Cinquant’anni di scoperte che possono arrivare dalle pieghe di una pergamena dell’anno Mille, da uno stemma che per la prima volta rivela la sua origine o dalla contemplazione di quelle navate così immense, testimoni dei secoli passati. Da cinquant’anni Marco Mazzotti, archivista della Diocesi, presta servizio alla Cattedrale di Faenza. Dalla cura degli spazi alle ricerche bibliografiche, un’esperienza di volontariato ricca e affascinante, che prosegue ancora oggi e che è partita quasi per caso. «Avevo sette anni e mezzo – racconta Marco -. Come la grandissima parte dei bambini di allora mi recavo regolarmente al catechismo e alcuni dei miei compagni servivano anche la messa. Io mi ero sempre rifiutato perché mi vergognavo, ma un giorno dell’aprile 1972, dietro loro pressante insistenza, decisi di andare e da allora non ho più “abbandonato” il Duomo. Rimasi molto colpito, in particolare, dalla solennità della Messa Crismale del giovedì santo».

Da quel momento è una scoperta continua, scatta una scintilla che lo porta ad approfondire ogni aspetto di quello scrigno così ricco di fascino e mistero. «In Cattedrale – spiega Marco -, ogni pietra, ogni suppellettile, ogni lapide, ogni più piccolo dettaglio ci rimanda, ci parla di qualcuno che, in maniera anonima o meno, ha vissuto la fede prima di noi, elementi che tutti insieme permettono di delineare una storia che continua a farsi scoprire ancora giorno dopo giorno».

In Cattedrale ogni giorno è una scoperta

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Marco bambino si reca così quasi quotidianamente in Cattedrale per ammirarne le bellezze. Ogni cerimonia diviene l’occasione per scorgere un paramento particolare o uno stemma insolito. Tante piccole e grandi curiosità che lo portano sempre più ad addentrarsi nella storia di quel luogo. E anche molte attività pratiche per averne cura, come quell’estate passata a ripulire gli antichi candelabri con il phon, o all’opera di riordino di stanze e archivi per lungo tempo rimasti in disuso. Nei primi anni il sacerdote che lo accompagna alla scoperta del Duomo è don Italo Cavagnini, deceduto nel 2011, che per diversi decenni ha servito la Cattedrale con profonda dedizione e umiltà. «Da lui ho appreso tantissime cose – ricorda Marco – e la passione per il lavoro di sacrestia, un lavoro discreto, non sempre apprezzato e molto più faticoso di quanto possa apparire e che solo chi lo svolge con cura può saperlo».

E nel corso di questo mezzo secolo di storia tanti altri sacerdoti della Cattedrale hanno concesso a lui fiducia, diventando veri e propri maestri. «Mi sono potuto dedicare alla cura dell’Archivio Capitolare – spiega -, che conserva alcune fra le fonti storiche più antiche di Faenza e che, in un secondo tempo, ha portato a orientarmi verso una specifica scelta di studio e professionale». Per la tesi di laurea ha svolto la trascrizione di quasi 200 pergamene datate a partire dal 1045. «Da quei documenti emerge l’origine della Faenza comunale – spiega Mazzotti -. Ci sono le attestazioni delle principali famiglie, legate alla Chiesa, che poi emergeranno, come i Manfredi e gli Accarisi, e che diventeranno sempre più intraprendenti». Un lavoro che mette al centro la pazienza e l’ascolto, dove anche il più piccolo grafo può rivelare i mutamenti di un’intera epoca e la voce dei nostri antenati.

“Oggi si sta perdendo il senso della tradizione, ma quando conosci la storia sei più forte”

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Qual è uno degli aspetti che affascina di più del nostro Duomo? «Della Cattedrale colpiscono sicuramente le dimensioni – spiega -. È una delle chiese più grandi in Romagna ed è l’esempio più puro del Rinascimento fiorentino dopo il tempio malatestiano di Rimini. La sua imponenza la porta ad avere una centralità che in tante altre città non c’è, e che si riflette anche sull’importanza liturgica che ricopre: nella nostra Diocesi la Cattedrale mantiene un ruolo centrale». Questo dialogo quotidiano con la Cattedrale ha fatto crescere Marco non solo dal lato nozionistico, ma soprattutto dal lato umano. «Il mondo contemporaneo oggi ci porta a un eterno presente dove si perde il senso della tradizione – spiega -. Trascorrendo tutto questo tempo in Cattedrale ho imparato a cogliere che dietro ogni oggetto, anche la più piccola lapide, c’è un rimando a un passato che ci accompagna ancora oggi. In Cattedrale puoi toccare veramente il passato per viverlo non come una fuga, ma come un modo più ricco per affrontare il presente e un cammino di fede. Quando conosci la storia sei più forte».

E non bastano certo cinquant’anni per conoscere tutte le infinite storie che racchiude lo scrigno della Cattedrale. «Ancora oggi mi soffermo a guardare gli altari, le cappelle laterali, e noto nuovi particolari. La passione per questo luogo è la stessa di quando ero bambino: certo, è mutata nel tempo, così come sono cambiate le tipologie di servizio che svolgo, ma il nucleo originario di questo, se si può dire, “innamoramento” è rimasto lo stesso. E come me, anche altri si prendono cura oggi di questo luogo, mossi da un sentimento simile. La durata della mia esperienza risiede nel continuo e intimo appagamento che si riceve da questo edificio così ricco di storia e di fede e che fa acquisire sempre una maggiore consapevolezza di come l’Incarnazione del Verbo sia veramente avvenuta nel tempo e nella storia».

Samuele Marchi