È una vita impastata con radici diverse quella di Giuseppe Apicella, 52 anni. È nato in Venezuela, ma dal 2016 è arrivato in Italia per fuggire da un Paese sull’orlo di un collasso. Ha lavorato nei primi tempi a Caracas nella pizzeria di famiglia, poi si è laureato in Storia svolgendo servizio per anni nel Parlamento venezuelano e, domenica scorsa, ha aperto una sua pizzeria a Faenza. Una storia fatta di andata e ritorni, e di scelte difficili tra due continenti diversi. In particolare, negli ultimi anni, la ricerca di un lavoro in Italia non è stata per nulla facile per chi, come lui, pur avendo la cittadinanza italiana, si è formato in un altro Paese: dalla patente alla laurea diversi titoli infatti non gli sono riconosciuti. Eppure, con tanta pazienza e costanza, dopo alcune esperienze nel campo della ristorazione, Giuseppe ha aperto un’attività in proprio. Da qualche giorno è attiva la pizzeria da asporto “Donato” in piazza delle Erbe. Per lui è un ritorno alle origini, il locale riprende il nome del padre, che fu pizzaiolo. Donato Apicella, come tanti italiani, nel dopoguerra, partì con la moglie in Sudamerica alla ricerca di fortuna. A Caracas iniziò a lavorare come fornaio. Il mestiere va bene e così decide di fare il salto e aprire una propria pizzeria. Ed è in questo periodo che nasce Giuseppe.

Gli anni in Venezuela e il lavoro come ricercatore storico al Parlamento di Caracas

«I primi anni in Venezuela li ricordo con molto affetto – racconta -. Stavamo bene, come famiglia non ci mancava nulla. Quando cominciai a diventare un po’ più grande, iniziai a lavorare un po’ nella pizzeria di mio padre, anche se da giovane non vedevo quel mestiere come il mio futuro». A 17 anni il padre muore prematuramente. Giuseppe è costretto a una prima svolta della sua vita: deve lasciare gli studi e cercare un lavoro. «All’istituto Don Bosco mi formai come elettricista, ma la mia passione era un’altra, studiare storia. Così, con tanti sacrifici, dopo qualche anno mi iscrissi all’università che portai a termine con pieni voti». Grazie alla laurea in Storia, Giuseppe trova lavoro nientemeno che nel Parlamento del Venezuela. «Sono stato funzionario per dieci anni – ricorda – prima in biblioteca e poi come capo ufficio di ricerca. In particolare, il nostro era di supporto alla stesura delle leggi».

E proprio da quel luogo, simbolo della democrazia, che Giuseppe ha uno sguardo privilegiato su quello che in poco tempo sconquassa il Paese. Crisi economica e crisi politica si intrecciano. Un Paese fragile, che per troppi anni ha fatto affidamento solo sul petrolio, si sbriciola, anche a seguito dei cattivi rapporti con gli Usa che determinano il prezzo dell’“oro nero”. «In particolare dal 2013 la situazione è costantemente peggiorata – dice Giuseppe -. Io nel frattempo mi ero sposato con Doris, che lavorava come giornalista. Abbiamo avuto una bambina, ma in Venezuela non si trovavano più cibo, pannolini. A quel tempo ho perso 20 kg: o mangiavo io o davo da mangiare alla mia bambina. Sono stati anni duri, in particolare dopo il 2015, quando è salita al potere l’estrema destra. Non avevo funzioni politiche in Parlamento, ma era sempre più evidente che non ero gradito in quel luogo».

La crisi politica ed economica: il supporto della parrocchia di San Giuseppe

Da qui la decisione di contattare i parenti di Donato rimasti in Italia. «Mia cugina faentina si è offerta di ospitarci nei primi tempi in un appartamento in via Dal pozzo. Siamo così arrivati a Faenza a fine 2016. Non avevamo nulla con noi. Tra i primi a bussare alla nostra porta sono stati don Andrea Rigoni e Roberto, un parrocchiano di San Giuseppe, che ci hanno offerto subito aiuto e ospitalità. In quei primi tempi anche il supporto della Caritas è stata importante».

La difficoltà nel trovare lavoro

pizzeria donato faenza

Essendo figlio di italiani, per Giuseppe ottenere la cittadinanza non è stato un problema, ma solo grazie al supporto della famiglia faentina – che in qualche modo faceva da garante, non avendo Giuseppe un lavoro – anche la moglie Doris ha potuto ottenere un permesso di soggiorno. Questo però non significa che la strada sia stata in discesa. «Per trovare un lavoro la patente è fondamentale, ma lo Stato Italiano non ha riconosciuto quella venezuelana. Paradossalmente, per me sarebbe stato più facile trovare lavoro in Spagna, dove la patente è riconosciuta e avrei avuto più garanzie, anche per affinità linguistiche». Il sogno di lavorare in Italia in ambito biblioteche e archivi? Praticamente impossibile. “C’è la cattiva abitudine – sottolinea Apicella – di delegare molti servizi di questo tipo a non professionisti…”. Nei primi mesi, l’unico lavoro che trova è in un albergo, non in Italia, ma a Barcellona, e i soldi li invia alla famiglia a Faenza. Si tratta di un’occupazione provvisoria. Poi grazie alla scuola Pescarini, svolge un tirocinio nell’ambito della ristorazione in alcune aziende faentine. Partono così i primi inserimenti lavorativi, anche se sempre come apprendista a tempo determinato e con stipendi appena sufficienti a sopravvivere. Da qui la decisione, grazie al supporto di Cna, di provare ad aprire un locale in proprio con alcuni risparmi, come fece suo padre. Si trova un locale adatto, si fa uno studio di fattibilità. Ed è così che da Caracas, le pizze targate Apicella hanno cominciato a essere sfornate in piazza delle Erbe.

Samuele Marchi