Guardare ai poveri con uno sguardo diverso, camminando assieme a loro, senza lasciare indietro nessuno. Dal 1° gennaio don Emanuele Casadio è direttore della Caritas diocesana, succedendo a don Marco Ferrini. Con lui approfondiamo le esperienze e i progetti che la Caritas sta portando avanti sul territorio, in un periodo che vede crescere ogni giorno criticità e difficoltà per tante famiglie.

Intervista a don Emanuele Casadio: “La sfida più grande? Andare oltre l’assistenzialismo”

Don Emanuele, come hai accolto la chiamata del vescovo Mario a direttore della Caritas?

È stato un cammino dove da due anni mi sono inserito gradualmente come vice direttore nella Caritas per conoscere bene le attività. Ringrazio il vescovo Mario per la fiducia che mi ha dato.

Quali sono stati i tuoi primi passi in Caritas?

Innanzitutto proseguire con i progetti che già sono stati avviati. In queste prime settimane abbiamo lavorato su un progetto legato all’accoglienza ucraini dove sono stati messi a disposizione dei fondi per recuperare le spese che si sostengono.

In questi anni quali sono state le esperienze più significative che hai vissuto?

Il Centro di ascolto e le Caritas parrocchiali sono palestre di vita. Sono stati anni importanti per entrare in relazione con gli operatori che svolgono un servizio importante e per capire come funzionano i progetti sul territorio. Le esperienze più belle sono state sicuramente i tanti momenti di incontro e confronto, così come le relazioni che si sono create con operatori e i volontari. Oltre a questo è stato molto importante portare avanti il progetto di animazione di Comunità iniziato da Damiano Cavina e da un gruppo di volontari e che si svolge nelle parrocchie. Ho imparato tanto da questi momenti di formazione e ho conosciuto le tante persone che operano nelle parrocchie e che sono preziose per il servizio che svolgono.

Papa Francesco dice che i poveri ci evangelizzano. In che modo questa espressione si fa concreta?

La Caritas testimonia il valore di guardare ai poveri con uno sguardo diverso. In loro, in qualche modo, posso vedere quella luce che il Signore mi mostra per il mio cammino. Al di là di tutto, è però sempre importante creare un bel legame di relazione con loro per cercare di andare in profondità nel proprio cammino di fede.

don Emanuele Casadio

Quale impronta vuoi dare alla tua direzione?

Penso sia importante lavorare bene in équipe. Ad esempio la progettazione che abbiamo costruito per il 2023 l’abbiamo condivisa e costruita insieme capendo quali erano le esigenze su cui investire. Per il futuro, una cosa che vorremmo fare è aprire un Emporio in centro a Faenza dove le persone bisognose possano prendere i prodotti di cui necessitano con un limite mensile.
Emergenza abitativa, caro bollette, solitudine delle persone. Queste sono solo alcune delle sfide che vi trovate ad affrontare ogni giorno.

Quali risposte date a queste criticità?

La sfida più importante è cercare di aiutare le persone in tutto, cercando di fare il possibile, ma a volte ci si deve fermare perché le risorse sono limitate e non dobbiamo sfociare in un’assistenza fine a se stessa.
Per questo siamo in rete con i servizi territoriali, dove c’è un confronto sulle persone che vengono in Caritas per costruire progetti insieme e capire come poterle aiutare al meglio. Noi ci mettiamo la nostra fetta di aiuto e risorse, ma è fondamentale avere un progetto a lungo termine sui poveri. Per fare questo stiamo facendo anche un percorso di formazione per ricentrare un po’ il nostro servizio in Caritas, per capire il senso del servizio che non sia solo assistenza o cose da fare, ma che ci sia qualcosa di più profondo tornando al cuore di un servizio e una donazione gratuita che è lo spirito di Caritas.

ucraine faenza
Famiglie ucraine accolte al monastero Santa Chiara di Faenza.

Citavi l’accoglienza dei profughi ucraini sul territorio. Come sta proseguendo?

Da subito con lo scoppio della guerra la Caritas, con l’aiuto della diocesi, ha messo a disposizione 50 posti nelle strutture di Santa Chiara e La Bersana per accogliere i profughi ucraini. Oltre a queste due strutture si sono animate anche alcune parrocchie del territorio della diocesi e alcuni privati che hanno accolto anche loro persone che scappavano dalla guerra. L’accoglienza emergenziale prosegue cercando di trovare soluzioni che possano rendere autonome il più possibile le ospiti. Abbiamo vissuto tante belle testimonianze vedendo queste persone preoccupate per aver lasciato la loro casa, ma anche riconoscenti dell’accoglienza ricevuta. Ci sono stati momenti complicati quando la mancanza di casa si fa sentire, soprattutto quando i bambini traumatizzati dalla guerra non dormono di notte e hanno paura di tante cose.

Come dialogare con le altre realtà del territorio? Quale “stile” può portare la Caritas nel mondo?

La Caritas deve essere la promotrice di collaborazioni sul territorio, cioè deve costruire progetti con altre realtà e sensibilizzare il proprio operato al di fuori del centro di Ascolto. Il Papa al cinquantesimo di Caritas Italiana ci ha donato tre vie che sono la Via degli ultimi, la via del vangelo e la via della Creatività questo perché per riuscire a capire come aiutare i poveri dobbiamo tornare alla radice della nostra fede grazie al Vangelo che ci guida il nostro cammino sempre. Ma soprattutto dobbiamo essere creativi nel trovare soluzioni verso il territorio della diocesi e dei comuni che ne fanno parte.

Samuele Marchi