L’associazione Alzheimer Faenza con sede in via Cova a Faenza nella Residenza Sant’Umiltà è una di quelle rare realtà che si occupano dei più diseredati, dove la denominazione stessa fa paura o genera comunque inquietudine e voglia di starsene lontano. Fondata 22 anni fa da Emilia Montevecchi (nella foto mentre riceve il premio Mariposa, ndr), che ha profuso in quest’opera tutte le sue energie, istituendo la Palestra della Mente per gli ammalati e corsi di sostegno per i familiari, oggi ha come obiettivo fondamentale la raccolta fondi a sostegno della ricerca.

L’ultima raccolta è stata di 5mila euro, inviati alla Fondazione Iret di Ozzano Emilia, un “ente – come si legge nel sito – di ricerca scientifica in campo biomedico, dedicata allo studio delle malattie degenerative del sistema nervoso centrale. La ricerca ha lo scopo di individuare strategie innovative per contrastare il progredire di queste malattie, ripararne i danni, individuare le cause per prevenire la loro insorgenza. La ricerca è quindi di primaria importanza: non può esservi prevenzione e cura senza conoscenza.”

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Servono molti investimenti, serve il contributo anche dei privati e una piccola associazione come quella faentina ha fatto e fa molto. Sono pochi i componenti del gruppo, perché chi ha avuto familiari colpiti da questa malattia chiude la porta dietro di sé, per rimuovere gli anni, spesso tanti, di disagio e sofferenze.   Al posto di Alzheimer si preferisce l’eufemismo “disturbi, deterioramento cognitivo”, dove il termine dotto “cognitivo” distrae dalla gravità di questa malattia, che si presenta in tanti risvolti, può avere una durata lunghissima e coinvolge direttamente il gruppo familiare.

E sotto il profilo sociale la malattia è tanto più grave, perché la famiglia è diventata mononucleare da patriarcale che era, dove le donne svolgevano anche il lavoro di cura ai più deboli. L’ente pubblico se ne è assunto l’onere, istituendo i “Centri Disturbi Cognitivi e Demenze”, presenti in tutti gli ospedali della nostra Regione, ma il sistema sanitario è in affanno, stressato dalla pandemia, mentre l’inversione della piramide sociale (187 anziani ogni 100 giovani) mette a rischio anche il welfare.

Nel tessuto sociale intervengono allora le associazioni di volontariato, oggi quasi tutte appartenenti al Terzo Settore, numerose dove lo stare insieme è bello e per certi versi anche vantaggioso, ma sono poche e con pochi addetti, dove tocchi il nervo scoperto della sofferenza. La nostra gratitudine e, da parte di chi può, anche un aiuto a questi meritevoli volontari.

Iside Cimatti