In via Severoli a Faenza possiamo leggere una targa di epoca fascista che ricorda Tommaso Gulli e la sua nascita in quel palazzo. Gulli morì a Spalato l’11 luglio 1920 durante disordini scoppiati tra slavi e italiani. La sua morte fu il pretesto per l‘assalto a Trieste (città mistilingue e dove convivevano italiani, tedeschi e slavi) da parte delle forze nazional-fasciste dell’hotel Balkan, il cosiddetto Narodni Dom, sede delle associazioni culturali slave, slovene e croate. L’assalto e la distruzione degli altrui simboli culturali era purtroppo una deprecabile consuetudine in quei tempi così tormentati. A Innsbruck, il 3 novembre 1904 l’appena inaugurata facoltà universitaria di Giurisprudenza fu assaltata e distrutta da nazionalisti tedeschi. In quell’occasione, Alcide de Gasperi e Cesare Battisti furono imprigionati. Le violenze del 23 e 24 maggio 1915 a Trieste portarono all’assalto delle principali organizzazioni italiane, tra cui il giornale Il Piccolo. I mandanti erano probabilmente da ricercarsi nelle autorità asburgiche.
La fine della Prima Guerra Mondiale determinò l’annessione all’Italia di province mistilingui in Venezia Giulia, Istria e Dalmazia popolate da circa 500mila slavi. L’Italia, prima dell’avvento del Fascismo, aveva fatto solenni promesse tramite il re e suoi ministri di Governo, di rispettare la lingua, e la cultura delle minoranze nazionali. Tali promesse furono totalmente disattese dal Fascismo. L’assalto al Narodni Dom, recentemente restituito alla comunità slovena alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella fu l’inizio della politica fascista volta a privare le minoranze nazionali slave della loro cultura, a italianizzarne i nomi e i cognomi, a privarle della possibilità di usare la loro lingua madre, reprimendo con la massima durezza ogni forma di dissenso.
L’invasione italiana
La violenza fascista raggiunse il suo apice durante la Seconda guerra mondiale, quando l’esercito italiano invase e occupò parti della Slovenia, della Croazia e del Montenegro, macchiandosi di numerosi crimini di guerra e rendendosi responsabile della morte di molte migliaia di persone. Gli ordini dei generali Roatta e Robotti «testa per dente», e «Qua si ammazza troppo poco», e le frasi di Mussolini ai soldati di stanza in Jugoslavia «So che a casa vostra siete dei buoni padri di famiglia, ma qui voi non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori» furono purtroppo attuati.
I militari obbediscono, bruciano i villaggi (famosa è la strage di Podhum) e sparano ai civili, «anche per dimostrare l’efficienza del proprio reparto», spiega lo storico Brunello Mantelli. Nel luglio del 1942 un soldato toscano affida a una missiva la sua esperienza di guerra: «Abbiamo distrutto tutto da cima fondo, senza risparmiare gli innocenti. Uccidiamo intere famiglie ogni sera, picchiandole a morte o sparando contro di loro. Se cercano solo di muoversi, tiriamo senza pietà e chi muore muore». Nascono poi i campi di concentramento italiani per popolazione slava (Arbe, campo di Molat, Gonars, Renicci) dove perdono la vita molte persone.
L’inversione tra le parti
Il crollo del nazifascismo determina l’inversione dei ruoli: gli slavi diventano carnefici e gli italiani vittime. Per citare un conclamato antifascista come Gaetano Salvemini (che i fascisti chiamavano con disprezzo Slavemini): «Quando i comunisti jugoslavi, sotto il comando del maresciallo Tito, poterono pagare gli italiani con moneta propria sorpassarono la ferocia fascista in proporzioni spaventose. L’abisso invoca l’abisso».
L’istituzione del Giorno del Ricordo
Il 10 febbraio 2007, Giorgio Napolitano, al suo primo Giorno del Ricordo da presidente della Repubblica, riceve al Quirinale Franco Luxardo e Paolo Barbi in rappresentanza delle associazioni di esuli istriani, fiumani e dalmati. Nell’occasione il capo dello Stato pronuncia parole di grande coraggio rievocando quelle «miriadi di tragedie e di orrori» dirette a sradicare la presenza italiana «da quella che era e cessò di essere la Venezia Giulia» per «un disegno annessionistico slavo che prevalse innanzitutto nel trattato di pace del 1947 e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica». Napolitano tiene altresì a ricordare «l’imperdonabile orrore contro l’umanità costituito dalle foibe, ma egualmente l’odissea dell’esodo e del dolore e della fatica», così come la relativa «congiura del silenzio». A fronte della quale richiama all’assunzione di «responsabilità dell’aver negato, o teso a ignorare, la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e dell’averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali». Possiamo ricordare, oltre alle foibe, i 40 giorni di occupazione titina di Trieste nel 1945 (il motto Trst je naš del IX Corpus titino), caratterizzati da ogni forma di violenza sulla popolazione italiana. Vale la pena citare poi altri due tristi episodi.
Il martirio di Zara
Nel corso degli anni Quaranta, Zara, quando era ancora italiana, fu il capoluogo di provincia più colpito dalla guerra: l’85 per cento delle abitazioni fu distrutto o seriamente danneggiato e un decimo della popolazione fu ucciso nei bombardamenti, in esecuzioni sommarie, con l’annegamento o nei campi di concentramento. Ciò a seguito di una duplice occupazione straniera: dei nazisti tra il settembre ’43 e la fine di ottobre del ’44 e dopo il novembre del ’44 dei «liberatori», cioè dei partigiani comunisti jugoslavi. Secondo una fonte resistenziale, il prefetto di Padova Gavino Sabadin designato dal Comitato di liberazione nazionale, il conto definitivo degli uccisi fu di 11 fucilati dai tedeschi, 900 trucidati dai soldati di Tito; oltre duemila uomini e donne morirono poi sotto i 54 bombardamenti angloamericani (così massicci perché, su indicazione slava, la città era stata arbitrariamente identificata come un importantissimo centro logistico dell’esercito tedesco), 435 italiani furono infine deportati nei campi di prigionia jugoslavi.
La strage di Vergarolla
Il 18 agosto del 1946, la spiaggia di Vergarolla, a Pola, era particolarmente affollata. Dovevano tenersi infatti le gare di nuoto per la coppa Scarioni, organizzata dalla società nautica italiana Pietas julia. Poco dopo le due del pomeriggio, iniziò una serie di esplosioni a catena che devastarono l’area, uccidendo più di 100 persone e ferendone molte altre. A provocare la strage fu l’esplosione di materiale bellico disinnescato che, come fu chiarito in seguito, non era stata accidentale. Lo scoppio di Vergarolla segnò il momento in cui la maggior parte degli italiani in città capirono che l’esodo non era più rimandabile, e aprì altre pagine dolorose della storia del confine a nord-est, rese ancora più amare dal fatto che, dopo tutto questo tempo, la strage di Vergarolla è poco conosciuta e ricordata.
L’esodo
Seguirono la perdita dolorosissima dei territori della Venezia Giulia, Istria e Dalmazia in seguito al Trattato di Pace del 10 febbraio 1947 e la conseguente tragedia dell’esodo che costrinse circa 350mila italiani (Italiani con la I granda come direbbero in Veneto) ad abbondonare le loro terre case, e i loro cimiteri per non perdere la propria identità culturale. E’ emblematico e fondamentale il Museo C.R.P di Padriciano alle porte di Trieste. Appare pertanto doverosa una riflessione circa il mantenimento delle onorificenze attribuite in Italia al maresciallo Tito.
È da auspicare il riconoscimento reciproco dei torti subiti porti a una pacifica cooperazione tra italiani e slavi nell’ambito dell’integrazione europea.
Gli italiani dei territori orientali
E’ poi credo necessario ricordare il grande contributo dato alla Cultura italiana da parte degli abitanti dei territori orientali, fra i quali senza pretesa di completezza si possono citare:
– ANDREA MELDOLLA, detto lo Schiavone, pittore e incisore del 500 nato probabilmente a Zara da genitori di origine romagnola. Le opere di Andrea Schiavone si imposero come novità assoluta con un linguaggio pittorico innovativo ed enigmatico, affascinante e moderno, tanto da essere ammirato da Carracci, Tintoretto e da El Greco. Il suo modo di trattare il colore non aveva precedenti neanche nell´opera di Tiziano. Colori, luci ed ombre dosate con maestria in tutti i suoi dipinti, lo rendono un pittore innovatore, geniale e creativo. Precursore del Manierismo, inteso come sperimentazione di un nuovo linguaggio pittorico contrappone il suo stile innovativo all´equilibrio formale della tradizione classica Rinascimentale.
– GIORGIO DA SEBENICO, Scultore e architetto (Sebenico 1440 circa – ivi 1475). Influenzato dalla scuola veneziana dei Buon e dei Dalle Masegne, interpretò in maniera originale il gotico. A Spalato (1444-48), tra le altre cose, costruì nella cattedrale la cappella di S. Anastasio, ricca di vivaci sculture, tra le quali la drammatica Flagellazione di Cristo dell’arca. Si recò poi a Zara (1451), di là a Venezia e infine ad Ancona (1454-59), dove costruì la Loggia dei mercanti, nelle forme del gotico fiammeggiante veneziano ma ornata da sculture che rivelano il passaggio dai modi gotici a quelli rinascimentali; lavorò anche alla porta di S. Francesco alle Scale, alla porta di S. Agostino (rimasta incompiuta alla sua morte) e a S. Chiara. Fu inoltre a Ragusa, a Pago e a Roma (1470).
– FRANCESCO LAURANA, Scultore, architetto, medaglista (n. Laurana – m. Avignone 1502 circa). Profondamente influenzato dall’arte di Piero della Francesca e Agostino di Duccio, si distinse soprattutto per gli eleganti busti femminili eseguiti alla corte aragonese di Napoli, caratterizzati da una sottile vibrazione luminosa, accordata all’astrazione formale. L. fu anche in Francia (1461-66), dove fra i primi diffuse il gusto rinascimentale italiano. La sua formazione non è stata ancora accertata, ma fu determinante a Rimini, dove probabilmente soggiornò, la conoscenza dell’arte di Piero della Francesca e la collaborazione con Agostino di Duccio nel Tempio Malatestiano.
– LUCIANO LAURANA, ARCHITETTO che il Il 20 febbr. 1478 sottoscriveva un contratto, come “Luciano da Zara Ingegnero habitatori di Pesaro” attivo a Milano, Mantova, Napoli e soprattutto a Urbino dove il Granduca Federico gli affidò la progettazione del Palazzo Ducale “elletto e deputato […] per Ingegnero e Capo di tutti li maestri” e lodandone le sue qualità nell’architettura
– GIOVANNI DA TRAÙ Scultore (n. Traù 1440 circa – m. dopo il 1509); si recò a Roma prima del 1464, e ivi collaborò con Mino da Fiesole all’altare della sagrestia di S. Marco e al sepolcro di Paolo II (frammenti nelle Grotte Vaticane), distinguendosi dal compagno per l’energia delle forme, la grandiosa concezione della scena, e il modo di sfaccettare i piani con spigoli acuti. Il suo stile si addolcisce nel sepolcro del cardinale B. Roverella in S. Clemente a Roma (1476-77), nel quale alcune parti spettano ad A. Bregno, pur rivelandovi G. una drammaticità immediata ed efficace e una libera interpretazione dello schema tradizionale del monumento. Fu poi in Ungheria (1481), a Venezia (busto di C. Zen, museo Correr) e ad Ancona (sepolcro del beato Girolamo Giannelli, 1509).
– RUGGIERO GIUSEPPE BOSCOVICH, (cui è dedicato un piazzale a Rimini), un grande scienziato cosmopolita del suo tempo Nato in Dalmazia da padre serbo, si formò e operò in Italia, dove fu tra i primi a promuovere la diffusione e la discussione critica del newtonianesimo. Nell’opera in cui espresse in maniera organica il suo pensiero filosofico e scientifico, la Philosophiae naturalis theoria redacta ad unicam legem virium in natura existentium (1758), tentò di ridurre tutte le forze della natura a un’unica legge. Molto noto e attivo anche fuori d’Italia, nonostante l’assenza di un’adeguata formalizzazione, le sue teorie fisiche avrebbero esercitato una certa influenza sulla scienza del 19° secolo.
– NICCOLÒ TOMMASEO scrittore (Sebenico 1802 – Firenze 1874); Figura tra le più significative e controverse dell’intellettualità cattolica italiana dell’Ottocento, diede prova delle sue non comuni facoltà. Alla lessicografia diede due opere importanti come il Nuovo dizionario de’ sinonimi della lingua italiana (1830), più volte rivisto e ristampato, e il grande Dizionario della lingua italiana (4 voll., in 8 parti, 1865-79; prime dispense nel 1861, dopo un saggio nel 1858).
Paolo Castellari
Bibliografia
– G. Salvemini, Il fascismo e le minoranze nazionali, in Scritti sul Fascismo;
– GULLI, Tomaso in “Enciclopedia Italiana” – Treccani;
– Università e nazionalismi: Innsbruck 1904 e l’assalto alla Facoltà di giurisprudenza italiana. Autori : Gehler M. (cur.) Pallaver G. (cur.) Editore: Fondaz. Museo Storico Trentino, 2010;
– Passato e Presente L’incendio del Narodni Dom di Trieste Rai Play a cura di Paolo Mieli e Guido Crainz;
– La Jugoslavia dell’orrore: quando i criminali di guerra erano gli italiani Repubblica Robinson 2021;
– BBC a Fascist Legacy. Ken Kirby https://www.youtube.com/watch?v=2IlB7IP4hys
– Il martirio di Zara italiana e la medaglia che non c’è di Paolo Mieli (Pubblicato il 23 marzo 2010 – © «Corriere della Sera»);
– Lucio Toth: Storia di Zara dalle origini ai giorni nostri.
– https://archivio.quirinale.it/aspr/audiovideo/AV-001-001245/presidente/giorgio-napolitano/intervento-del-presidente-della-repubblica-giorgio-napolitano-occasione-del-giorno-del-ricordo
– https://www.giorgioperlasca.it/trieste-i-40-giorni-del-terrore/
Per non dimenticare L’ultima spiaggia. Pola fra la strage di Vergarolla e l’esodo: Raiplay Regia: Alessandro Quadretti;
Per gli artisti e letterati ANDREA MELDOLLA, GIORGIO DA SEBENICO, FRANCESCO LAURANA, LUCIANO LAURANA, GIOVANNI DA TRAÙ, NICCOLÒ TOMMASEO, e RUGGIERO GIUSEPPE BOSCOVICH si può consultare “Enciclopedia Italiana” – Treccani