L’ impressione è che la Chiesa ci sia ma sia molto frammentata e disorientata

Indifferenza, distanza, dimenticanza, esclusione, stanchezza, disillusione… la Chiesa non è presente nelle tante pieghe del mondo e della nostra società perché noi cristiani – discepoli di Cristo – non siamo accanto agli uomini lì dove sono e dove vivono. Mentre ci arrabbiamo perché la Chiesa esclude, affermiamo che siamo noi a non riuscire a creare luoghi di accoglienza, di incontro, di inclusione. Viviamo il nostro essere cristiani spendendoci in tanti servizi, ma senza vivere l’unità tra fede e vita. Viviamo frammenti di Chiesa e non riusciamo a generare quell’unica comunità accogliente e attenta all’altro, a chi è sul sagrato, a chi è nelle piazze, a chi è negli angoli delle strade, a chi è chiuso in casa, a chi è impegnato, a chi non può avvicinarci. Non viviamo quell’alleanza fra noi, fra le persone, fra i tanti servizi, fra le tante realtà che ci farebbe camminare come Popolo e crescere come comunità: questi frammenti preziosi del nostro essere Chiesa non riescono a creare un unico meraviglioso mosaico, non riescono a splendere come un’unica comunità accogliente, che ha a cuore tutti ed è attenta e aperta a ognuno. La comunità si sente “a pezzi”, la pastorale a settori accentua crepe e solchi, l’incoerenza diventa l’alibi per fare passi indietro. Solo poche persone, nel bene e nel male, “sempre le stesse” trascinano questi “pezzi” che di vivo hanno poco. Siamo come isole, a volte ci sentiamo sperduti, senza un orientamento, e facciamo l’esperienza di relazioni segnate dalle nostre ferite e povertà. Ci riconosciamo bisognosi e poveri: non sempre riusciamo a vivere le ferite e le ombre come il luogo per fare un’autentica esperienza del Risorto, a fare sì che il Cristo ci leghi gli uni agli altri proprio attraverso le crepe e i nostri limiti.

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Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra (Gen 11, 4). Eccoci, noi come quegli uomini che volevano raggiungere Dio con le proprie forze: costruiamo, restiamo nel nostro gruppo, siamo noi che possiamo creare unità, noi che possiamo toccare il cielo con le nostre forze. E mentre cerchiamo di costruire verso l’alto, Dio – attraverso la frammentazione – ci mostra che ci stiamo disperdendo in tante cose vane.
Perché gli altri non mi capiscono, non mi ascoltano, non mi seguono, non vengono? La divisione e la distanza che vive la nostra comunità è frutto della nostra pretesa di essere il centro. È la questione del diverso da ciò che sono io, da ciò che penso io, della diversità. Le lingue si confondono, non ci capiamo più e iniziamo a camminare in direzioni diverse. Fino a quando non arriva Lui.

Come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa (At 2,8)? Nel giorno di Pentecoste gli uomini tornano a incontrarsi, a dialogare, tornano all’unità. Non una monolitica solitudine senza differenze, ma il meraviglioso mosaico di tessere diverse ricomposte e unite da quel filo d’oro, lo Spirito di Gesù. Una comunione che è molto più di una compagnia. Stare insieme è importante, ma ancora non è sufficiente. Gli Apostoli erano insieme, c’era anche Maria, ma non basta il cenacolo per fondare la Chiesa. La Chiesa nasce quando il Risorto manda il suo Spirito, quando la sua presenza irrompe nell’individualismo e nella chiusura. Essi attendevano, rinchiusi nel cenacolo, nella speranza di un segno. E da quella fiducia, da quell’attesa, che mette al centro non sé stessi ma l’Altro, è scaturito il miracolo dell’unità. Tutti capiscono, tutti sentono questi uomini parlare la propria lingua. Unità e comunione sono dono del Signore e la diversità è la modalità nel quale esse vivono. La differenza e l’unicità sono il luogo nel quale lo Spirito ci fa fratelli, ci realizza come popolo, ci unisce in comunità. E allora, proprio come per gli Apostoli, non è più tempo di aspettare che gli altri vengano, né di attendere da altri il cambiamento. È tempo di muoverci tutti ma in unità.

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Lo abbiamo sperimentato in questi mesi: non è stata un’iniziativa solo dei consacrati o solo dei laici o solo di un gruppo specifico. Tutti insieme ci siamo messi in gioco e, quando ci siamo lasciati condurre spendendo qualcosa di noi stessi, abbiamo portato frutto.

Noi tutti siamo chiamati a portare frutto, a trasformare le parole in vita, in azioni concrete. E questo non singolarmente, ma come Chiesa unita, orientata verso il Signore Gesù: è Lui che ci unisce, è Lui che ci rende fratelli, è Lui che da molte membra ci rende un solo Corpo, un solo Popolo, guidato dallo Spirito santo, principio della creazione nuova, di un mondo nuovo.
(vescovo Mario, 5 giugno 2022)

Abbiamo bisogno di vivere e di incontrare con coraggio la diversità. È una parola un po’ vaga, ma che nella nostra vita è incarnata in volti e situazioni concrete. Se continueremo a evitare ciò che è differente (anziani, giovani, bambini, disabili, criticità…) la comunità non potrà superare la frammentazione che la divide e divenire un solo popolo per un’unica Chiesa.
Abbiamo bisogno di allargare il nostro sguardo, di varcare la soglia, tenere le mani gli uni degli altri per realizzare l’Amore di Cristo che instancabilmente ricompone.

don Michele Morandi, Cristina Dalmonte – referenti diocesani del Cammino Sinodale