Quella non si può chiamare casa. Un tavolo di fortuna, una bacinella per lavarsi con acqua fredda e una stanza buia con panni e cibi in scatola recuperati alla rinfusa. In compenso non mancano le zanzare, gli scorpioni che si intrufolano nella stanza di notte e i primi freddi che la sera cominciano a farsi sentire. Questa non è una casa, ma è in questa struttura abbandonata e lontano dalla vista della gente che vive Noah (nome di fantasia). La si raggiunge in bicicletta, un quarto d’ora dal Centro di Ascolto diocesano di Faenza che è situato in pieno centro città. Noah spesso va in Caritas a prendere un pasto, anche se è molto a disagio nell’essere considerato “un peso” dalla società. Non lo vedrai quasi mai, per esempio, a chiedere l’elemosina. È un uomo tunisino senza dimora di 61 anni che da qualche anno vive in queste condizioni, anche perché non è in regola con i documenti. Eppure mantiene intatta la sua dignità: ci tiene a farsi la barba al mattino e ad avere un aspetto decoroso. Per questo sui rami di un albero di fronte alla struttura fatiscente in cui ha trovato rifugio, ha messo uno specchio leggermente scheggiato su un lato.

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Tunisino di 61 anni, ha trovato un rifugio nella periferia faentina

Da 30 anni vive in Italia, dove ha svolto diversi lavori: autista, muratore, allevatore. Dopo un ictus che l’ha colpito cinque anni fa – il braccio e la gamba destra hanno perso molta mobilità – ha dovuto lasciare questo tipo di attività fisiche, ma questo ha comportato il non essere più in regola con i documenti, per esempio il permesso di soggiorno, che gli veniva rinnovato periodicamente. E senza documenti, avere una casa resta un miraggio. Il figlio e la moglie sono lontani, in Tunisia. Così oggi Noah trascorre le sue giornate tra momenti di rassegnazione e la speranza che Dio gli conceda nuove opportunità.

Quando si sveglia, non ci sono obiettivi. Quello che fa più male non è solo la povertà materiale. Ancora più duro è l’andare a dormire dopo una giornata vissuta da ‘invisibile’, senza aver compiuto alcun gesto significativo per sé o per gli altri. Fantasma non è la parola esatta, ma la prima che viene in mente. «Oggi mi è rimasto soltanto Dio – racconta Noah, mentre mostra il luogo nel quale vive, appoggiando per terra la bicicletta e prendendo un sentiero ai lati di una strada costeggiata da villette -. Ho sempre cercato di vivere nel rispetto delle regole e vedendo gli altri come fratelli. Dobbiamo eliminare la cattiveria dall’uomo e considerarci tutti fratelli». In Tunisia ha iniziato a lavorare a 12 anni per aiutare il padre, lui era il maggiore di otto fratelli e sorelle. Nel 1989 decide di partire per l’Italia in cerca di un futuro migliore e con i primi lavori invia soldi alla propria famiglia. Pur senza una grande stabilità, i primi anni non sono negativi. Poi diverse esperienze sfortunate. Fa il muratore – zona Romagna e Ferrara -, ma le ditte, per proprio tornaconto, l’hanno obbligato ad aprire una partita Iva. «Ero molto ignorante all’epoca – ammette – nessuno mi ha informato dei rischi che correvo, così quando le ditte sono fallite ho perso anche quanto dovevo ricevere, in certi casi cifre fino 30mila euro».

Ha cercato di barcamenarsi come poteva, ma l’ictus che l’ha colpito ha minato molto le sue capacità lavorative. Grazie a qualche contatto, è riuscito a individuare una struttura abbandonata nella periferia faentina dove ripararsi la notte. Ma la sua condizione giuridica lo rende invisibile. “Dormi male, non solo per le zanzare, ma perché ti senti inutile. Ripensando al mio passato – dice Noah – non so neanch’io come ho potuto ridurmi, giorno dopo giorno, in questo stato. Senza il permesso di soggiorno mi è negato tutto… ma un uomo deve fare qualcosa per la propria vita, anche piccola, trovare un senso”. Nei prossimi giorni, aiutato dagli operatori della Caritas diocesana, avrà un incontro per fare il punto sul suo permesso di soggiorno. Da lì potrebbe arrivare una svolta capace di renderlo visibile a uno Stato che troppo spesso dimentica gli ultimi.

Samuele Marchi