Domenica 20 novembre nella Solennità di Cristo Re dell’Universo, al termine della Santa Messa, alla chiesa del Sacro Cuore di Alfonsine, si è tenuta la solenne benedizione di un antico Crocifisso del 1780. Opera ora posizionata sul basamento di un’antica fonte battesimale del 1530, il tutto sostenuto da una base in travertino, essa stessa sostegno di lesene che si trovavano nella facciata dell’ultima chiesa Santa Maria dal 1800 al 1945. I tre reperti storici sono esposti a fianco della chiesa del Sacro Cuore, nel cosiddetto “paese vecchio” come testimoni silenziosi della storia e della fede del popolo Alfonsinese, grazie alle cure di Alberto Tampieri. Alla celebrazione presieduta da don Stanislaw Rafalko, hanno partecipato la vicesindaca Elisa Vardigli e numerosi Alfonsinesi.

Intervistando Luciano Lucci, curioso e ricercatore di cose alfonsinesi abbiamo scoperto molto sull’incontro delle tre singole storie di quelli che sono i più antichi reperti archeologici della vecchia chiesa S. Maria di Alfonsine (poi nel dopoguerra “Sacro Cuore”. Riassumiamo qui in sintesi, cominciando dal reperto più antico. “Nella giornata del 21 aprile 2015 credo – ci dice Luciano Lucci – di aver fatto la più grande scoperta archeologica di Alfonsine.  

Intervista a Luciano Lucci

A chi va il merito?

Alla mia nipotina Anita (all’epoca anni 2), che accompagnai in una passeggiata nel campetto dell’oratorio della chiesa Sacro Cuore e che raccolse alcune margherite: le depositò sul basamento della croce, da anni lì abbandonato. E così notai, per caso, una scritta scolpita nel marmo: ‘Alphonso Paulutio tutore’.

Ma chi era Alphonso Paulutio?

Una rapida ricerca su internet (è bastato scrivere su Google ‘Alphonso Paulutio’) ed ecco la sorpresa:

 In ‘Opera aliquot’ (‘Opere varie’) di Celio Calcagnini pubblicata postuma nel 1544 viene citato Alphonso Paulutio, in una lettera del Calcagnini del 1526 al vescovo di Imola Domenico Scribonio dei Cerboni.

Ma chi era Celio Calcagnini, primo rettore della chiesa di Alfonsine e chi era Alphonso Paulutio?

Celio Calcagnini fu umanista, scienziato e diplomatico al servizio del Ducato di Ferrara, uno dei più dotti sapienti dell’epoca rinascimentale, soldato, ecclesiastico, professore, poeta, filosofo e storico, fu celebrato da Ludovico Ariosto nell’Orlando furioso (XLII.90, XLVI.14).

Gli Estensi esercitarono la loro influenza sui meccanismi di assegnazione non solo dei vescovadi e dell’abbazia di Pomposa, ma anche delle prebende minori pur dipendenti da diocesi fuori dello Stato. 

Nel 1510 Celio aveva abbracciato, certamente su sollecitazione del suo signore di Ferrara, il Duca Alfonso I° d’Este, anche la carriera ecclesiastica. Ordinato sacerdote, veniva provvisto, di un canonicato, cioè una rendita nella cattedrale di Ferrara, tramite l’intervento di Ippolito d’Este, arcivescovo di Ferrara e cardinale italiano, figlio di Ercole I d’Este, Duca di Modena e Ferrara e della principessa Eleonora d’Aragona, di cui il Celio Calcagnini era maestro precettore.   II sistema beneficiale semplice penalizzava la cura delle anime per la larga tolleranza sull’obbligo di residenza degli assenteisti rettori della pieve di Fusignano

Ricche prebende Celio Calcagnini poi riceveva da S. Giacomo di Ferrara e di Porotto, ampi benefici a Riolo (nella diocesi di Faenza), a Ferrara (chiesa di S. Maria Bianca).

Alfonso I° Calcagnini, feudatario di Fusignano e Alfonsine (Leonino) per conto degli Estensi di Ferrara, assegnò la giurisdizione ecclesiastica della pieve alfonsinese, col titolo di Rettore, al suo parente di chiesa più famoso, proprio Celio Calcagnini, suo cugino, già intestatario della carica di Arciprete per la chiesa di Fusignano. In questo modo riuscì a sottrarre alla chiesa ravennate e ai signori di Ravenna i diritti su quei territori.

“Disturbato dalla febbre terzana, Celio si trattenne a Fusignano solo per quattro mesi, poi decise di recarsi nella vicina Lugo. «ubi medicorum sed malorum maior est copia», e tornò deluso perché non trovò tanti unguenti medicinali quanti cercava.” (pag. 498 “Storia di Fusignano”)

 A lui interessavano le prebende e i guadagni che gli spettavano di diritto. E per amministrare tali entrate aveva incaricato un suo uomo di fiducia tale Alphonso Paulutio, come amministratore, fattore, che all’epoca veniva definito ‘tutore’.
Fu così che Alphonso Paulutio volle che fosse chiaro a tutti che lui era l’amministratore di quella parrocchia di Alfonsine, e lo fece scrivere sul basamento del battisterio che caratterizzò la nuova chiesa, creata nel 1530 a una navata come ampliamento della vecchia pieve posta ai confini del territorio dei feudatari di Fusignano fin dal 1502, ormai inadeguata. Alphonso Paulutio ristrutturò e migliorò il primo Oratorio, e siccome cominciavano anche a nascere bambini, installò una fonte battesimale.   Quel basamento ritrovato era di sostegno della colonna con una vasca battesimale sopra, in marmo di Istria: ‘Alphonso Paulutio tutore’. 

(Il ‘nostro’ basamento ha proprio forma ottagonale come era in uso in tutti i battisteri di quei tempi, per ricordare l’ottavo giorno della creazione, giorno della Resurrezione di Cristo e quindi l’inizio di una nuova era nel mondo).

Volendo che fosse chiaro a tutti che lui era l’amministratore di quella parrocchia di Alfonsine per conto di Celio Calcagnini, fece scrivere sul basamento ortogonale della fonte battesimale in marmo di Istria: ‘Alphonso Paulutio tutore’.  

La prova che su quella fonte battesimale c’era anche la data 1530, ce la dà lo storico Gianfranco Rambelli che nelle sue “Memorie Storiche dell’Alfonsine” pubblicato nel 1833 scrisse (a pag. 45 nota 1) , descrivendo il battisterio della Chiesa S. Maria, che  nel vaso dell’acqua santa del battistero era scritto 1530 (MDXXX) e ALPHONSO PAULUTIO TUTORE. Nel piedistallo di quella fonte battesimale non c’era la data (MDXXX), ma solo  ALPHONSO PAULUTIO TUTORE.

La pieve bastò per una ventina di anni, poi, crescendo la popolazione, e dovendo garantire un miglior decoro, nel 1540 i nipoti di Alfonso 1° Calcagnini, i conti Alfonso II e Teofilo II, figli di Tommaso I° Calcagnini e Costanza Rangoni, fecero ristrutturare la vecchia pieve, sempre a una sola navata. Celio Calcagnini, il primo Rettore della chiesa di Alfonsine morì nel 1541.

Questa struttura durò fino al 1740 quando fu abbattuta e ricostruita, ingrandita con due navate laterali. Poi per tutto l’800 ci fu un degrado totale che vide l’abbattimento della chiesa dal 1825-1878 e una sua lenta ricostruzione che terminò nel 1903. Poi ci fu l’incendio della Settimana Rossa (1914), bombardamento americano (1944) e all’inizio febbraio 1945 crollo finale della chiesa di Alfonsine minata da 30 bombe di mezzo quintale l’una, appostate lungo la navata e le colonne, da alfonsinesi costretti dai tedeschi.

Il primo reperto, cioè il basamento, quindi  sicuramente ha superato  più di 500 anni: di travagli ed miracolosamente è arrivato fino a noi.

Ma come si salvò?

Fu recuperato dalle macerie dell’incendio della chiesa nella “Settimana rossa”, qualcuno degli abitanti vicino alla chiesa potrebbe aver preso quel resto della fonte battesimale ed averlo posto nel cortile di casa come vasiera.  dopo che il battisterio era stato distrutto e fatto a pezzi.

Secondo la testimonianza di Iris Matulli, che ha gestito l’albergo “Al Gallo” dal 1968, quel basamento in marmo fu ritrovato nell’immediato dopoguerra quando la famiglia Bosi (‘Sbaragnì’), a detta della Cenza Bosi, per ricostruire la loro casa abbattuta, una casa proprio lì vicino alla chiesa, utilizzarono anche le macerie della chiesa e vi ritrovarono quello strano vaso in marmo che era finito nel cortile della casa Bosi fin dal 1914.

Ma la croce come si infilata in quel basamento non suo, e da dove veniva?

Negli anni ’50-’60 era custodita nella vecchia saletta della canonica della chiesa Sacro Cuore ricostruita sulle macerie della vecchia chiesa S. Maria, inserita in un altro tipo di basamento diverso dall’attuale, poi nella sacrestia o nella stanza attigua della chiesa Sacro Cuore. Poi col passare degli anni la croce si sfilava da quel basamento. Allora si inserì una struttura in metallo che potesse tenerla fissata. Col tempo neanche questa struttura funzionava più allora Don Genesio, parroco al Sacro Cuore di Alfonsine dal 1973 al 2000, decise di infilarla in quella che sembrava una vasiera posta nel cortile della casa dei Bosi. Lo chiese all’Iris Matulli del “Gallo”, che aveva acquistato la casa Bosi, questa gliela regalò.

La croce col basamento del ‘500 rimase poi abbandonata per più di vent’anni nel cortile appoggiata al muro di fianco della chiesa fino al giorno in cui il nuovo arrivato sacerdote don Stanislao Rafalko, avendo visto questa croce così abbandonata, essendosi informato della sua storia e avendo preso la consapevolezza che si trattasse di una “reliquia” così importante, ha deciso di restaurarla ed esporla al dovuto culto pubblico. Uno dei parrocchiani Alberto Tampieri generosamente si è offerto al restauro e posizionamento  affianco della chiesa.

Ma qual era l’origine della croce?

Oggi possiamo solo fare alcune ipotesi, dopo che il recente restauro a fatto emergere  dall’asta della croce una scritta, incisa nel ferro: Lì 26  AGOSTO 1780 SI FECE.

La data si inserisce nel periodo in cui la chiesa era stata ristrutturata, abbellita e allargata a tre navate. Poiché dietro alla chiesa c’era un grande cimitero fino dal ‘500,  si può ipotizzare che la croce fosse posta all’ingresso di quel cimitero. In seguito poi si nota da un disegno della chiesa settecentesca che lì fu posta un’altra croce in travertino del 1503 (che era custodita nel convento dei Cappuccini di Bagnacavallo) donata alla chiesa di Alfonsine nel 1800 da una ricchissima famiglia i Massaroli (originari di Bagnacavallo), ma abitanti ad Alfonsine.

Poi con l’intervento di Napoleone nei primi dell’800, che obbligò a spostare i cimiteri fuori dalle zone abitate, la vecchia croce venne subito riutilizzata come rapida indicatrice dei nuovi cimiteri, fino poi ad essere di nuovo sostituita da quella in travertino. Così fu per un cimitero nella zona che diventò poi mercato del bestiame in corso Garibaldi e poi nel nuovo cimitero nella zona di oggi 2 Giugno, fino all’ultimo e definitivo cimitero in Destra Senio, dove ancora si trova la croce in travertino con tutte le sue date di spostamento 1503-1803-1809. Probabilmente la croce di ferro rimase nel cimitero in qualche angolo. Poi forse il nuovo parroco don Vittorietti preferì portala nella nuova chiesa del Sacro Cuore appena ricostruita nel dopoguerra, e lì tenerla per mostrarla ad indicazione di occasioni importanti come le comunioni e le cresime.

Il terzo reperto?

Si tratta del basamento di una delle 4 lesene che furono messe nella facciata della nuova chiesa S. Maria ricostruita nel 1878 e abbellita dal 1900 al 1903. Con la distruzione della guerra quel basamento era finito tra le macerie della chiesa, che tra l’altro servirono come fondamenta su cui fu costruita la nuova chiesa del S. Cuore nel 1954-56. Come arrivò poi di nuovo fino a noi? Nel 2000 ci fu un incendio della chiesa, per il cui rifacimento furono rifatti i pavimento e scavando per questo scopo in profondità, emersero alcune vecchie macerie della chiesa S. Maria. Il nuovo parroco Don Renato Frappi (Don Genesio morì proprio in quell’anno) decise di posizionarle nel cortile davanti alla chiesa: tra queste vi erano due basamenti delle lesene della chiesa distrutta dalla guerra. Uno di questi è quello utilizzato nella composizione attuata dal restauratore.

Quale il senso di tutto questo?

Il finale degno di questa storia sta proprio l’assemblaggio che il restauratore ha voluto fare, forse senza rendersi conto che stava dando un senso a tutto questo. L’incontro di queste tre storie ha voluto mostrare il filo rosso che le unisce, e che ci indica qual è il “genius loci” “lo spirito del luogo” l’anima di questa chiesa e di tutta Alfonsine: NASCITA, DISTRUZIONE, RINASCITA E RICOSTRUZIONE.” (Luciano Lucci)