Il prossimo 13 febbraio 2023 cade l’anniversario dell’assalto fascista alla Casa del Popolo. Sono passati cento anni da quel tragico avvenimento che colpì il mondo cattolico locale e creò una vasta protesta a livello nazionale con gli interventi dell’onorevole Carlo Zucchini presso il Governo Mussolini, appena costituito, e del vescovo Vincenzo Bacchi che inviò telegrammi al cardinal Gasparri, segretario di Stato, al ministro degli Interni e a Mussolini stesso.

I Cattolici Democratici Popolari a Faenza erano una realtà politica, sociale, culturale, religiosa molto importante che nei primi decenni del secolo aveva profondamente inciso nella realtà sociale ed economica del territorio, creando strutture di sostegno alle classi più bisognose, cooperative in campo agricolo, Casse rurali, attività sportive e ricreative. Di questo impegno furono ispiratori mons. Francesco Lanzoni e Giovanni Taroni, importanti esponenti del clero locale, mentre i protagonisti politici e istituzionali furono il conte Carlo Zucchini e sul piano più strettamente politico Giuseppe Donati.

I popolari alla guida di Faenza e l’emergere dei fascisti. Primo segretario del fascio fu il prof. Piero Zama

Questo intenso lavoro di carattere sociale, sindacale, economico, aveva fatto guadagnare un consenso politico all’appena costituito Partito Popolare di don Sturzo, fondato nel 1919, manifestatosi in maniera consistente nelle elezioni del 1919, poi in quelle successive del 1920, che portarono alla guida del Comune una Giunta popolare guidata dal sindaco conte Antonio Zucchini. Questa presenza ebbe importanti riflessi in tutto il territorio e di fronte al nascente fascismo costituì un ostacolo all’affermarsi di questa nuova forza politica. Faenza rappresentava un caposaldo imprescindibile, addirittura una roccaforte del mondo cattolico democratico e popolare anche di grande prestigio. L’Amministrazione Zucchini operò con serietà, impegno, onestà nella guida della città e i riconoscimenti che le pervenivano consentivano sempre più di allargare il proprio consenso. L’associazionismo cattolico aveva rafforzato la propria presenza nelle campagne, a sostegno dei mezzadri, che non godevano di condizioni accettabili nei confronti della proprietà agraria, e aiutava le categorie produttive a sviluppare la propria presenza.

antonio zucchini sindaco
Antonio Zucchini.

Nel 1921 fu fondato il primo Fascio faentino e di questo divenne segretario il prof. Piero Zama, che dopo la fine della guerra era diventato presidente dei Combattenti, dei reduci che, insoddisfatti dei trattati di pace, reclamavano una più forte presenza e ruolo per chi aveva combattuto nella Grande Guerra e ora si trovavano in difficili condizioni economiche, ma anche privi di una rappresentanza politica e istituzionale. Il prof. Piero Zama, direttore della Biblioteca di Faenza, dipendente del Comune, assunse quasi naturalmente la guida del Fascio faentino proprio per i suoi trascorsi di combattente e di rappresentante dei reduci di guerra. Personalità di rilievo, uomo di cultura, aveva rapporti di carattere politico, di amicizia e di stima nelle gerarchie fasciste, sia provinciali che nazionali. Era riconosciuto uomo di grande spessore, apprezzato da Mussolini dal quale poteva essere ricevuto con grande facilità a Roma, amico di Dino Grandi, Italo Balbo e dei gerarchi che nei primi anni Venti ebbero un ruolo fondamentale per l’affermarsi del Partito fascista.

La presenza dei cattolici a Faenza rappresentava quindi per il nascente partito fascista un ostacolo da cancellare. Sul piano politico le tensioni furono, all’inizio degli anni venti molto forti, la stampa dell’una e dell’altra parte si occupò frequentemente dei conflitti e delle reciproche accuse tant’è che il settimanale del Partito Popolare Idea popolare rappresentò in quel tempo la voce dei cattolici democratici ed in particolare del Partito Popolare, mentre La Santa milizia, periodico provinciale, raccoglieva articoli di fascisti faentini e della provincia contro la Giunta popolare.

Non  ancora soddisfatto del risultato ottenuto, il fascismo faentino, forte della prepotenza di pochi e dell’ignavia di troppi, continuava la sua opera infangatrice, diffamatoria e persecutrice nei confronti dei popolari, “… mentre gli altri lasciavano la mafia bianca all’imbecille prete siciliano, le locali, poche superstiti carognette Miglioline-Sturziane si masturbavano in silenzio negli ideali della fedeltà e della disciplina a un partito che disonora vergognosamente l’Italia… avevamo ragione di chiamare i Zucchini i Zucconi, e i Zucchetti…, avevamo ragione di schiacciarli senza remissione alcuna come abbiamo fatto… di tenerli schiacciati ed oppressi…; guai a loro se osassero farsi vivi…; noi, fedeli alla disciplina e ai doveri che ci vengono dai nostri capi, daremo tangibile esempio del come si debba rendere omaggio alla religione cattolica…. Ma guai per le serve zuccone del P.P. …, se le vedessimo in cadreghino a far mostra di sé!”.

In quegli anni, e in particolare all’inizio del 1923, si fronteggiavano due forze politiche e due personalità che ne guidavano i percorsi. Da un lato la figura del conte Antonio Zucchini, sempre più protagonista della vita politica e amministrativa locale, persona mite, umile, di grande spessore religioso, fermissimo nei principi nei quali si riconosceva, quali quello della giustizia, della libertà, per i quali era disposto a sacrificare qualsiasi ambizione personale. La sua battaglia contro il fascismo nascente fu ferma al punto che, pur avendo ricevuto offese personali e un’aggressione nella Sala del Consiglio comunale, seppe misurare ogni sua reazione continuando il lavoro amministrativo. Sul fronte fascista il prof. Piero Zama, peraltro come si ricordava dipendente del Comune, ebbe un rapporto altalenante con il Sindaco Zucchini. Vi è un episodio significativo per capire la personalità dei due protagonisti quando, in occasione di una protesta politica contro l’amministrazione comunale, il prof. Piero Zama, allontanatosi dalla Biblioteca senza giustificazione alcuna, ricevette una sanzione di carattere economico di trattenuta sullo stipendio. Accortosi tuttavia, il 27 del mese, che non vi era stata alcuna trattenuta, andò personalmente dal sindaco a protestare e il colloquio si concluse per la mitezza di Zucchini.

Dalle parole agli attacchi diretti

facciata convento

Dagli episodi di modesto impatto polemico, si passò, proprio all’inizio del 1923 ad atti di vera e propria violenza da parte dei fascisti, dapprima il 12 gennaio 1923 nei confronti del parroco di Sant’Agostino mons. Giacomo Zannoni e del cappellano don Aldo Vernocchi, assistente degli scout, nel quale fu coinvolto anche il sindaco Zucchini  per aver concesso un locale all’associazione, poi la sera del 13 febbraio 1923 squadracce fasciste entrarono nel locale del Circolo Torricelli invadendolo, offendendo i presenti, colpendoli fisicamente e ferendoli. Lo stesso Antonio Zucchini sindaco, che si trovava nella sala di lettura, fu colpito ripetutamente e solo al termine di molte violenze e devastazioni si allontanarono. Va ricordato che gli assalitori erano quasi tutti provenienti dal circondario, non faentini, in gran parte provenienti da Ravenna, che da tempo premevano sul Fascio locale perché ponesse fine a questa supremazia “pipista”. Il comportamento del prof. Zama fu ambiguo, perché da un lato sembrò rimproverare e accusare di imbecillità i protagonisti della violenza, tuttavia non si sottrasse ad accusare i Popolari di cattiva amministrazione, di incapacità ad ascoltare i problemi dei cittadini, di indifferenza alla grave crisi che il Paese attraversava. Scriveva infatti: “In quel tardo pomeriggio, chiusa la Biblioteca, ero tranquillamente nel Fascio: appena avvertito, con la bicicletta arrivai in via Castellani; era già buio ormai: infilai la scala, mi trovai sulla soglia di una porta e davanti a me il buio di una stanza, anzi di una sala. Udendo la mia voce, ogni altra voce si spense: buio e silenzio di tomba. Feci qualche passo avanti dicendo: – Venite via subito, andate nel fascio. – Queste furono le precise parole.

Li precedetti subito con la bicicletta, e la predica fu breve: Voi con la vostra azione avete fatto quello che io farei ora gettando a terra questo vaso di ceramica. Avete rovinato l’opera che tentavo, cioè quella di giungere alla conquista con altri mezzi. Due di voi debbono assumere la responsabilità se si dovessero interessare i carabinieri. Dove sono i due?

Ahimè, si fecero avanti tutti. Nessuno accennò al dito né ad altri particolari. Avevano avuto a loro difesa il … buio. La faccenda del dito la conobbi da altri con versioni non concordanti e la intuii da un manifesto pipista, e quindi risposi io nella stampa, cioè ne L’Assalto con l’elzeviro firmato Io e col solito mio vizio: l’ironia esagerata.”

Quell’assalto e le violenze di quei mesi segnano uno spartiacque nella vita dei cattolici democratici e popolari perché seguirono le dimissioni del sindaco e della Giunta, la formazione di un’amministrazione dominata dai fascisti con sindaco l’avv. Bracchini (7 ottobre 1923). L’avv. Antonio Zucchini progressivamente si ritirò dalla vita politica, anche se mantenne ferma la sua posizione e linea antifascista, dedicandosi alla professione di avvocato, mentre il prof. Piero Zama, nel 1924, non condividendo più la linea nazionale che il fascismo aveva imboccato, dapprima presentò le dimissioni e la tessera allo stesso Benito Mussolini che le respinse, poi a Faenza lasciò il partito e la segreteria con l’intero direttivo del Fascio. Durante gli anni che seguirono non ebbe vita facile con i fascisti che lo rimproverarono di tradimento, si dedicò agli studi e alla direzione della Biblioteca. Antonio Zucchini attraversò il lungo tunnel della dittatura mantenendo un ruolo di guida morale dei cattolici democratici, per poi divenire esponente di primo piano, all’indomani della Liberazione, della Democrazia Cristiana.

Ricordare questo centenario è un dovere non solo per il mondo cattolico, ma per l’intera città di Faenza e al riguardo verrà organizzata una giornata dedicata alla memoria con interventi di esponenti politici locali e nazionali. Non dimenticare ed anche rendere omaggio ai protagonisti di quel tempo è un dovere al quale non dobbiamo sottrarci.

    Pietro Baccarini

presidente Centro studi Benigno Zaccagnini

Antonio Zucchini primo sindaco popolare

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Il 6 novembre 1920 si riunisce a Palazzo Manfredi il nuovo Consiglio e al primo scrutinio con 28 voti, viene letto Sindaco il Conte Antonio Zucchini. Dopo l’elezione della Giunta Comunale, nelle persone di Cavina Carlo, Bargossi Antonio, Pasi Giuseppe, Conte Zauli Naldi Rodolfo, Tini Vincenzo, effettivi, Beltrani Domenico, Marocci Raimondo, supplenti, prende la parola il neo Sindaco e pronuncia un discorso pieno di significati, umile nello stile, ma fermo nei principi e segna un netto cambiamento di metodo, di stile, rispetto alle forme pompose e auliche di quel mondo che è stato, a Faenza, definitivamente sconfitto.

Segna una svolta politica, perché i Cattolici, per la prima volta, dopo l’Unità d’Italia, guidano l’Amministrazione, dopo avere attivamente lavorato per oltre tre decenni per migliorare le condizioni delle classi più umili e bisognose, del mondo del lavoro, delle campagne, organizzando le Cooperative, le banche, i sindacati.

Nelle parole di Zucchini sono forti le considerazioni rivolte al bene pubblico, ai diritti dei cittadini, affermando che il Comune, con la sua amministrazione, avrebbe cessato di essere al servizio degli interessi della classe più ricca, volendo trovare il consenso nella massa dei cittadini, che chiama a una compartecipazione nella amministrazione. Trasparenza, rispetto delle leggi, responsabilità amministrativa sono concetti nuovi e chiaramente espressi. Infine in tempi così turbolenti non è senza significato la chiusura del suo discorso: “niente alla violenza, molto, tutto, anzi alla giustizia”. Così con questa prolusione Antonio, il figlio del grande pioniere Carlo, apre uno scenario politico che sarà chiuso dalla bruta violenza fascista.

“Signori Consiglieri avete voluto insistere nel designare me giovane e privo di un passato amministrativo all’alta carica di capo dell’Amministrazione cittadina.

Avete voluto passar sopra alle molteplici considerazioni che io ho proposto all’attenzione vostra nei trascorsi giorni per distogliervi da questo proposito.

È un grande immeritato onore quello che voi avete voluto rendere oggi alla mia modesta persona, un onore di cui non posso fare a meno di essere sensibile e per il significato di affettuosa stima che voi avete voluto ad esso attribuire, profondamente grato.

Tanto maggiormente io sono compreso dell’importanza dell’incarico che avete voluto affidarmi, in quanto che io sento che l’Amministrazione, che oggi inaugura i propri lavori, non è né può essere una delle vecchie amministrazioni tradizionali basate su una pressoché pacifica dittatura della classe cosiddetta dirigente.

Una nuova più giusta concezione della vita municipale per forza di eventi, per volontà decisa di popolo pure fra alternative di azioni e di reazioni, si è fatta strada nei passati anni, viene oggi facendosi strada.

Il Comune cessa di essere un feudo legato sia pure inconsapevolmente agli interessi della classe più ricca e di contro a nuove ideologie che lo vorrebbero strumento di una nuova e assai più violenta tirannide, il Comune trova la sua strada, risale sotto un certo aspetto le sue origini, ridiviene un’altra volta esempio meraviglioso di riviviscenza della storia, il Comune di tutte le classi, di tutte le categorie produttrici, il Comune glorioso delle arti”.