Luigi e Giusy, appena trentenni, si dicono soddisfatti della loro vita attuale; entrambi stanno facendo un tirocinio inclusivo, lui presso il Mic di Faenza, lei presso una scuola materna. Entrambi vivono in una Casa per l’autonomia, lui in via degli Insorti, lei in quella di via Scalo merci, aperte da un anno a Faenza attraverso una collaborazione tra l’associazione faentina Grd – Genitori Ragazzi Disabili, la Comunità Papa Giovanni XXIII, la cooperativa La Fraternità. A oggi ospitano nove giovani. In questi mesi hanno raggiunto diversi obiettivi, sono diventati bravi nelle varie pulizie e attività domestiche: utilizzo di lavatrice, asciugatrici, lavaggio piatti. Luigi sottolinea come sia diventato bravo anche a sorridere quando arriva e quando esce dalla casa, Giusi invece orgogliosa elenca le ricette che ora sa cucinare… racconta soddisfatta che per lei autonomia è anche aver superato alcune paure. La domenica ognuno torna con le proprie famiglie o case-famiglia dove, confessano i ragazzi, è molto più facile vivere: «i genitori fanno quasi tutto».
Il progetto presentato a Roma al convegno della Pastorale delle persone con disabilità
Questo è in sintesi quanto hanno raccontato Giusy e Luigi al primo Convegno del Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità, tenutosi a Roma il 3 e 4 giugno dal titolo Noi, non loro. La disabilità nella Chiesa. Monsignor Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola, nella relazione introduttiva, parlando del cammino sinodale, ha sottolineato che non è una corsa e richiede ascolto. «La disabilità riporta alla mente la relazione. La velocità del cammino sinodale è misurata dalla profondità delle relazioni che si creano. C’è solo un grande noi da cui imparare».
Un progetto di vita che coinvolge ragazzi e famiglie insieme
Ed è stato così anche per la nascita delle due case per l’autonomia di Faenza, frutto di un percorso che nasce circa dieci anni fa. «Ci siamo incontrati come famiglie accomunate dal desiderio di aiutare i nostri figli a realizzare i loro sogni – spiega Elisabetta Cimatti, psicologa, referente della Grd faentina e membro della Comunità di don Benzi – ma ci siamo subito scontrati con la difficoltà di pensare a un futuro per loro dopo la scuola. Il percorso di formazione alla consapevolezza fatto dalle famiglie e il loro coinvolgimento economico non è secondario al successo del progetto per l’autonomia abitativa dei propri figli. Credere che i propri figli possano essere adulti e autonomi è come prima cosa una consapevolezza che deve partire dalle famiglie e per questo le famiglie stesse hanno necessità di essere costantemente formate. Questo ci hanno insegnato alcuni professori dell’università di Bologna che ci hanno accompagnato in un prezioso percorso di formazione pedagogica e psicologica tra cui il professor Cuomo, la professoressa Malaguti e il professor Canevaro, che ricorderemo sempre con grande stima. Altro punto fondamentale era partire da un’analisi funzionale reale e potenziale, per costruire un progetto di vita ragazzi e famiglie insieme».
“Anche il territorio si deve formare per renderlo competente nell’accoglienza”
Da qui si sono sviluppati interventi individuali nei contesti di vita dei ragazzi, poi l’apertura della bottega della Loggetta – negozio/laboratorio di apprendimenti e la ricerca dei tirocini, degli inserimenti lavorativi, di esperienze di volontariato sociale. «Il prof. Canevaro ci ripeteva spesso che affinché i ragazzi potessero essere inclusi realmente era necessario “occuparsi di formare anche il territorio per renderlo competente nell’accoglienza”. Per lui significava maturare un atteggiamento non di pietà, ma di giustizia ed equità. Così tante realtà profit e no profit a Faenza hanno accolto i ragazzi in contesti lavorativi reali, rendendoli protagonisti anche della vita produttiva del contesto cittadino». Questa straordinaria esperienza di vita indipendente riportata anche alla Cei, nel cuore della Chiesa, dagli stessi protagonisti, insegna che a volte le proposte sperimentali più autentiche possono nascere solo “dal basso”. A essere profetici sono i ragazzi con i loro desideri e la loro tenacia. Ringraziamo sempre i ragazzi che insieme ai genitori e ai volontari hanno partecipato alla sostenibilità di questo percorso fin dal suo nascere ma anche tanti benefattori e istituzioni che grazie ai fondi del “dopo di noi” partecipano a questo progetto di accoglienza e sviluppo del percorso di vita anche di questi cittadini “speciali”.
Paola Cani