Pacificatori là dove la guerra si respira ogni giorno. Il faentino Tommaso Cappelli, 24 anni, ha fatto parte della delegazione delle associazioni riunite nel Mean – il Movimento europeo di azioni nonviolenta di cui fanno parte realtà ecclesiali, civili e politiche – che hanno marciato per la pace l’11 luglio scorso a Kiev assieme a rappresentanti istituzionali e della società civile ucraina. Cappelli ha partecipato in qualità di rappresentante di Azione cattolica.
Intervista a Tommaso Cappelli: “Gli ucraini hanno paura di essere ora abbandonati dall’Europa”
Tommaso, questa marcia a Kiev non è stata di carattere estemporaneo. Avete voluto dimostrare che azione nonviolenta non significa passività, ma azione, per l’appunto.
Esattamente. Questo viaggio è frutto di un percorso che ha visto una serie di incontri tra tante realtà differenti unite dagli stessi obiettivi di pace e giustizia. Eravamo in tutto una cinquantina di persone per 35 sigle e associazioni, ognuna con la propria sensibilità e il proprio contributo da portare in termini di dialogo. E l’obiettivo principale era proprio creare un dialogo con le realtà e associazioni nate in questi mesi in Ucraina che si occupano di assistenza umanitaria e di progettare la futura ripartenza del Paese. Lo scopo della nostra delegazione era testimoniare la nostra vicinanza al popolo ucraino e ascoltare, senza la pretesa di avere risposte preconfezionate da proporre a chi, ogni giorno, affronta il dramma della guerra.
Con questi propositi, siete partiti per Kiev.
La marcia ha avuto luogo in una data significativa. L’11 luglio si celebra san Benedetto patrono d’Europa e si commemora il massacro di Srebrenica. A Kiev abbiamo incontrato in Municipio il sindaco Vitali Klitschko e il nunzio apostolico, monsignor Visvaldas Kulbokas. Entrambi ci hanno accolto con gratitudine e ci hanno invitato a continuare ad aiutare l’Ucraina. Si sono poi succedute varie testimonianze, che rimarcavano l’importanza di essere non pacifisti, ma pacificatori. Il desiderio è quello di poter vivere in un’Europa unita e solidale, capace di garantire la pace tra i popoli. Tra loro è forte la consapevolezza che questo conflitto possa durare ancora per molto tempo. Nonostante questo, l’associazionismo ucraino non ha intenzione di arrestare il proprio impegno nel costruire un futuro di pace.
Che situazione hai trovato?
Ho viaggiato altre volte per l’Europa, ma per la prima volta ho capito cosa significa realmente attraversare una frontiera. Alle porte di Kiev aumenta la presenza dei posti di blocco militari e di pari passo l’eredità del conflitto si fa sempre più evidente. Vedi le case crivellate da colpi d’arma da fuoco, le montagne di macerie affiancate da auto carbonizzate. Arrivati a Kiev, lungo le vie della città il nostro gruppo si è dovuto smembrare perché è vietato girare per strada in gruppi da più di cinque persone. Abbiamo assistito a un allarme missilistico che ci ha obbligati a passare un paio d’ore nelle sale sotterranee dell’albergo in cui eravamo ospiti. Un’app tiene aggiornata la popolazione in tempo reale sulle notizie belliche. E tocchi con mano quanto la guerra sia soprattutto una guerra di propaganda: una nostra foto con un gruppo pacifista ucraino è stata subito intercettata dai servizi russi che l’hanno utilizzata per la loro narrazione. Tutto questo in pochi minuti.
“I giovani vogliono entrare nell’Unione Europea”
Come si sono svolti i tavoli di lavoro con i giovani ucraini?
Eravamo vicino al Museo nazionale, ormai sgombro per paura che le opere venissero depredate. Ci siamo suddivisi in gruppi tematici misti italo-ucraini dove abbiamo approfondito i concetti di pace, calandoli però nella realtà quotidiana che si trovano ad affrontare. Erano attivisti di Action for Ukraine, ma c’erano anche universitari. Con loro si è andati molto sul concreto. La preoccupazione degli ucraini è quella di non ricevere più aiuti e armi. I giovani hanno paura di essere abbandonati dall’Europa e si appellano ai valori europei. Sono consapevoli che è per questa aspirazione al modello europeo che il Paese è stato attaccato, concetto sottolineato anche dal nunzio apostolico. In questo contesto drammatico, non è mai mancata la speranza. Con i giovani ucraini abbiamo parlato del rilancio del turismo, di gemellaggi con città italiane attraverso cui creare ponti di pace, anche in ambito scolastico. Tornati in Italia, c’è ancora più la consapevolezza che la vera pace non sarà ottenuta con una firma in un trattato, ma con un percorso dal basso, e i progetti che porteremo avanti come Mean vanno in questa direzione.
Samuele Marchi