Il primo giorno di settembre, alcune settimane fa dunque, circondato dall’affetto dei suoi famigliari, a Casalecchio di Bologna, dove viveva da vari decenni, ci ha lasciati il professor Rocco Cerrato, che era nato in Romagna, a Voltana, nel comune di Lugo, nel 1933.

Io della Bassa, vidi questo giovane prete verso la fine degli agitati (positivamente) anni sessanta, così rammento, nel Ricreatorio parrocchiale di Villanova di Bagnavallo, partecipare a uno dei tanti incontri giovanili che si svolgevano frequentemente in paese, ora alla Casa del Popolo ora in ambienti parrocchiali.

Prendervi parte come relatore non era comodo, molte idee circolavano, tante curiosità sollecitavano, le polemiche infiammavano, per cui non doveva risultare semplice dialogare, rispondere, mantenere la calma, pure di fronte a frasi che potevano apparire semplicistiche o provocatorie. Questo per dire che vedere Don Rocco in quell’ambito conservare sorriso, serenità ed esporre con raziocinio le sue argomentazioni, su questioni religiose, politiche o culturali, me lo rendeva senz’altro simpatico e ammirevole.

Poi appresi che Don Domenico Monti, nostro giovane cappellano, quel sacerdote lo conosceva bene e ne parlava con molto affetto e considerazione, avendolo avuto come Prefetto, cioè responsabile di camerata, nel Seminario di Faenza. Le distanze dal centro alla periferia, allora apparivano ragguardevoli e per vari anni non vidi né ebbi notizie di Rocco.

Scoprii tempo dopo che insegnava religione cattolica al liceo classico di Faenza e fungeva da assistente spirituale degli Scout ed inoltre che era schierato politicamente all’estrema sinistra ed era molto critico verso l’istituzione ecclesiastica. Solo verso la metà degli anni settanta, a Comunità di base di Villanova avviata e nel pieno della stagione del dialogo, nel gruppo sorse forte il bisogno di conoscere approfondire confrontare temi e questioni che usavamo frequentemente, forse senza averne adeguata consapevolezza.

Ne discutemmo e si giunse a ritenere opportuno chiedere aiuto ad amici faentini che ne sapevano più di noi campagnoli.

Ci recammo così a Bologna, in via Dagnini, dove da pochi anni il professor Cerrato risiedeva con la famiglia, per elaborare un programma di incontri e precisare temi date e relatori. Il confronto tra Rocco, Otello e la delegazione della Comunità sortì quello che chiamammo Seminario su “Analisi marxista e realtà cristiana oggi”, che radunò centinaia di persone, di tutte le età, ceto e professione, da ogni angolo della provincia, almeno, tutti i sabati pomeriggio, durante l’inverno 1975, nel Ricreatorio di Villanova, suscitando confronti tra il pubblico e con i relatori provenienti da molte varie zone d’Italia.

Tutto questo per merito dell’impegno della Comunità di base locale e del suo presbitero, ma anche della fantasia e dei contatti che intrattenevano Otello e Rocco, che erano presenti quasi tutti sabati.

Alcuni anni dopo, mi trovai a effettuare la tesi di laurea sull’Arciprete Don Giovanni Melandri, arciprete a Villanova dal 1936 al 1972. Una ricerca lunga e impegnativa che riuscii a portare a termine anche con la collaborazione di Pia Melandri, nipote del vecchio arciprete, di Don Monti, nuovo arciprete, e del solito Cerrato, che, generosamente e con competenza, mi aiutò ad analizzare le prediche di Don Giovanni e mi scrisse anche una bella introduzione al volume ove pubblicai il testo.

Era particolarmente legato a Villanova: a Don Giovanni, a Don Allegro, a Don Casadio e a Don Domenico. Ricordo ancora le diverse visite che gli feci durante quelle estati, quando tornava a Faenza, in campagna, e, con disponibilità mi accoglieva e forniva suggerimenti utili per completare il lavoro.

Nel frattempo, il professor Cerrato era diventato docente universitario di Storia ad Urbino e nella bella città marchigiana ebbi modo di incontrarlo più volte, quando frequentai corsi di perfezionamento postlaurea e dove sostenni alcuni esami nelle sue discipline. Ci incontrammo anche nell’Istituto per lo studio del Modernismo, dove lavorava al seguito del romagnolo Don Lorenzo Bedeschi (con il quale mi diplomai), e in occasione di alcuni convegni su temi ed esponenti (Murri, Buonaiuti ecc.) di quell’ambito.

Venne poi la fortuna, per me, di lavorare insieme con Rocco. Verso la fine del secolo passato, Don Bedeschi, nato a Villa Prati, che ad ogni estate tornava a Villanova a dire messa e ad incantare i presenti alla celebrazione domenicale con la sua voce squillante e la raffinata oratoria carducciana, mostrò interesse ad una sua ripresa di lavori su Don Giovanni Minzoni, il giovane sacerdote di Ravenna, ucciso ad Argenta il 23 agosto 1923 da fascisti ferraresi, sul quale Don Lorenzo aveva, decenni addietro, pubblicato testi meritori di notevole importanza.

L’Istituto Storico della Resistenza di Ravenna, presso il quale lavoravo in quel periodo, era d’accordo sul progetto, ma improvvisamente, a 91 anni, Bedeschi ci lasciò.

Si decise allora, Cerrato ed io, di tentare di condurre in porto il proposito bedeschiano, lavorando sulle carte minzoniane utilizzate da Don Lorenzo e su documenti originali recuperati da pochi anni, effettuando un’operazione critica di verifica e controllo e una sistemazione dell’intero, fino ad allora, corpus documentario minzoniano.

Fu occasione di molti indimenticabili incontri, confronti e discussioni e di bellissime passeggiate bolognesi dibattendo di storia, cristianesimo, politica, famiglia e degli/e adorati/e nipoti. Rocco era/è una brava persona, buona, generosa, mite e saggia, colta e aperta al prossimo.

Molto legato alle proprie radici romagnole, a Voltana risiedono ancora le sue cugine; raccontava del padre salito dalla Campania per lavorare sulla strada Reale e morto in un incidente stradale quando Rocco non era ancora nato.

Narrava, con molto affetto, della madre, che, vedova, era stata costretta a spostarsi a S.Agata sul Santerno, presso i famigliari, e lì il bambino era vissuto fino all’ingresso nel Seminario faentino. Memorabile la festa che gli amici santagatesi, faentini e non solo, organizzarono per gli ottant’anni del professor Cerrato: famiglie, gruppi e persone singole che recarono molto affetto e tanta amicizia.

Rammento ancora divertenti aneddoti su Rocco birbante giocatore di pallone, sulla sua recente scoperta della pizza napoletana gustata sempre con Coca Cola, nonostante bonari rimproveri ecologisti o antimperialisti.

Nel 2011 riuscimmo a terminare la redazione del volume minzoniano “Memorie (1910-1919)” e le varie presentazioni che seguirono, a Ferrara e a Ravenna, in particolare, furono belle occasioni per sentirlo volare alto, approfondire temi e discorsi, non rimanere in superficie come tanti, affrontare le questioni senza timori o piaggeria, ma con rigore, verità e senso della storia.

Altri bei momenti li abbiamo trascorsi a Faenza, presso la Biblioteca Manfrediana, insieme ad amici e appassionati di storia locale; anche lì Cerrato diede prova della sua cordialità e della sua qualità di grande storico.

Una quindicina di anni fa ebbi un problema di salute piuttosto serio, parlammo al telefono, a cuore aperto e trovai in lui un fratello maggiore, una persona che si pone accanto a te e sulla quale sai di poter contare. Non lo dimenticherò. In altre liete occasioni le nostre famiglie si sono incontrate: sono stati momenti belli e importanti. L’ultimo incontro ci ha visti lavorare assieme intorno all’epistolario di due preti romagnoli, a cui teneva particolarmente, non solo per motivi di studio e ricerca, ma pure per riconoscenza e amicizia.

Non ha mai fatto mistero delle proprie idee, sia riguardo alla fede che alla politica: era, secondo me, un cristiano di base, un cristiano critico, un laico adulto, profondamente credente nell’Evangelo annunciato da Gesù Cristo.

Auspicava e lottava per una chiesa non verticistica e legata ai potenti, ma profondamente riformata e che sa accompagnare gli oppressi nella loro Liberazione materiale e spirituale. In questo senso partecipava al movimento delle Comunità di base e lui e Marcella erano partecipi alla Comunità di Bologna.

In politica, intesa nel senso alto del termine, cioè come servizio del prossimo, Rocco era una persona di sinistra, in cui per molto tempo aveva militato, senza dogmatismi ma impegnandosi in vari partiti e gruppi, che analizzavano le società facendo uso del marxismo con rigore e umanità.

Era una persona mite e generosa che operava per la pace tra le persone e i popoli.

Rocco Cerrato lascia, oltre alla preziosa testimonianza di vita, una serie di studi storici importanti, da quelli accademici su aspetti del Modernismo (movimento che, in estrema sintesi, cercò di modificare in senso democratico la struttura e la cultura della chiesa cattolica in Italia e in Europa all’inizio del 1900, anticipando, per diversi aspetti, le tematiche e le sensibilità del Concilio Vaticano II. Fu combattuto e duramente represso dalle gerarchie ecclesiastiche nei primi decenni del XX secolo.) sulle guerre del Novecento, sui legami tra religioni e politica, a ricerche sull’amata Romagna (dal corposo volume sul vescovo Battaglia e la diocesi faentina, al diario di Don Minzoni, a studi sull’ anticlericalismo) a lavori su protagonisti e crisi del secolo scorso nel nostro continente, a ricerche ed apporti originali pubblicati in riviste di storia.

Concludo riportando alcuni brani di un articolo che Rocco aveva scritto di recente:

È sempre più urgente che venga accettato da tutti il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie nazionali ed internazionali. Deve essere abolito il ricorso alle armi di distruzione di massa come mezzo per precisare le limitazioni delle sovranità nazionali e come strumento per stabilire un giusto ordinamento fra i popoli. Anche le religioni sono chiamate a dare un contributo a questa prospettiva.

La mostruosità della guerra moderna esige il rifiuto di ogni fondamentalismo religioso. La convivenza fra i vari e diversi momenti religiosi non può essere funzionale alla competizione e al confronto, ma deve far maturare disponibilità e comprensione reciproca. Ebrei, musulmani e cristiani devono rifiutare nella loro prassi ogni forma di scontro e di competizione. Un Dio che stronca le guerre è il Signore. (Gdt, 16,2).

Occorre dunque far crescere e moltiplicare momenti di preghiera comune per rendere sempre più evidente che la preghiera è gesto di comunione fra gli uomini di tutte le religioni e non esposizione della propria identità. I cristiani devono praticare l’incontro religioso ed offrire le proprie chiese come luoghi di comunione e di incontro. La preghiera inoltre può diventare momento ed espressione di uguaglianza. Una uguaglianza radicale che rifiuta al proprio interno ogni forma di potere religioso e tutela l’espressione e la convivenza fra tutte le diversità. Anche lo spezzare il pane può esprimere una comunione che ritrova in questi gesti conviviali la radice e la giustificazione di esperienze che nella tutela della propria varietà e diversità si propongono come segni dell’unità umana.”

Gian Luigi Melandri