Era appena l’alba dell’umanità, quando Jahvè chiese conto a Caino del fratello Abele. Dopo il desiderio della potenza (diventare simili a Dio), l’uomo operò la violenza: la guerra è questa mescolanza di dominio e di violenza. Da allora, fratelli hanno continuato a uccidere fratelli, e continuano; da allora la volontà di potenza ha affidato alla forza il regolamento dei conti fra le Nazioni. Da ogni dolore sono nate nuove speranze, e le speranze deluse hanno causato nuovi dolori. La storia dell’uomo è cresciuta tra le guerre, alla volontà di potenza si è opposta la resistenza, alla sete di dominio l’ansia della libertà. Le guerre hanno spostato le genti, hanno distrutto le città e creato gli imperi. Così noi ritroviamo nella storia, ovunque nel mondo, questa lotta armata nella quale dominio e libertà, potenza e resistenza, segnano la vita dei popoli e decidono il destino delle nazioni.

Nella campagna d’Italia del 1944 si consuma uno degli ultimi tempi della seconda guerra mondiale. In essa si manifestò volontà di potenza, la convinzione che si potesse, attraverso la guerra, imporre all’Europa un ordine nuovo, fondato sulla superiorità della razza, e organizzato nello Stato totalitario. Nella campagna d’Italia si ritrova e si ricorda un nome: Linea Gotica. Si sviluppava per 200 chilometri da Pisa a Rimini e rappresentava una potente posizione difensiva tedesca a protezione della Valle Padana e del sistema industriale della Lombardia occupata dalle armate hitleriane. Le armate alleate che avanzavano da Roma verso il Nord furono bloccate sulla Linea Gotica dall’estate del 1944 alla primavera del ‘45. Su queste montagne si trovarono americani, britannici, indiani, tedeschi, partigiani italiani, a dare all’espressione “guerra mondiale” il sigillo della realtà.

Così Crespino del Lamone, Fantino, Lozzole, Campergozzole furono vittime delle cosiddette “stragi di innocenti”, pagarono con decine di civili uccisi per rappresaglia, in quell’interminabile calvario che erano diventate le molte contrade d’Europa interessate alla guerra, il loro tributo di innocenti al mito della razza e del totalitarismo. Sono passati 66 anni, la vita di tre generazioni. In questi anni sono morti altri innocenti, vittime di una concezione totalitaria dello Stato che non si è del tutto estinta con la caduta del nazismo, che anzi rivendica rigurgiti allarmanti.

A Crespino, come a Sant’Anna di Stazzema, a Marzabotto, alle Fosse Ardeatine, rimane un Sacello-ossario elevato e gelosamente custodito “perché l’oblio dei secoli futuri non copra delitto sì nefando”. Questo Sacrario non ricorda soltanto un nefando delitto. Esso ammonisce ogni generazione sulle condizioni della libertà che rendono possibile la pace. Chi può dire che non vi è più sete di dominio? Abbiamo costruito un’Europa che conosce oltre sessant’anni di pace, diventata la condizione normale di vita, anche se con essa convive ancora la violenza, lampeggiano la xenofobia e l’integralismo razzista. Il Sacello-ossario dice che nel luglio 1944 caddero genti dedite alle opere della vita perché non si era stati capaci d’impedire la guerra.
Le lacrime che furono versate siano ripagate nel ricordo di quelli che hanno avuto la fortuna di non piangere. Anche da quelle lacrime è nata un’Italia nuova e una Europa. Non è sempre accettabile alla ragione degli interessati l’appuntamento col destino, che tragicamente confonde in uno stesso dolore gli autori della guerra e gli inermi della terra.

Ricordare non è un semplice rito celebrativo, è un atto della vita, perché non vogliamo più rivivere il passato, specie un certo passato. Inchiniamoci davanti ai caduti, militari e civili, oggi rappacificati in una nuova storia, perché dipende da noi portare nella pace e nella libertà il loro ricordo, che ci consente di vivere questo nostro presente e rende concreta la speranza che il futuro può essere migliore.

don Bruno Malavolti
per il Comitato Onorcaduti di Crespino e Fantino

Programma 78° Ann Ecc. Crepino Fantino

Giuseppe Mariano Maretti, il redivivo di Crespino

Sette volte fucilato e miracolosamente sopravvissuto all’eccidio del 17 luglio 1944, Giuseppe Mariano Maretti si è spento nel Signore il 31 gennaio di quest’anno a seguito a quelle ferite. Per le sofferenze che egli ebbe a provare e per la sua bontà, unanime è stato il cordoglio del popolo. Ne rievochiamo la memoria, pubblicando il diario che egli stesso scrisse di suo pugno nei giorni che stette nascosto nei boschi, presago della sua fine, ma desideroso di tramandare i particolari del misfatto.

Fu il giorno 17 luglio 1944 a Crespino del Lamone 15 ore sonate. Qui si presentava il più tremendo e spaventevole destino.
Mentre che tutti gli Uomini civili si trovavano nei nostri campi attendendo ai nostri lavori della mietitura del grano.
In provisatamente giunsero numerose scuadre Tedesche e natifassisti, armati di fucile e rivoltella, ci anno strappati via dal nostro lavoro, barbaramente, a calci nel sedere bastonate nel groppone col calcio e con la bocca del proprio fucie, e furono portati d’avanti alla Villa del Sig. Carlo Mazza ove si trovava il Comando del Battaglione detto S.S.
Noi in questo caso credevamo che si volessero interrogare e ci anno trattenuti l’ per circa 10 minuti sempre appiantonati da molti Tedeschi sempre pronti con il fucile alla gola e mai guai a parlare fra noialtri civili ci davano puntate con la bocvca del fucile.
Nel tempo che noi n. 15 dei primi sorpresi altre scuadre dei natifassisti erano andati nelle campagne più vicine a raccogliere altri che stavano mietendo il grano anch’essi, anche loro camminando lungo la strada, furono abbattuti e alcuno ferito da fucilate, messi insieme a noi cinviarono lungo il fiume Lamone accolpi di fucilate; allora tutti si gridava e urlando pricipitamente alcuni dei più giovani tentarono a sfuggire ma invano rimasse il loro tentativo; furono fucilati tutto lungo il fiume. Poi la rimanenza ci mandarono tutti nel campo prossimo a destra del fiume e ci fecero alzare le braccia tre volte, e io per grazia di Dio ancora vivente nel tempo terribile dello spavento, raccomandavo al Signore la povera anima nostra col rivolgere tre Paternostri, Ave e Gloria allo Spirito Santo e col Giessù mio misericordia per tre volte e tutti gli altri rivarono in tempo a rispondermi invocazioni.
Poscia voltarono il primo compagno, di destra alla distanza di tre metri la prima fucilata al polmone e cadde subito atterra, e noi urlando e loro con fucilate incrociate fù un attimo caduti tutti atterra.

Io nella mia persona ebbi sette fucilate: due alla mano sinistra, due al braccio destro e una alla canna del naso, e due ultime alla gola, con queste rimasi semimorto circa due ore avendo sopra di me due dei miei compagni morti.
Quando per volere del nostro Signore sono ritornato in condizione vivente, ero in una pozza di sangue, e mi sono provavato ad alzarmi e mai mi riusciva io dal bruciore sembrami di esse in una ardente fornace, sempre rivolgendo preghiera al Signore per tre volte che se ero degno ancora di vivere mi avesse dato il suo divino aiuto di poter fuggire via di l’, da quel infame pericolo. Subito nel momento mi sentii un forte aiuto alle braccia e gambe riuscii allontanarmi circa venticinque metri dai morti, e nascondendomi in un cespuglio fino a ché non fù scurata notte, in quel tempo che ero io nascosto condussero il nostro povero Parroco che da tutti era amato; ed altri due nostri paesani gli fecero scavare la fossa e dopo gli fucilarono anche loro sul posto.
Insomma fra i primi e quelli dopo, quel giorno i barbari Tedeschi fecero l’opera di n. 28 persone assassinati da loro. Io di notte e tempo mi allontanai e rimassi per tre giorni nascosto nei boschi tutto straziato carico di vermini e formiche e mosche che divoravano le mie carni. Il quarto giorno sempre pregando il Creatore mi condussi alla casa ove erano sfollati la mia Famiglia e lì fui curato nelle ferite solo medicando con acqua salata levandomi i vermini delle ferite della gola con stecchi di legno.
Ora io sono rimasto privo di mangibola, non posso mangiare e neanche parlare bene, privo di forze fisiche, cosiché io posso dire che passo una vita da Martire alletà di 66 anni.
Le mando i più ossequi firmato il superstite Maretti Giuseppe Mariano.

Crespino lì 12-11-1945

tratto dal bollettino
“Le nostre vittime” 1948