Luca ha 28 anni viene da Pieve Corleto: laurea magistrale in Ingegneria dell’energia elettrica, V teologia; Matteo ha 28 anni viene da Russi: laurea in Scienze internazionali e diplomatiche, V teologia; Matteo ha 23 anni, viene da Faenza: laurea in Tecnologie agrarie, II teologia; Filippo ha 28 anni, viene da San Biagio: laurea in Economia e professione, II teologia; Daniele ha 24 anni, viene da San Severo: laurea in Filosofia, I anno di propedeutica; Marco Fusini diacono, viene da Alfonsine: baccalaureato in Teologia.
Sono vite e volti di giovani che, a diversi punti del cammino di discernimento e formazione, stanno mettendo tutta la loro vita a servizio del Signore per noi. Mi piacerebbe che, per un attimo, li guardassimo da due punti di vista.
Realtà
Partiamo dall’esterno. Su di loro, da parte di molti, si riversano attese grandissime e sproporzionate per quello che sono e per quanti sono; alcuni li guardano con sospetto cercando di capire quale interesse o malata compensazione ci possa essere dietro a questa scelta o al solo pensiero di questa scelta; altri li guardano come uomini che si stanno formando in strutture non adeguate ai tempi odierni per cui li “battezzano” già come inadatti ad affrontare il mondo e il tempo che stiamo vivendo; altri li guardano con occhi di fede e ringraziano Dio che ci sono e pregano perché altri dicano “si”; altri ancora si commuovono, sperano, pregano, gioiscono e ne assumono le paure e gli slanci vedendo in loro dei figli, dei fratelli e dei nipoti che stanno regalando tutta la loro vita. Tutta in senso estensivo: per tutto il tempo; tutta in senso intensivo: con tutta la loro persona.
Ora guardiamoli dall’interno, dal loro punto di vista.
Guardano, ascoltano il Signore e gli dicono: “eccomi”, “aiutami”, “sostienimi”, “inviami”, “non lasciarmi solo”, “perdonami, mio Salvatore”. Guardano noi e hanno paura di deluderci, tanta è l’attesa che abbiamo su di loro sia sulla quantità del lavoro che immaginiamo sulle loro spalle, sia per la grandezza delle sfide. Guardano alla complessità del mondo e ascoltano tutti quelli che passano dal Seminario e gli dicono: «Dovresti intenderti di pastorale familiare, sanitaria, vocazionale, di diritto, di pedagogia, di filosofia, di amministrazione, di psicologia, devi pregare, bisogna che tu veda cosa c’è all’estero, ma sbrigati perché abbiamo bisogno qui, devi contemplare, devi vestirti da giovane, stai attento a non essere troppo mondano… e poi, cosa fai in Seminario? Non è vita vera. Dovresti vivere fuori, lavorare, vivere in famiglia, fare il mese ignaziano… devi stare nel mondo perché è lì il futuro… tra preti non siete capaci di vivere insieme, vivete insieme così non siete soli».
Guardano a noi, non chiedono sconti di fine stagione, desiderano fratelli, padri, madri, amici che con loro e con Gesù camminino insieme per annunciarLo. Anche loro hanno nel cuore la domanda fondamentale del cammino sinodale.
Questa è la realtà e questa realtà ci richiama a un dovere di azione per loro e con loro: la formazione.
Formazione
Negli ultimi anni si è scritto moltissimo sulla formazione dei e nei Seminari. Alcuni interventi sono stati senza dubbio di spessore e sono fonte per una seria riflessione, molti altri sono frutto del “sentito dire” e di un’irreale conoscenza dei Seminari e dei giovani che chiedono di intraprendere un percorso. La Congregazione del clero ha emanato nel 2016 un documento normativo per la Chiesa universale Il dono della vocazione presbiterale che detta le linee fondamentale per la riforma e la Chiesa italiana è impegnata a recepirne gli stimoli.
Non è questo il luogo per un approfondimento sulla riforma necessaria, ma penso di dover condividere con la nostra Chiesa alcune suggestioni che facciano percepire la portata della riflessione in atto.
1) È sempre più urgente una conoscenza profonda dei giovani che chiedono di entrare, attraverso una lettura profonda, scientificamente supportata, del contesto culturale in cui i giovani crescono tenendo conto, peraltro, della rapidità dei cambiamenti. Dobbiamo essere pronti a vivere in uno stato di aggiornamento permanente.
2) Il modello del Seminario del Concilio di Trento aveva proposto una forma e un metodo assolutamente corrispondente alle esigenze del tempo. Oggi è necessario fare un’operazione simile, che leggendo profondamente il contesto odierno, tenga presente alcuni elementi essenziali tra i quali:
a) la necessità di una vita comune che a diversi stadi della formazione coinvolga la presenza di laici, sia uomini che donne, per una crescita umana che sappia vivere la complessità delle relazioni e prepari ad una reale capacità di corresponsabilità;
b) dovranno crescere le esperienze di inserimento nel mondo della cultura (università), del lavoro, della pastorale e non dovranno essere parentesi o laboratori, ma parte integrante e integrata della formazione dei candidati perché il seminario sia innanzitutto vita “normale” e vita cristiana. In queste realtà i candidati dovranno fare graduale esperienza di responsabilità di cui portare il peso;
c) date le sfide del nostro tempo dovrà essere coltivata una solida formazione culturale, profonda e approfondita;
d) da parte dei formatori, è necessario passare dal pensiero della verifica della vocazione dei singoli, alla prassi dell’accompagnamento, perché è solo in un contesto di relazione profonda che si può effettivamente operare un discernimento ecclesiale. Su questo, per spiegarmi, faccio un esempio. Mia madre fa delle torte buonissime e lei mi passa la ricetta nei minimi dettagli. Io la ripeto con fedeltà e il risultato è questo: la sua torta è buona, la mia no.
Non sarà sufficiente una riforma “degli ingredienti”, un ri-dosaggio o un’aggiunta, anche se le strutture e le componenti hanno il loro significato e andranno operate delle modifiche. È necessario un pensiero nuovo, mani che impastino gli ingredienti in maniera differente.
Il pensiero nuovo è quello dell’accompagnamento ecclesiale di un giovane in formazione, per la missione. Da questo pensiero andranno colte con coraggio tutte le sfide concrete che esso comporta.
Le conseguenze dell’accompagnare i giovani di questo tempo; le conseguenze del fatto che il soggetto dell’accompagnamento è la comunità ecclesiale di questo tempo e che il fine è la missione per l’annuncio.
Dono
Questi giovani sono un dono di Dio e ogni dono richiama alla responsabilità ed alla gratitudine. Essi sono un dono non solo perché ne abbiamo bisogno, ma perché sono un segno di Dio che chiama, e se saranno ministri ordinati diventeranno, insieme al vescovo, segno sacramentale di Cristo buon Pastore così come gli sposi lo sono di Cristo sposo. Essi sono per ogni giovane stimolo della bellezza del seguire Cristo, del suo amore che trasforma tutto di noi e del fatto che non c’è limite che ostacoli il suo amore.
Questa giornata ci aiuti a sostenere con la preghiera, l’amicizia, la stima e l’aiuto concreto questi giovani e l’istituzione che con umiltà, trepidazione, coscienza dei propri limiti, e proprio per questo abitata da Dio, cerca di formarli per la causa del regno.
don Michele Morandi, rettore del Seminario