Più che recluse, dimenticate. Come molti dei detenuti uomini, ma con una serie maggiore di problemi che vanno dalla gestione del senso di colpa legato alla difficoltà a gestire il rapporto genitoriale agli ostacoli che incontrano nel tentativo di rifarsi una vita. Questa la fotografia emersa venerdì scorso dalla tavola rotonda “Recluse. Donne nelle carceri italiane” promossa a Palazzo Rasponi dalle Teste a Ravenna dal nostro settimanale in occasione della mostra fotografica di Giampiero Corelli sul tema. Un’occasione per affrontare un argomento che pochi vogliono vedere. Coordinati dal nostro direttore Francesco Zanotti si sono confrontati due direttrici di carceri, un ex detenuto, un magistrato di sorveglianza e una giornalista in una sala piena di pubblico con la presenza di tante autorità, dal prefetto Castrese De Rosa all’arcivescovo di Ravenna Lorenzo Ghizzoni, dal vicesindaco Fusignani alle forze dell’ordine, al direttore del carcere ravennate Carmela De Lorenzo. E altrettanti sono stati gli sponsor e i contributi: dalla Regione Emilia-Romagna, alla Fondazione Cassa di Risparmio, l’Ordine degli Avvocati, Fondazione Forense e l’Amn. Non pochi, considerando la scomodità della tematica.

“Il carcere è ancora oggi un’istituzione maschile, pensata per uomini”

«Il carcere è una cassa di risonanza di quel che succede fuori. Il ricorso al servizio di psichiatria è aumentato tantissimo. E sappiamo che in inverno dovremo far fronte a una situazione altrettanto difficile», ha spiegato Cosima Buccoliero, direttrice del carcere Lorusso e Cutugno di Torino. Le donne detenute sono poche, spiega, «ma vivono una situazione di marginalità maggiore rispetto agli uomini. L’istituzione carcere è maschile, creata da uomini, pensata per uomini. Si tratta di donne che vengono da contesti difficili, e spesso hanno subito reati o violenza. Vivono una situazione più acuta di solitudine perché non hanno la famiglia vicino: spesso sono loro il centro della famiglia e quando sono detenute sono sole. Senza considerare il forte senso di colpa per non poter gestire il rapporto genitoriale». I bambini in carcere, per fortuna, «sono pochi, ma ci sono. A Torino sono quattro – aggiunge Buccoliero – ed erano dodici in pandemia. E i piccoli si rendono conto che non è casa loro. Questo problema non è stato affrontato né risolto».

“La rieducazione è possibile solo se la società entra in carcere”

Lo scopo del carcere è quello di liberare le persone dalle motivazioni devianti e creare risorse, ha aggiunto Letizia De Maria, magistrato di sorveglianza del Tribunale di Bologna, anche lei tra i relatori della tavola rotonda. «In questo la genitorialità è una spinta potentissima verso il cambiamento, significa trovare un nuovo scopo nella vita. Vale per uomini e donne». Quello della salute mentale, invece, è un problema aperto: «per alleviarlo bisognerebbe trovare delle comunità sul territorio, ma non ci sono». In carcere poi, «ci scontriamo con una notevole mancanza di risorse: manca circa il 50 per cento dell’organico»

Per la direttrice del carcere La Dozza di Bologna Rosa Alba Casella «la rieducazione non si fa in vitro: è possibile solo se la società entra in carcere. E per le donne le opportunità sono ancor meno che per gli uomini». Solo cinque istituti di pena in Italia sono interamente femminili, aggiunge, e le donne sono ospitate in sezioni che sono state adattate a questo scopo. Le criticità condizionano il mandato costituzionale della pena rieducativa, l’unico modo di farlo è lavorare in rete».

Nel 2022 si sono già registrati 57 suicidi nelle carceri italiane

«Del carcere si parla poco e male – aggiunge Adriana Pannitteri, giornalista del Tg1 e autrice di vari libri sul tema –. Rivolte, degrado, suicidi, inchieste giudiziarie sono i temi che affrontiamo, oltre al sovraffollamento. Sono 54mila i detenuti in Italia a fronte di una carenza degli istituti di 50mila. Nel 2022 si sono registrati già 57 suicidi». La Pannitteri snocciola i temi da affrontare: «Ci auguriamo che i fondi Pnrr vengano utilizzati per rendere le carceri più vivibili in modo che non ci arrivi un giorno sì e uno no una denuncia dall’Europa per le condizioni di vita dei nostri istituti. E poi sul tavolo c’è la riforma dell’ergastolo ostativo che ha subito uno stop per le vicende politiche degli ultimi mesi. E il tema della malattia mentale che, dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici, non è stato risolto. Le misure alternative sono poco più di 30 in tutt’Italia. Mi auguro che questo tema venga affrontato dalla politica. In questa campagna elettorale non ho sentito una sola parola sul carcere».

Daniela Verlicchi