistenziale traduzione: «Non abbandonarci alla tentazione». S. Ilario commenta: «Non abbandonarci …fino in fondo… non allontanarti …del tutto».
L’immagine antropologica del senso dell’abbandono la si trova al momento dell’allattamento e dello svezzamento del bambino. Se rimanesse sempre attaccato al seno della madre, sarebbe al sicuro, ma non imparerebbe a… “giocare” … “a giocarsi la vita” … “a mettersi in gioco”. Se la mamma si allontana temporaneamente, o finge, dal bambino è perché vuole rafforzarne il coraggio, portarlo appunto a inventare il gioco, con la crescita dell’autostima, nel momento del vero o simulato “abbandono”, più che con le continue e asfissianti coccole. Una fiducia che sottintende la speranza ben risposta sul figlio. Così nella Bibbia, Dio si comporta con le “prove” verso l’uomo. Chi invece conserva inconsciamente le ferite, magari infantili, dal sentirsi abbandonati cercherà sempre le compensazioni. Marco e Giulia, tornando alla storiella del film Tre di troppo, si trovano a vedere smascherati i bisogni latenti, le consolidate paure, nate chissà dal fatto di essere abbandonati e falliti.
La bella strategia del film è che sono tre immaginari bambini, i loro figli nel sogno, a essere specchio dell’inconscio dei genitori. La paura di perdere l’affetto, la paura di non essere all’altezza della situazione, come il non ricordare i nomi, la paura di ‘tuffarsi’ nella vita per la propria disistima. E la paura di fuggire invece che affrontare i propri nodi interiori. E saranno proprio i bambini immaginari a salvare la coppia. Che alla fine del film passa ad adottare tre bambini. Provate a immaginare che volto avranno questi tre bambini adottati nella realtà?
Al termine di queste pennellate, vorrei evocare Il Colombre significativo racconto di Dino Buzzati. Si narra che il vecchio marinaio consiglia il figlio di essere attento al mostro del mare e quindi per tutta la vita fugge… fugge… finché, ormai vecchio, inverte la rotta e affronta il mostro. Il gigante del mare allora spalanca la bocca per regalargli una magnifica perla. Per questo lo aveva sempre inseguito.
Dante Albonetti