È possibile tenere assieme responsabilità sociale d’impresa, soddisfazione e ricchezza di senso di vita dei suoi dipendenti, performance economica e competitività? Sarebbe molto ingenuo pensare che la realtà sia sempre un circolo virtuoso. Sappiamo tutti che non è così eppure i circoli virtuosi esistono. Le aziende nelle quali la soddisfazioni dei lavoratori è più elevata hanno anche una performance economica e finanziaria migliore. Un recente lavoro del team del prof. Leonardo Becchetti, professore ordinario di Economia politica presso l’Università di Roma Tor Vergata, sull’universo delle aziende italiane sopra i 250 addetti e un campione molto ampio e rappresentativo delle imprese tra 50 e 250, dimostra come le imprese che ritengono strategici il welfare aziendale e l’armonizzazione tra tempi di lavoro e famiglia nel rapporto coi dipendenti, la capacità di lavorare in team nell’assunzione di giovani dipendenti, il coinvolgimento dei portatori d’interesse e del territorio nelle iniziative di impegno sociale conseguono un valore aggiunto per addetto significativamente superiore.

La posta in gioco connessa alla soddisfazione e ricchezza di senso di vita di chi lavora nell’impresa è molto elevata. Negli sport di gruppo sappiamo molto bene quanto sia importante lo spirito di squadra dove ciascun giocatore dà l’anima per tutti gli altri. Semplificando, un lavoratore può dare 20 oppure 100 e si arriva al secondo caso solo quando le sue motivazioni sono elevate. L’esperienza di affiancamento dei manager e i risultati empirici sono concordi nell’indicare alcuni ingredienti fondamentali su cui lavorare per produrre questi risultati: partecipazione, fiducia, scambio di potenzialità e capacità di attivare meccanismi di responsabilizzazione dove i dipendenti diventano protagonisti del modello e lo trasmettono a loro volta. Fare qualcosa in più di quello che ci si aspetta sulla base del nostro ruolo diventa la chiave per stimolare gratitudine e reciprocità, costruendo relazioni di fiducia tra i membri di un’organizzazione.

Tutto questo fa capire molto chiaramente quanto sia miope pensare che il tema del benvivere nell’ambiente di lavoro si riduca a qualche euro in più in busta paga. Si tratta piuttosto di una questione molto più ricca e articolata con misure e impatti da valutare per poter verificare se stiamo camminando nella direzione giusta. In una prospettiva più ampia, possiamo sintetizzare affermando che lavoratori e datori di lavoro dovrebbero condividere nel profondo un orizzonte di soddisfazione e ricchezza di senso del vivere.

Esistono pertanto due modi di fare impresa. Il primo è avere come fine il massimo profitto realizzato “non importa come” senza preoccuparsi di cosa accade agli altri. Il secondo è considerare competitività, profitto e necessaria creazione di valore economico un vincolo e non un fine, dandosi invece come obiettivo quello di accrescere senso e generatività, che significa desiderio di contribuzione e assunzione di responsabilità personale verso la generazione che verrà dopo di noi. Traducendo tutto questo in termini di atteggiamento verso la persona ciò significa che il fine della vita d’impresa è la realizzazione della persona attraverso la valorizzazione di senso e generatività.

L’azienda così diventa uno dei luoghi dove dare il meglio di se stessi, accanto alle altre priorità della nostra vita.

Tiziano Conti