Il traduttore del telefono decifra le parole in ucraino dette da un bambino: Posso giocare con il trenino? Una frase semplice, che le maestre hanno sentito pronunciare tante volte dai loro alunni, ma che detta da quel bambino di Kiev arrivato solo il giorno prima a scuola acquista un significato speciale. Serenità, delicatezza, ritorno alla normalità sono le prime parole che vengono in mente mentre le maestre danno al bimbo il trenino desiderato con il quale aveva giocato il giorno prima. Fuori dall’istituto, ad attendere i propri figli all’uscita da scuola, ci sono madri fuggite dalla guerra. Fino a qualche mese prima erano infermiere, docenti, alcune persino manager d’azienda. Tra tante incertezze sulla loro vita, l’appoggio fornito dalla scuola rappresenta un luogo di relazione da cui ripartire con dignità. Discrezione, sostegno e fiducia sono le parole che in questo caso vengono in mente e che offrono loro le nuove insegnanti italiane. Prosegue l’accoglienza dei bambini ucraini nelle strutture delle Scuole Marri-Sant’Umiltà di Faenza: in tutto sono sette i bambini, tra nido ed elementari, a essere stati accolti nelle classi.

La docente della Materna, Giorgia Samorini: “Stiamo vivendo il vero valore dell’accoglienza”

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«Abbiamo vissuto giorni di grande partecipazione ed entusiasmo per questi bambini, ma sempre con la giusta delicatezza per non creare imbarazzo tanto a loro quanto alle loro famiglie – spiega Giorgia Samorini, docente di una classe eterogenea della materna di Sant’Umiltà che segue bambini dai 3 ai 5 anni -. Al centro abbiamo messo le loro esigenze, e quello che vogliamo creare con loro è un rapporto di vera fiducia e dialogo, cosa non scontata per chi è dovuto fuggire dalla propria casa per trovare rifugio in un altro Paese». Sono già passate alcune settimane, ma Giorgia ricorda bene i primi momenti vissuti con i bambini ucraini, poco prima di Pasqua. «Rispetto agli adulti, i bambini hanno una grande capacità di adattamento – racconta –. Durante l’accoglienza, avevano occhi vispi e attenti, davvero affamati di curiosità per i nuovi spazi e per i nuovi compagni. Si sono subito lanciati da un gioco all’altro. Già il secondo giorno, per certi versi, si sentivano a casa: c’erano i piccoli e normali contrasti che si hanno a quell’età con i propri compagni, le prime richieste di giochi come quella di un trenino di legno: segno che non sono per nulla intimiditi dall’ambiente e dalle barriere linguistiche. La relazione è fondamentale ed è il valore di questa professione: dobbiamo metterci accanto a questi bambini accompagnandoli nelle loro potenzialità e fragilità».

E proprio in quest’ottica di scoperta di sé, i bambini ucraini hanno potuto poi vivere nuove esperienze grazie ai laboratori gestiti dalla scuola, come l’Atelier. Seguendo il metodo Bruno Munari, gli alunni manipolano la creta e materiale di recupero per dare forma alla propria creatività. E poi laboratori di musica, di inglese, di motoria. E da queste prime esperienze si arriva poi a testimonianze di vera e propria inclusione, come può essere l’invito a una festa di compleanno di un compagno o il trascorrere un pomeriggio assieme al parco con una famiglia ucraina. «Stiamo facendo vivere ai nostri bambini il valore della vera accoglienza – spiega Giorgia – che passa anche da questi piccoli gesti quotidiani di giustizia e di pace. In questo tutte le nostre famiglie si sono sentite coinvolte, ed è un messaggio fortissimo che diamo assieme ai nostri bambini».

“Il bello del mestiere dell’insegnante è che ti metti in gioco sempre”

Fondamentale in tutto questo percorso è il rapporto con le mamme ucraine. Il cercare di parlare lo stesso linguaggio: non tanto italiano o ucraino, ma il linguaggio dell’educazione. «Il bello del mestiere dell’insegnante è che ti mette in gioco sempre, non ti puoi mai sentire arrivata – commenta Giorgia – da un giorno all’altro possono arrivare sfide nuove che devi saper affrontare, come quella che stiamo vivendo oggi, dove dobbiamo tracciare strade nuove per il bene dei nostri bambini e delle nostre famiglie».