Una grande gioia per tutta la nostra Chiesa di Faenza-Modigliana. Don Marco Fusini sabato 2 luglio alle 18 in Cattedrale sarà ordinato presbitero dal vescovo monsignor Mario Toso. Fusini è nato l’1 ottobre 1991, e la sua parrocchia di origine è Santa Maria di Alfonsine: proprio qui don Marco presiederà la prima messa il 3 luglio alle 10.30.

Intervista a don Marco Fusini, l’ordinazione in Cattedrale

marco fusini faccia

Marco, cosa provi nell’avvicinarti all’ordinazione?

Tanti sentimenti diversi. Un misto tra stupore, sorpresa e quasi incredulità. Quando a fine settembre 2011 cominciammo questo percorso non avevo la minima idea di dove mi avrebbe portato e ancora non mi rendo conto bene di quel che sarà. Riconosco in me un certo timore: c’è sproporzione tra le attese della gente, le necessità concrete e le possibilità che ho. Come negli anni di Seminario e pure lo scorso (da diacono in servizio in parrocchia) spero riuscirò a riconoscere la presenza di Dio che mi accompagna. Ma su questo ho la certezza che alcuni sapranno aiutarmi ad aprire lo sguardo quando servirà. Riconosco in me una buona dose di gioia. Il tratto di vita fin qui, tra scoperte e avventure, mi ha lasciato un cuore contento.

È il desiderio e la speranza che nutro per il futuro. Infine, preparare la giornata del prossimo 2 luglio ha richiesto più energie di quanto pensassi. Stavo correndo il rischio di arrivare all’ordinazione con il cuore e la mente intenti solo a organizzare. Perciò, la settimana di esercizi spirituali vissuta poco fa è stata provvidenziale, ci voleva proprio. È stato bello accorgersi che Dio, nonostante i miei sforzi, ha già preparato ciò che importa davvero. Mi sono reso conto di poter donare poco, solamente la mia vita, niente di più, ma questo per il Signore è importante. E anche se Lui conosce tutto di me, errori, infedeltà, timori, oltre a qualche piccolo pregio, ancora una volta “scommette”.

Qual è la cosa più bella nel rispondere “sì” al Signore?

È che magari finisci su strade che nemmeno avresti potuto immaginare che però – forse – nel cuore desideravi percorrere.

Come è maturata in te la vocazione?

Riassumo con un’espressione non molto adatta a un articolo, ma eloquente: “boh”. Cioè, credo lo sappia meglio Dio di me. A ogni modo. La mia “storia vocazionale” comincia di sicuro dalla ricerca del senso della vita, quando sui 15-16 anni mi domandavo che senso avesse svegliarsi e andare a dormire ogni giorno. Fu allora che pensai per la prima volta a poter diventare prete, ma era un tempo piuttosto complesso, per cui su consiglio dell’educatore a cui facevo riferimento, decisi di attendere.
Passarono alcuni anni, le domande restavano. Lavoravo, dopo aver lasciato la scuola, ed ero legato alla vita della parrocchia grazie al gruppo Oratorio-Omg di Alfonsine. Questo mi ha tenuto in contatto con la Chiesa e di ritorno dal periodo in missione in Perù pensai di provare a vederci più chiaro. Domanda di senso, impegnarsi per gli altri, l’esempio di preghiera quotidiano, semplice e silenzioso della nonna Irma… credo siano stati gli “ingredienti” che hanno portato ad una prima maturazione della mia vocazione.

Come hai coltivato la chiamata?

Dovrò riconoscermi un merito questa volta: aver cercato risposte, averlo fatto con impegno e con una certa apertura e disponibilità. Ma devo al Seminario la parte più consistente del lavoro. E il nodo fondamentale riguarda le persone: quelle che ho incontrato negli ultimi 11 anni, quelle che hanno avuto il coraggio di darmi fiducia, che hanno “scommesso” su di me – quando nemmeno io l’avrei fatto –. Amici, guide, fratelli, che Dio ha messo nella mia vita. Mi è stato possibile coltivare quel barlume di vocazione, intuito tempo fa, grazie alle chiacchierate, alle litigate, al confronto e al conforto, che ci sono stati con chi ho avuto accanto e col Signore.

Ci sono stati momenti in cui hai avuto ripensamenti su questo cammino? Come li hai superati?

Momenti di crisi, di buio e di vuoto non sono mancati. Ho vissuto l’ultima prova più dura con il Covid-19: un cambiamento improvviso della vita, delle abitudini, assenza delle attività; i legami e le relazioni d’un tratto quasi sospesi. In quel periodo è stato difficile sentire la presenza di Dio. Mi ha fatto vacillare, tanto. Aver sentito così forte la mancanza del Signore aveva generato in me alcune domande; prima fra tutte: “se mi basta così poco per non riuscire a trovare Dio, su cosa sto poggiando la mia vita?”. Errore mio l’aver considerato in modo superficiale quel periodo. Ma, è certo, fino a quando ti trovi in mezzo alla tempesta è difficile avere uno sguardo adeguato alla situazione. È come cercare di tenere aperto l’ombrello quando ci sono forti raffiche di vento e piovono gocce d’acqua grandi come palline da golf. Rende l’idea? La sfida del Covid per me è stata l’ultima crisi fra tante altre. Per esempio: sentirsi inadatto e senza capacità, temere di innamorarsi, pensare d’aver sbagliato tutto. Come ho superato i momenti difficili? Senza prendere decisioni avventate. Non è saggio mettere in discussione le scelte fondamentali della vita in quelle situazioni. Prendere tempo, quindi; avere la pazienza di abitare quel vuoto. Mai da soli, però, sempre col consiglio e la guida di persone care.

IMG 20161001 WA0001

In quali servizi ti sei speso in questi anni?

Arrivare a Faenza e cominciare la Propedeutica aveva significato anche cambiare parrocchia. La prima in cui prestai servizio fu quella del Paradiso. Poi Duomo, San Marco, Granarolo e ora Bagnacavallo. Ho avuto occasione di fare catechismo, ho conosciuto l’Ac e lo scoutismo. In tutto ciò, forse, più che spendermi ho ricevuto: buoni legami, imparare dagli altri, rendermi conto che anche il mio contributo non è secondario. Non sono mancati i campi estivi e uscite: ogni anno c’era la proposta formativa del rettore.
E quanto tremavo nell’attesa di scoprire quale sarebbe stata! Le settimane a Scampia, il mese vissuto in una casa-famiglia della Papa Giovanni, il servizio “al Cottolengo” di Torino, per dirne alcune, mi parevano ostacoli insormontabili. Ora, mi accorgo: non ringrazierò mai abbastanza.

Che prete sarà don Marco Fusini?

Lo sa forse Dio! Scherzi a parte. Sento che mi è stato dato tanto nella vita. Per questo sono profondamente grato. Spero sarò un prete capace di condividere con gli altri i bei doni che ha ricevuto. Sono, e sarò, una persona che ha molto da imparare: Dio mi doni la grazia di restare aperto ai consigli e alle osservazioni che mi verranno da chi incontrerò. Durante gli ultimi anni ho potuto comprendere quanto sia importante avere pazienza, con se stessi prima di tutto, e poi con gli altri, e lasciare a ciascuno il tempo di cui ha bisogno per crescere; e nonostante il percorso di formazione, pur lungo se vogliamo, ho appena intuito quale sia il significato di alcune parole come “misericordia” e “perdono”. Vedo di essere all’inizio di un cammino.