Dopo due mesi intensi e sofferti si è chiusa la vertenza legata alla fabbrica dei marroni. Come in ogni trattativa si è dovuto trovare – ovviamente – un punto d’incontro: abbiamo salvato i posti di lavoro ma abbiamo perso la produzione dei marron glacé che rappresentavano la punta di diamante dello stabilimento. È presto per tracciare bilanci definitivi e il tempo ci aiuterà ma è certo che – al di là degli aspetti puramente economici e contrattuali – queste giornate, oltre ad entrare di diritto nella storia del nostro paese, devono lasciarci qualcosa in eredità.

Resta sicuramente il fatto che un fondo di investimento internazionale ha cambiato i suoi piani, cosa che non capita di frequente: in due mesi siamo passati da una paventata chiusura della fabbrica a un ridimensionamento per finire poi con una conferma dei livelli occupazionali. Immagino che l’idea fosse quella di chiudere alla svelta, magari sopportando qualche polemica che, invece, è diventata la vera e propria resistenza di un territorio e di una comunità intera. Così – anche di fronte a un tam tam mediatico inaspettato – è arrivato il passo indietro.

Resta l’aspetto evidenziato da Valerio Fabiani, delegato del presidente Giani alla trattativa, il quale ha rilevato come sia forse la prima volta in cui anche i lavoratori stagionali – che non godono di nessun diritto – verranno garantiti e protetti nella fase di trasformazione di un’azienda e come questo possa diventare un precedente significativo, utile anche per altre vertenze.

Resta la scoperta di quanta solidarietà si possa scatenare in queste occasioni: i piccoli e grandi gesti dei cittadini, l’impegno delle istituzioni, il supporto delle associazioni, la disponibilità di personaggi più o meno noti a prestare la loro faccia alla causa e il giorno del corteo è stato bellissimo vedere quanta gente fosse venuta da fuori Marradi per manifestare insieme a lavoratrici e lavoratori. Sorprendente, certo, ma solo perché – presi dalle nostre cose – tendiamo a dimenticare che tutto quello che succede al nostro prossimo non è vero che non ci riguarda.

Resta la sensazione che quella fabbrica, che per molti di noi era “solo” una fabbrica e che forse davamo per scontata, è diventata per davvero qualcosa di nostro.

Resta la consapevolezza della necessità di valorizzare, organizzare e innovare la filiera locale del marrone, magari sfruttando le conoscenze scientifiche che abbiamo la fortuna di ospitare nel nostro paese e la coesione che hanno mostrato i castanicoltori in questa occasione.

Resta che le vicende del nostro piccolo paese (che diventa sempre più piccolo: 71 abitanti in meno solo nel 2021!) sono uscite dai nostri confini e sono diventate di interesse nazionale, procurandoci anche un pochino di pubblicità.

Resta la speranza di potere ripartire a gestire il prodotto di eccellenza. Abbiamo il know how e le specializzazioni per produrre il marron glacé nel caso in cui qualcuno (in fondo l’opzione Prada c’era) volesse tornare a investire su questa leccornia che aveva portato il nome di Marradi in giro per il mondo.

Resta un’altra conferma del fatto che siamo tutti piccoli ingranaggi in una grande macchina che poco rispetto ha delle persone e delle piccole realtà, che si possono “depredare” senza tanti convenevoli. E resta – ahimé – il dubbio: stavolta è andata, la prossima chissà.

Ma abbiamo scoperto anche cose più leggere. Abbiamo scoperto che si può fare resistenza anche con il sorriso sulle labbra. Abbiamo scoperto che con Gaia Nanni si può passare dal riso al pianto in pochi secondi. Abbiamo scoperto che Maria Pia Timo fa ridere anche quando parla di marron glacé. Abbiamo scoperto che per qualcuno i dolciumi dovrebbero essere sugar free. Abbiamo scoperto che le persone possono sorprenderti. Abbiamo scoperto che ci si può emozionare per una messa recitata davanti ai cancelli di una fabbrica o per un consiglio comunale sotto la neve. Abbiamo tutti scoperto e imparato un po’ di tutto. Io ho pure scoperto che riesco a dormire su una brandina.

E visto che sono finito – come al solito – a parlare di me, concedetemi un’ultima, personale, considerazione. Fin dal primo giorno di questa storia ho pensato che questa poteva essere – paradossalmente – una grande occasione per il nostro paese, che sembra piuttosto propenso a chiudersi su sé stesso. Molti non la penseranno allo stesso modo, ma era l’occasione per ritrovare mordente ed entusiasmo, per ricompattarci intorno a una bandiera e a una causa comune.

C’è da ripartire. Ci sono giovani da coinvolgere. Ci sono associazioni da sostenere. C’è un paese da far vivere. Le fatiche di questi due mesi ci hanno mostrato una strada e ci hanno regalato un’opportunità.

Sarebbe un peccato sprecarla.

Andrea Badiali