Come stare al mondo, come diventare grandi nella consapevolezza di ciò che è giusto e ciò che non lo è, questo è ciò che la scuola insegna. Anche l’educazione alla parità di genere passa dai banchi delle classi, che sono composte da ragazzi e ragazze anche in scuole che apparentemente possono sembrare prettamente maschili. Vediamo come invece anche in un Istituto Tecnico come l’Itip Bucci di Faenza le presenze femminili non siano così rare. Ne abbiamo parlato con la dirigente scolastica Gabriella Gardini.

Intervista alla dirigente Gabriella Gardini

Quante sono ad oggi le ragazze iscritte nella vostra scuola?

Ad oggi abbiamo 33 ragazze all’Iti e due ragazze all’Ipsia, una novità anche per noi. Per quanto riguarda l’Iti, le ragazze sono raddoppiate negli ultimi dieci anni; il numero di studentesse è chiaramente inferiore rispetto a quello di altre scuole ma l’aumento è stato costante. Fino ad oggi la presenza femminile non ha riscontrato problemi all’interno della scuola, anzi spesso si tratta di ragazze determinate che a volte tengono in riga la classe. Non ci sono difficoltà nell’accesso diretto al lavoro in azienda o all’università. Inoltre con la professoressa Gallegati, docente di Religione, abbiamo creato il progetto It is pink, uno spazio di ritrovo per le ragazze con insegnanti di religione e altre docenti si trovano un paio di volte l’anno per una pizzata o un ritrovo dopo l’orario di lezione, per fare gruppo.

Quali sono le motivazioni che portano le ragazze a scegliere un istituto tecnico?

Per gli stessi motivi che spingono i ragazzi a iscriversi all’Iti. Da un po’ di anni abbiamo anche il corso di informatica che attira molto anche le ragazze, ma alcune scelgono questa scuola proprio perché sono interessate alle discipline tecniche. A volte la scelta dipende da storie familiari; a volte i genitori hanno frequentato l’Iti, oppure hanno officine e le ragazze si avvicinano al mondo della meccanica sin da piccole. Esattamente come per i ragazzi. Le ragazze però sono forse più consapevoli perché fanno una scelta che spesso non è una scelta di gruppo in quanto a volte la loro strada si separa da quella delle compagne delle medie.

Come si può insegnare secondo lei la parità di genere nelle scuole?

Stando nelle cose. Oltre alla sensibilizzazione sulle tematiche di genere che si lega all’educazione civica, bisogna stare in mezzo alle cose per rendersi conto che le ragazze e i ragazzi fanno esattamente le stesse cose. Il confronto è tra due intelligenze che valgono allo stesso modo. Noi adulti sappiamo che ci sono dei problemi di violenza e discriminazione, non dobbiamo certo negarli, ma siamo a scuola a testimoniare che per noi tutto questo non deve esserci. A dare l’esempio mostrando di ragionare senza stereotipi, intervenendo qualora ci fossero discorsi sessisti in modo educativo ma fermo. L’educazione civica va al di là di quella che può essere la materia scolastica e riguarda anche fenomeni che creano problemi ai ragazzi, come il cyberbullismo. Si sono moltiplicati negli anni gli interventi per sensibilizzare i ragazzi su questi temi e sull’uso di strumenti che amplificano il fenomeno del bullismo: spesso anche il bullo non ha la percezione del male che può fare un semplice messaggio. E questo vale sia per le ragazze che per i ragazzi. L’adolescenza è il momento in cui prendiamo le misure con noi stessi e in cui dobbiamo acquisire consapevolezza della potenza degli strumenti che abbiamo a disposizione.

Restando su questo tema, la consapevolezza, parola-chiave dell’educazione dei ragazzi, porta anche ad aprire una discussione sull’uso del cellulare in classe. Qual è la posizione della vostra scuola?

Noi come scuola dal 2007 abbiamo la disposizione ministeriale che ricorda che i cellulari non dovrebbero essere usati durante le lezioni. Abbiamo scelto di non farglieli consegnare a inizio mattina o a inizio lezione, ma di ritirarli qualora venissero usati, perché da un punto di vista educativo pensiamo sia più giusto non privare i ragazzi dello strumento, ma insegnare loro a usarlo con consapevolezza. È una strada un po’ più faticosa, ma crediamo sia più educativa.

Letizia Di Deco