Sul naufragio di Crotone alcuni interrogativi restano aperti. E’ possibile che non fossero individuabili in mare? Perché gli scafisti prendono il mare in condizioni difficili per i mezzi che hanno? Da dove provenivano questi “migranti”? Queste e altre domande dovrebbero spingere ad approfondire, prima di esprimersi o prima di voltarsi da un altra parte. Alcune risposte sono conosciute a chi si occupa di migrazioni (a chi voglia farlo seriamente non mancano i mezzi sui siti o tramite gli esperti missionari, Caritas e Migrantes ad esempio).

Don Ciotti: “Il mondo continua a essere diviso tra transatlantici e zattere”

Ai lettori penso sia utile leggere ciò che scrive don Ciotti con quel colpo d’ala che caratterizza chi ha le mani in pasta: “La tragedia avvenuta al largo delle coste calabresi ci dice che quella barca che dovrebbe farci sentire con-sorti, accomunati da una simile sorte, resta per ora una speranza: il mondo continua a essere diviso in transatlantici e zattere, benestanti e disperati, stanziali e migranti per forza. Sì perché bisognerebbe smetterla di chiamarle migrazioni: sono deportazioni indotte! Nessuno lascia di sua spontanea volontà gli affetti, la casa, affrontando viaggi rischiosi in mano a organizzazioni criminali e in balia degli eventi atmosferici. Lo fa solo perché costretto da un sistema economico intrinsecamente violento, sistema che colonizza, sfrutta e impoverisce vaste regioni del mondo. Lo fa perché l’Occidente globalizzato, in nome dell’idolo profitto, gli fa terra bruciata attorno offrendogli in alternativa sfruttamento se non schiavitù”. Così don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera e del Gruppo Abele, commenta il naufragio avvenuto sulle coste calabresi in provincia di Crotone nelle notte tra sabato e domenica.

L’essere umano come “carico residuale”

Il sacerdote denuncia “la silenziosa carneficina che si sta consumando da almeno trent’anni sotto gli occhi di un ricco Occidente che finge di non vedere e che, quando non può farlo perché le dimensioni della tragedia lo impedisce, si palleggia responsabilità per poi tornare, passato il clamore, alla sola attività che sembra davvero interessarlo: il conflitto per la gestione del potere. Gestione dalla quale sono derivate distinzioni ipocrite, disoneste, come quella tra ‘profugo’ e ‘migrante economico’ – come se la ferita economica e quella bellica avessero una diversa radice – o espressioni disumane come ‘carico residuale’, dove l’essere umano è equiparato una volta per tutte a merce, a valore di scambio”

(Pastorale migranti Diocesi di Faenza-Modigliana)

Foto Agensir