Da una parte la guerra, l’intolleranza religiosa, le disuguaglianze. Dall’altra porte spalancate, abbracci e un sentirsi assieme parte di qualcosa più grande. Da una parte c’è Mary, bambina afghana, affetta da grave disabilità che si trova a vivere in un Paese nel quale i talebani hanno ripreso il potere. Dall’altra c’è a Faenza una casa famiglia che tiene le braccia spalancate, rispondendo sì una chiamata che viene da lontano. Sono questi i fili di una bella storia di accoglienza che riguarda la nostra città: una bimba afgana, nata con idrocefalo e spina bifida, arrivata in Italia un anno fa esatto, è ospitata da qualche giorno a Faenza alla casa famiglia “Marta e Maria” della Comunità Papa Giovanni XXIII.

La situazione in Afghanistan è precipitata con il ritorno al potere dei talebani

Nata nel 2008 con una disabilità molto grave, Mary era stata abbandonata all’età di 2 anni dai genitori sulle porte di una moschea di Kabul, probabilmente proprio per la sua disabilità. È stata poi accolta dalle Missionarie della Carità di Madre Teresa, che si sono in questi anni presi cura di lei. La situazione però precipita nell’ultimo anno con il ritorno al potere dei talebani. Mary fortunatamente è riuscita a fuggire dall’Afghanistan un anno fa, il 25 agosto 2021, grazie a un volo militare, mentre la situazione nel Paese precipitava. In questo viaggio le suore hanno portato in salvo con loro altri 14 bambini con disabilità. Arrivate in Italia, a Roma, era però necessario trovare delle famiglie che si prendessero cura di questi bambini, per dare loro un’accoglienza stabile e duratura. Da qui nasce l’appello in tutta Italia della Comunità Papa Giovanni XXIII alle famiglie.

“Come famiglia ci siamo messi in discussione”

BIMBA AFGHANA2

«Non appena abbiamo ricevuto questa chiamata – racconta Chiara Bosi, la madre faentina che ha accolto Mary – io e mio marito ci siamo subito interrogati se potessimo fare la nostra parte. La nostra casa famiglia in quel momento era praticamente vuota, perché ogni persona che accogliamo resta fino al momento che ritiene opportuno. Così davanti al bisogno di questi bambini ci siamo messi in discussione e abbiamo deciso di prendere sul serio la possibilità di accoglierla». A inizio giugno partono i primi contatti con le suore di Madre Teresa. «Abbiamo iniziato a conoscere questa bambina andando una volta ogni due settimane a Roma – prosegue Chiara -. All’arrivo la bimba si aggirava continuamente per le stanze, silenziosa… la suora che l’ha accompagnata da noi mi raccontava che dal suo arrivo in Italia la sua situazione è molto migliorata: pur non parlando interagisce e si fa capire coi gesti i suoi bisogni. Ha cominciato a dormire tranquilla se qualcuno mettendola a letto passa qualche momento di coccole con lei. Gradisce tantissimo la vicinanza fisica, le piace essere presa per mano, essere accudita e aiutata… Inoltre abbiamo preso contatti per capire come accoglierla al meglio anche a livello sanitario, dato che necessita di molte cure specialistiche sul territorio che le devono essere garantite».

Essere una casa famiglia è cambiare continuamente i propri schemi mentali a seconda di chi vive quel pezzo di strada con te

Una volta messe a punto le pratiche burocratiche e sanitarie, Mary è arrivata a Faenza. «I primi giorni stanno andando molto bene – commenta Chiara –. Io e mio marito abbiamo tre figli, e questi hanno accolto Mary come veri fratelli e sorelle. Lei si è dimostrata entusiasta di giocare con loro. Da parte mia c’è invece una disponibilità verso di lei quasi totale e tutto questo viene ripagato dalla sua gioia. La cosa più bella è vedere il suo sorriso continuo. Per ogni piccola cosa è grata e contenta: lei per prima è accogliente e a braccia spalancate verso di noi». Ed è questa l’immagine che per Chiara rappresenta al meglio una casa famiglia: le braccia spalancate. «Accogliere significa non solo colmare dei bisogni, ma anche ricevere la ricchezza di tutti coloro che arrivano nella casa famiglia. Certo, questo significa mettersi in gioco ogni giorno. È un continuo cambiare i propri schemi mentali e comodità a seconda di chi vive quel pezzo di cammino con te, ma da cui poi ricevi tantissimo. Come diceva don Oreste: «I miei figli che arrivano è il Signore che li manda». Chiunque arriva, insieme a tutto il suo carico di fatica, porta ricchezza e gioia nella nostra casa».

Samuele Marchi