Estote parati, state pronti, recita il motto degli esploratori. E gli scout della zona di Ravenna-Faenza si fecero trovare pronti, dieci anni fa, quando un terremoto devastante colpì l’Emilia. All’epoca Nicola Peroni, oggi capo scout nel Valdilamone, aveva 20 anni. Partì a inizio giugno, per una settimana, per Medolla, una delle località più fortemente colpite dal sisma. Con lui, che faceva servizio nel Faenza 1, altri cinque capi della zona. Il servizio consisteva nello stoccaggio e catalogazione dei beni di consumo in arrivo e in attività di gioco con i bambini. Una volta arrivato sul posto «era ben visibile il passaggio del terremoto; nessuno viveva più all’interno delle case – racconta Nicola – e il gruppo scout di Medolla aveva piantato tutte le tende in possesso all’interno dei campi da calcio o nei parchi. Chi aveva un camper o una roulotte ci viveva, le tende della Protezione civile erano tutte sistemate all’esterno di una scuola. E c’era da lavorare, tanto».

La testimonianza di Nicola Peroni, in servizio a Medolla nel giugno 2012

Come mai hai deciso di partire? 

Avevo amici nella zona di Reggio e Modena che provai a chiamare per sentire come stavano e quando riuscii a parlare con una di loro, Sara, mi disse che non poteva stare troppo perché doveva fare servizio ai bambini, mentre gli adulti sistemavano i primi campi in attesa della protezione civile o dell’esercito. Sara ha la mia età, avevamo condiviso esperienze scout insieme e non la volevo far sentire sola. In quei giorni poi girava all’interno dei gruppi scout il volantino per poter andare a fare servizio tramite la Protezione civile nelle zone terremotate e quindi ho colto l’occasione.

C’è stata una scena che, più di altre, ti ha colpito nel servizio?

Un pomeriggio stavamo scaricando dei viveri. Il magazzino era la scuola, le lezioni ovviamente erano terminate prima del tempo e in quei giorni i professori stavano comunque facendo le riunioni per gli scrutini, sotto il portico della scuola. Stavo spostando un bancale vuoto per fare spazio ma, tra il caldo e la stanchezza, perdo la presa e mi cade davanti ai piedi. Il rumore della caduta, che non sarebbe stato nulla di particolare in situazioni normali, fa spaventare i professori che erano dietro di noi tanto da farli alzare senza pensarci e andare all’esterno del portico. Arriva quindi un capo del Medolla, intimandomi di non fare più una cosa del genere. In quel momento ho davvero realizzato tutto quello che era successo nelle settimane precedenti. Una casa si può ricostruire, ma il terrore di vederla cadere rimane.

Che ricordi hai dei residenti che avevano perso tutto?

Le storie sono più che altro quelle dei capi scout del Medolla. Con noi dormivano quattro o cinque ragazze, le stesse che lavoravano con noi tutto il giorno, sempre di corsa e senza mai fermarsi perché, ci dissero una volta, se non si stancavano abbastanza non sarebbero riuscite a prendere sonno, nonostante dormissimo in una tenda della Protezione civile. La mattina ci svegliavamo alle 7, loro erano già in piedi a lavorare per gli altri terremotati. Ma ricordo che provavano sempre ad avere un sorriso. Direi che, nonostante il lavoro da fare, avevano più bisogno di ridere e giocare gli adulti dei bambini.

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Hai mantenuto dei legami con quei territori?

Per due o tre anni con una capo in particolare, perché avevamo scoperto che veniva a Faenza per la Nott de Bisò a trovare altri amici, quindi ci siamo trovati per un paio di anni alla festa. Ma non di più. È un peccato.

A livello personale in cosa avete portato un vostro contributo?

Prima di partire Andrea, il capo di Ravenna che aveva già partecipato agli aiuti del terremoto a L’Aquila, ci diede come consiglio di lavorare, non essere invasivi, lasciare spazi ed essere delicati nei rapporti, fare del proprio meglio e far vedere che saremmo stati lì esclusivamente per loro. L’unica cosa fatta dalla mia squadra, tutti alla prima esperienza, è stata di portare avanti questi giusti consigli. So che sembrano scontati, ma ricordarli ha fatto bene.