Come annunciato dal vescovo monsignor Mario Toso alla Messa del Crisma, domenica 15 maggio alle 18 in Cattedrale Stefano Lega, 30 anni, risponderà sì alla chiamata al diaconato. Attualmente Stefano lavora all’interno dell’economato della Curia e svolge servizio di segreteria generale, cerimoniere vescovile. E’ docente di Religione alla scuola media Sant’Umiltà di Faenza e svolge servizio di catechista e scout nella parrocchia di Brisighella.

Intervista a Stefano Lega

Come hai maturato la tua vocazione in questi anni?

Penso che il Signore in questi anni si sia fatto sentire tante volte, in maniera discreta, ma puntuale. Una chiamata che, guardandomi indietro, è avvenuta e avviene in un contesto ecclesiale. Appartenenza alla Chiesa che prima di tutto ha assunto i connotati di una parrocchia e di un gruppo di amici con i quali sono cresciuto e ho condiviso le prime esperienze di fede. Poi, l’appartenenza alla Chiesa ha preso la forma del servizio educativo, con i bambini e i ragazzi e qui è da subito stato nitido e pressante lo stimolo e il desiderio di spendermi con e per loro, nel catechismo, nei campi estivi e nelle varie attività. Questo credo sia stato “l’amo” che il Signore mi ha gettato, la pulce nell’orecchio che mi ha portato a farmi domande più profonde, a ricercare il senso di questa passione. Ecco che l’appartenenza alla Chiesa è per me ora la consapevolezza di far parte di un grande corpo, in cui però sento uno sguardo, unico e amorevole, personale, di Gesù su di me. Questo è lo sguardo con cui voglio stare e questo è il corpo in cui desidero vivere e in cui scelgo di mettermi a disposizione, a servizio.

Riprendendo il tema della Giornata mondiale delle Vocazioni di quest’anno, in che modo il tuo Sì può fare la storia?

È molto bella l’immagine scelta per quest’anno. Il mio sì, ogni “eccomi”, può fare la storia: intanto perché, se è vero che si sale su un treno in corsa, che qualcuno ha già fatto partire, è altrettanto vero che ora su questo treno ci sono anch’io, ci siamo anche noi, e abbiamo la possibilità di unire le nostre mani a quelle del Tessitore, perché questa trama non si può compiere senza di noi, perché le mani in pasta ogni giorno le devo mettere io e il Signore rispetta i miei tempi e la mia libertà. Ecco perché posso fare, ogni giorno, la storia, mia e di chi ho accanto.

In quali servizi ti stai spendendo in Diocesi?

Attualmente i miei ambiti di servizio sono tre: quello diocesano, quello scolastico e quello parrocchiale. In Diocesi lavoro nell’economato della Curia e svolgo i servizi di segretario generale, cerimoniere vescovile e seguo la sala studio della biblioteca presso il Seminario. A scuola insegno Religione Cattolica alla scuola media “Sant’Umiltà”, mentre in parrocchia svolgo servizio a Brisighella (in particolare con i ragazzi delle medie e con gli scout) e a San Marco (un gruppo delle superiori).
Come dicevo prima, mi piace l’idea di essere parte di un corpo, un piccolo ingranaggio che può dare il suo contributo. Il desiderio è quello di gettare qualche seme, che poi sarà un Altro a far crescere e magari saranno altri a veder germogliare. Posso fare la storia se faccio il mio per seminare, irrigare, raccogliere, senza pretese, ma con il desiderio di contribuire ad una crescita.

Che cosa significa per te essere educatore?

Credo che essere educatore significhi mettersi accanto, accompagnare. Saper essere accogliente e farsi carico del peso e di ciò che sta vivendo l’altro, mantenendo al contempo la giusta distanza per lasciare all’altro i suoi spazi. Poi l’educatore è chiamato non a trarre a se stesso, ma a essere un facilitatore dell’incontro tra il ragazzo e il Signore. Questa è la grande sfida e qui, per me, entra in gioco la fede: fede in un Dio che ci prende per mano, che arriva dove noi non arriviamo, che sana e purifica il nostro agire. Più il mio essere educatore sarà vissuto nel dialogo con il Signore e alla sua luce, più potrò essere d’aiuto per il fratello.

“Il mio sì una scelta di libertà”

Riguardando il tuo cammino verso il diaconato, ci sono stati momenti in cui hai pensato di mollare? E come li hai superati?

Più che momenti in cui ho pensato di mollare, ci sono stati momenti più difficili e faticosi, dovuti allo scontrarmi con la realtà, non sempre conforme ai miei schemi e alle mie aspettative, dovuti allo scoprire mie fragilità, nodi non sciolti, immaturità, così come il dover accettare di aver bisogno di fare tanta strada nella cura dell’amicizia con il Signore. Questo ha certamente portato a momenti di scoraggiamento. Mi ha aiutato e mi aiuta avere delle persone accanto a me con cui condividere la quotidianità e i cammini di ciascuno. È stato, ed è, importante, anche il confronto con le persone che curano la mia formazione, che mi aiutano a leggere le cose con occhi diversi e anche più distaccati, a relativizzare.

Ammissione fra i candidati allOrdine Sacro 25 aprile 2021 1

Si potrebbe pensare superficialmente che rispondere sì a questa chiamata – così come altre: il matrimonio, il sacerdozio – porti a perdere parte della propria libertà. In cosa questo sì ti rende invece più libero e realizzato?

In effetti quando uno sceglie definitivamente una cosa, sceglie quella e non un’altra. La scelta, infatti, di per sé porta a delimitare un campo, un raggio d’azione, a distinguere. Ma questo è proprio quello che “mi realizza”, perché orienta, dà un senso concreto e personale alla mia risposta all’amore di Dio per me. Quindi sì, ad un certo punto il Signore ti chiama, nella libertà, a definire una strada, che non significa, però, “incatenarti”, ma è la strada che ti conduce al “sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza” (Sal 16).

Samuele Marchi