Un percorso per superare pregiudizi e costruire assieme una città più inclusiva. A Faenza sono partiti gli eventi del Black history month. Tra i promotori di questa iniziativa c’è Ilaria Mohamud Giama, che lavora come funzionaria sindacale Cgil. Oltre a questo, si sta impegnando con tanti altri attivisti sparsi per l’Italia nella costituzione di un coordinamento antirazzista nazionale che avrà come scopo principale la tutela delle persone razializzate.

Intervista a Ilaria Mohamud Giama, promotrice faentina del Black history month

Giama, che cos’è il Black history month (Bhm)?

È una manifestazione nata negli Stati Uniti con l’obiettivo di approfondire la storia delle persone afrodiscendenti. In America viene svolto generalmente in febbraio e durante tutto il mese scuole, biblioteche, attività commerciali promuovono attività di tipo divulgativo sul tema.

Qual è l’importanza di parlarne anche in Italia e di declinarlo sulla nostra storia?

Chiaramente non possiamo pensare di importare un prodotto americano e replicarlo uguale in Italia, anche per la storia e la cultura differente che ci contraddistingue. Già nel 2016 a Firenze è stato organizzato il primo Bhm italiano e da lì è partito l’impulso per realizzarlo in altre città come Torino e Bologna, a cui ho avuto il piacere di lavorare alla realizzazione della prima edizione nel 2020. Penso che sia importante parlare di afrodiscendenti e della nostra storia in Italia perché purtroppo la narrazione mediatica e non solo è unica e nella maggior parte dei casi esclude le persone nere/di colore. Non siamo abituati a vedere persone non bianche in televisione, nei cartelloni pubblicitari o nella nostra quotidianità in posizioni non marginali. Personalmente sono cresciuta con “la gatta nera” del mercante in fiera come unica figura di riferimento che potesse somigliarmi. Sembra una banalità ma non lo è: questo genere di narrazione spesso spinge persone già in difficoltà a pensare di non poter meritare qualcosa in più rispetto alla gatta nera o il delinquente in prima pagina. La nostra storia, inoltre, è ricca di incontri e scontri con il continente africano che spesso non vengono raccontati o minimizzati. In ogni storia ci sono più punti di vista e pensiamo che sia giunto il momento di raccontare anche il nostro.

A Faenza un mese di settembre con iniziative legate alla storia, all’arte e all’incontro

Da chi è promosso il Bhm a Faenza?

È organizzato da Faenza multietnica, associazione composta da afrodiscendenti che da anni si occupa di inclusione e divulgazione. Assieme a Faenza multietnica abbiamo visto il sostegno dell’Anpi sezione di Faenza, Cgil di Ravenna e Forlì, con cui abbiamo organizzato alcuni degli eventi e con il sostegno della consulta delle associazioni con cui da sempre abbiamo avuto ottimi rapporti.

Quali appuntamenti avete organizzato?

Gli appuntamenti sono quattro: il primo è stato giovedì 8 settembre in collaborazione con Anpi sul tema del colonialismo assieme al prof. Filippi, storico della mente e autore del libro “Noi però gli abbiamo fatto le strade”; e Alberto Fuschini, presidente Anpi Faenza e co autore di “Faenza e l’oltremare”. È seguito giovedì 15 scorso all’ebistrot (presso ex salesiani) un evento dedicato all’espressione artistica: con il sottofondo musicale della voce di Silvia Mohamud Giama, accompagnata al piano da Francesco calderoni, sono state esposte le opere di Amissao Lima, noto pittore faentino che ha realizzato “in diretta” un’opera dedicata all’evento. Inoltre è stata presente Frères maglieria di Mamnungu Ramadhani che ha esposto i suoi capi frutto di un’insieme di culture: quella europea e quella africana.

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L’incontro con il prof. Filippi e il presidente Anpi Fuschini.

E i prossimi?

Il 22 settembre tratteremo il tema del lavoro, con un approfondimento sul tema del caporalato e contrasto allo sfruttamento nel nostro territorio assieme ai Segretari NIdiL Cgil di Ravenna e Forlì e alla Segretaria della Federazione Lavoratori Agricoli Cgil di Ravenna. Infine in 29 settembre al circolo arci Prometeo porteremo all’interno della manifestazione la tradizionale festa One Day In Africa realizzata fin dal 2006 a Faenza. In questo caso l’evento sarà centrato sul tema della cittadinanza: si parte alle 18:30 con la discussione sul tema della cittadinanza e avremo come ospite speciale Sabrina Efionayi, autrice napoletana che ha appena pubblicato con Einaudi il suo romanzo “Addio a domani”, e subito dopo il podcast “Storia del mio nome”. Successivamente cena con cous cous e sangiovese (su prenotazione), cerimonia del pingu, tradizionale cerimonia tanzaniana per premiare il “faentino che arriva da lontano” e a seguire dj set. Durante tutta la serata sarà presente un banchetto informativo sulle pratiche di cittadinanza per persone straniere gestito dal coordinamento di lavoratori migranti della Cgil Ravenna e sarà possibile avere una prima consulenza e informazioni in merito.

Giama: “La visione sul mondo eurocentrica non è una colpa, ma una fatto che dobbiamo comprendere per progredire mano a mano”

Quali sono, ancora oggi, gli ostacoli e i pregiudizi da superare in tema di razzismo?

Penso che l’antirazzismo non sia uno status, ma un processo. Con più precisione un processo di decostruzione che ci porta ad essere progressivamente antirazzisti. Come per la cultura c’è sempre da studiare, per il razzismo c’è sempre da deostruire. Questo perché viviamo in una società a maggioranza bianca, che purtroppo ha un passato coloniale con cui fa fatica a fare i conti e nolenti o volenti questo passato ci porta ad avere una visione sul mondo eurocentrica e “biancocentrica”. Non è una colpa, ma un fatto da comprendere per poter progredire mano a mano. Io stessa ho fatto i conti con il mio razzismo interiorizzato.

Che ruolo hanno i media e la società dei consumi (dal cinema alla pubblicità…) nel perpetuare un immaginario eurocentrico, che a volte è anche inconscio?

Come spiegavo all’inizio il ruolo della società dei consumi è fondamentale in questo processo. Nasciamo e cresciamo bombardati da immagini e messaggi, purtroppo questi contenuti non sono sempre positivi. Nel nostro caso la rappresentazione della donna è dell’uomo nero in Italia è spesso stereotipata è offensiva per le persone afrodiscendenti, ma purtroppo ancora molte sfumature non vengono comprese. Fin dal dopoguerra la figura dell’uomo nero è stata accostata a caricature offensive di uomini “selvaggi” quasi animali, e purtroppo le cose non sono cambiate molto da allora. A partire da Totò mascherato da ambasciatore di un Paese fittizio, il Catonga, che oltre a dipingersi di nero – con tanto di anello al naso – imitava la voce di quella che si pensava fosse la dizione dei neri che parlano italiano, con molte “b” e “d” al posto di “p” e “t” fino ad arrivare alle più recenti “maschere nere” presentate a Tale e Quale show in cui cantanti bianchi sono diventati le caricature, più che le imitazioni, dei più famosi artisti afroamericani. Questa narrazione fatta da altri sui nostri corpi neri non solo è dannosa perché alimenta razzismo, ma alimenta anche intrinsecamente un senso di apparente inferiorità e senso di impossibilità al successo.

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Le “maschere nere” di Tale e Quale Show

Anche io ho fatto i conti con il mio razzismo interiorizzato: non nego di aver avuto anche io più paura nell’incontrare un uomo nero di sera rispetto ad uno bianco, o di dare per scontato che una persona non fosse italiana solo perché nera. Questi costrutti mentali fanno parte di noi perché li viviamo ogni giorno attraverso la tv, le notizie dei media… ogni volta che leggiamo “immigrato” al posto “persona” in un titolo il nostro cervello assimila una serie di altre accezioni, che rimandano automaticamente a uno stereotipo di uomo nero. Non è facile decostruire una vita di abitudini e pensieri automatici, ma non è neanche impossibile.

“A Faenza servono più spazi di aggregazione popolare”

A tuo parere Faenza è una città inclusiva? Quali i punti di forza e quali i punti di debolezza su questo aspetto?

Penso che a Faenza esistano tante esperienze lodevoli come ad esempio il progetto Terra condivisa dell’associazione Farsi prossimo, o l’attività di altre associazioni singole, ma forse manca un progetto condiviso che riesca veramente a inserire le persone di origine straniera all’interno del tessuto cittadino. Questo problema non è solo faentino, ma sentito un po’ su tutto il territorio nazionale. Anche attraverso il mio lavoro mi rendo conto tutti i giorni di quanti sia più difficile la vita per una persona di origine straniera. Spesso incontro lavoratori e lavoratrici che non conoscono minimamente la burocrazia italiana perché nessuno gliel’ha mai spiegata: la conseguenza è che diventa molto facile cadere in reti criminali da cui è molto complesso uscire. Questo non fa altro che alimentare lo stereotipo dello “straniero criminale/pericoloso” che ci porta ad avere paura di una persona nera e che conseguentemente ci fa agire in una maniera più violenta nel momento in cui c’è la troviamo davanti. Gli esempi più drammatici sono gli omicidi recenti di Willy Monteiro, Youns El Bossettaoui (Voghera) e Alika Ogorchukwu (civitanova Marche). A Faenza, qualche mese fa lo stesso stereotipo si è manifestato nel divieto di ingresso alla piscina comunale di una famiglia perché di etnia rom, e quindi potenzialmente pericolosa. Malgrado questo episodio negativo penso che a Faenza il terreno sia pronto, i semi sono stati piantati e ci sia solo da migliorare.

Concretamente cosa si potrebbe migliorare?

Se avessi una bacchetta magica in primo luogo ragionerei sugli spazi: creare maggiori luoghi di aggregazione popolari accessibili a tutti. Creare spazi aperti condivisi accessibili a tutti sarebbe un’ottima punto di partenza. Chiaramente tutto questo deve essere accompagnato da una buona educazione inclusiva che parte dai bambini con l’educazione al diverso e prosegue con lo studio del colonialismo e la valorizzazione delle figure afrodiscendenti.