Quei banchi vuoti nelle nostre chiese danno da pensare a tutti. Dove sono i giovani, soprattutto dopo la pandemia? In cosa credono? Torneranno a vivere un’esperienza ecclesiale? E come la Chiesa può parlare loro? Sono domande alle quali, domenica scorsa in Seminario a Faenza, ha tentato di dare risposta Paola Bignardi, ex presidente nazionale di Azione Cattolica e autrice di “Metamorfosi del Credere. Accogliere nei giovani un futuro inatteso” (Queriniana edizioni) nell’incontro organizzato dall’Ac di Faenza. Il libro è frutto di dieci anni di ricerche e interviste a giovani di tutta Italia nell’ambito dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo di cui è stata coordinatrice. «Un mondo inedito e inesplorato», scrive Bignardi che guarda al futuro di tutta la Chiesa. Critica ma tutt’altro che pessimista.
Nuove generazioni, il futuro incerto, ma la famiglia resta punto di riferimento
«C’è un nuovo modo di essere uomini e donne, diverso rispetto alle generazioni passate, in parte collegato all’uso della tecnologia – spiega Bignardi –. Questo ha influito sul senso che i giovani hanno di sé, sull’idea del valore della loro vita e della responsabilità». Il risvolto concreto, prosegue la pedagogista, è l’aumento della distanza tra le generazioni «che oggi pare vadano a velocità diverse». Al centro di questo cambiamento epocale c’è il tema delle relazioni che per molti giovani sono strettamente connesse al senso della vita: «Noi abbiamo bisogno degli altri – ha detto una delle ragazze intervistate dalla Bignardi – perché non ci si può trovare sopra un abisso senza nessuno che ti regga». La notizia è che tra tutte le relazioni quelle di riferimento per i giovani sono quelle familiari, in primis quella della mamma: «Questo dice che la famiglia è ancora un punto di riferimento». In un tempo complesso nel quale l’orizzonte temporale dei ragazzi non riesce a estendersi oltre il presente: i due terzi dei giovani intervistati nelle ricerche che hanno portato al libro vede il futuro incerto e pieno di minacce. «Via via che spariscono le motivazioni di fede, aumentano le domande di senso».
Giovani increduli?
I dati della frequenza alla Messa e di quanti, tra i giovani, si definiscono cattolici sono in netto calo (vedi sotto). «Ma questi dati – spiega la docente – non parlano della fede dei giovani, ma della «speranza di vita delle comunità cristiane». Essere credenti non significa solo andare a Messa la domenica, tuttavia molti dei ragazzi intervistati lo credono. Ed è proprio da qui che si potrebbe ripartire: «Nella maggior parte dei giovani che ho intervistato c’è una grande nostalgia dell’esperienza ecclesiale e credente». Gli ostacoli sono in due realtà che paradossalmente dovrebbero avvicinarli a Dio: la Chiesa e l’esperienza che hanno avuto da ragazzi della catechesi, spiegano. «La comunità cristiana a volte non permette di vivere quell’esperienza di relazioni di cui i giovani hanno estremo bisogno», aggiunge la Bignardi. E in generale rifiutano il modo perentorio con cui vengono proposti i suoi insegnamenti, senza dialogo e ascolto». Sessualità e, negli ultimi anni, soprattutto omosessualità: questi gli scogli sui quali si arenano i giovani nel rapporto con la Chiesa.
Cosa fare, dunque? “Spesso le nostre comunità non curano le persone, ma gestiscono le iniziative”
«Credo che su alcuni temi i giovani abbiano ragione – dice Bignardi – e che nella Chiesa serva una grande conversione». L’abbandono da parte dei giovani spesso avviene in due passaggi critici. «La terza superiore e il passaggio all’università – specifica –. Se in questa fase alle domande dei ragazzi non c’è qualcuno accanto che dà una risposta, il rischio è che si costruiscano una religiosità tutta loro». Occorre andarli a cercare, i giovani. «Le comunità cristiane non conoscono quelli che se ne sono andati. Un figlio se ne va di casa e tu non lo vai a cercare? Il problema è che spesso le nostre comunità non curano le persone ma gestiscono iniziative». Come modulare l’esperienza ecclesiale in modo che possa essere in dialogo con tutte le dimensioni della vita dei giovani: senso di sé, posto delle emozioni, domande di senso, relazioni? «Per loro la fede può nascere solo da un rapporto personale. I giovani si chiedono se Dio può essere un tu, e stare in relazione con me. La sfida è passare da una sensibilità generica, a dare un nome a questa sensibilità, Gesù Cristo». Se ci si arriva, ci si arriva dentro questo percorso, non a prescindere. «Credo che i giovani con la loro protesta silenziosa, che consiste nell’andarsene, cerchino una fede più autentica e più personale». Questa la sfida della Chiesa: «Il cuore non è il rito ma il messaggio di Dio da umanizzare e rendere contemporaneo». Non lo dobbiamo fare solo per i giovani, conclude: «non possiamo credere con una fede del passato. È necessario credere nella cultura di oggi. I giovani allora potrebbero essere i nostri ‘buoni samaritani’ capaci di farci recuperare un’esperienza di fede più evangelica e in sintonia con l’oggi. Non crediamo in una fede fuori dal tempo perché non possiamo essere persone fuori dal nostro tempo come Cristo era uomo del suo».
I dati. Meno 16% di credenti in 8 anni. La crisi delle donne
Se si considerano solo gli indici che definiscono l’idea tradizionale di quel che significa essere cristiani, i numeri sono impietosi, spiega Bignardi. «Tra il 2013 e il 2021 la percentuale dei giovani tra 18 e 30 anni che si definiscono di religione cattolica è scesa di 16 punti, passando dal 56% al 40%, con un crollo al 37% nell’anno del Covid. Gli atei sono passati dal 15 al 32%». Se questo è il dato generale, c’è un’inquietante differenza di genere: «La crisi di fede delle giovani donne è evidente – prosegue Bignardi -. In otto anni le credenti sono diminuite del 22% e le atee sono aumentate del 19%. Questo dice qualcosa della condizione della donna nelle comunità cristiane e del disagio che a volte vivono in esse». Anche per quel che riguarda la frequenza alla Messa e ai riti, la ricerca parla di un 70% circa di giovani che mettono piede in chiesa solo in occasioni particolari.
Daniela Verlicchi