Questa è una prima testimonianza di una serie che confluiranno nel prossimo numero de Il Piccolo e dalle quali sarà evidente fino a che punto Damiano fosse inserito nella vita del nostro territorio e, soprattutto, di quale fibra fossero questi suoi legami di cui la ragnatela è forse l’immagine più appropriata. Se dovessi cercare la fibra, la molla che lo ha guidato e spinto nel rapportarsi al mondo in cui si è trovato a vivere, userei l’espressione «attenzione partecipata», o, se vogliamo «disponibilità attenta». Una disponibilità senza condizioni, non impicciona, leggera seppur decisa nella sua attenzione. Come pure un’attenzione sempre vigile, mai in ferie, però discreta, nella sua costante disponibilità. Fin dall’adolescenza, per Damiano, era normale mettere in atto eventi e situazioni dove gli altri venissero coinvolti, nessuno escluso. Non doveva mai mancare la componente ludica: anche la catechesi doveva prevedere un catechista a pieno titolo che organizzasse i giochi, perché anche il gioco è una cosa seria e una componente fondamentale della crescita umana che deve valere per tutte le età. Immagino che il lettore di queste righe vada subito ai princìpi pedagogici del maestro Lodi, di Rodari, don Milani…
Questo suo desiderio di vedere praticata una crescita educativa legata alla felicità condivisa, raggiungeva il top con i giochi notturni dei campi estivi. A partire da Sarna – Rivalta – Borgo Tuliero, si era arrivati a coinvolgere, per i campi, un po’ tutte le parrocchie cittadine, zona forlivese, e i giochi notturni fine campo diventavano parte delle attese di tutti. Niente era lasciato al caso, tutto era organizzato nei minimi particolari: ne mancava solo uno, perché una volta che la macchina era partita, aveva i suoi tempi, non quelli però dell’orologio di noi comuni mortali. E il suo sorriso bloccava inesorabilmente le nostre preoccupazioni che erano legate al tempo cronologico; lui invece sentiva il tempo non come cronos, ma come kairòs, il tempo favorevole, il tempo biblico che va colto e vissuto nella gratuità del dono condiviso. Fra cronos e kairòs la sua scelta di campo è sempre stata chiara.
Ho sottolineato il desiderio del Damiano ancora ragazzino di vedere attorno a sé gente con la voglia di vivere una vita il più possibile nella felicità condivisa, perché anche nei suoi impegni successivi, vissuti con modalità e situazioni diverse, fatte per lo più di bisogni materiali e non, questo tratto è rimasto sempre presente.
L’obiettivo suo non era mai il bel gesto fine a sé stesso, ma il voler/dover risolvere la situazione problematica con la quale era venuto a contatto. Questo suo modo di essere coinvolto, denotava una fede molto laica e, proprio per questo, anche molto evangelica. Una fede adulta, senza orpelli sacrali. Bonhoeffer, pastore luterano impiccato da Hitler, nelle sue lettere dal carcere, diceva che era arrivato il tempo di un cristianesimo «non religioso», un cristianesimo non tisico, anoressico, ma investito dello spessore storico vetero testamentario, una fede che sapesse accettare la secolarità, l’autonomia ormai adulto e sapesse testimoniare al centro del villaggio il Dio della vita piena che non gli fa ombra la felicità umana, anzi, concludeva Bonhoeffer: «chi sta con un piede solo su questa terra, starà con un piede solo anche in cielo». E Damiano aveva tutti e due i piedi ben piantati in una terra dove ancora troppi non potevano vivere una vita piena e felice.
Anche per questo le iniziative diocesane sulla Pace vedevano Damiano, e l’amico Davide Patuelli, infaticabili tessitori di una rete che andava oltre i confini religioso–confessionali e sapevano confluire in una laicità operosa secondo la nostra Costituzione che prevede la solidarietà (art. 2) non come un fiore all’occhiello di una qualche veste religiosa, ma come un dovere inderogabile di ogni cittadino. E Damiano aveva preso sul serio anche l’art. 11, dove si afferma che l’Italia «ripudia la guerra come mezzo per risolvere le contese internazionali»: aveva quindi optato per il servizio civile perché non voleva sciupare il suo tempo per portare a spasso mitragliette e bombette varie (nel ripudio della guerra è compreso anche il ripudio dei suoi strumenti, o no?).
La laicità della sua fede si manifestava senz’altro nel lavoro profuso alla Caritas diocesana e anche nella disponibilità a lavorare nell’Amministrazione comunale. Ma vorrei tornare all’aspetto legato al dialogo fra le religioni presenti sul nostro territorio. Era chiaro per Damiano che dialogo non doveva significare mettersi a discutere o confrontarsi sulle proprie identità, ma si trattava, appunto, di trovare una nuova identità che nascesse da iniziative comuni dove si potesse vedere nella pratica che la diversità, non solo non era un ostacolo, ma una ricchezza da valorizzare proprio nella sua dimensione in quanto tale (cosa dice di diverso l’art. 3 della nostra Costituzione?).
Diceva un teologo conciliare, Hans Küng: non c’è pace vera se fra le religioni non c’è pace». Vorrei concludere con un altro profeta conciliare, Ernesto Balducci, che termina il suo testo L’uomo planetario con queste parole che piacevano a Damiano: Chi ancora si professa ateo o marxista, o laico, e ha bisogno di un cristiano per completare la serie delle rappresentanze sul proscenio della cultura, non mi cerchi. Io non sono che un uomo.
Otello Galassi
Foto di copertina: Gianni Zampaglione