È una zuppa tradizionale ucraina. Si chiama borsch. È a base di barbabietole e viene servita calda con panna acida. Da qualche giorno la cucina della casa Bersana di Faenza ha iniziato a ospitare i suoi odori e sapori. Mentre il pentolone bolle sotto lo sguardo vigile di Natalia, nel cortile cinque bambini, come tutti i bambini del mondo, giocano rincorrendo un pallone. Appena un ospite arriva al cancello, si fermano un attimo e gli dicono: «Ciao!». Salutano gentilmente, qualche occhiata, i più grandi si avvicinano presentandosi col proprio nome, tendono una mano. Poi riprendono a correre.

Dentro la casa le mamme lavano i panni, cucinano, fanno due chiacchiere, si sostengono a vicenda. Don Marco Ferrini, il direttore della Caritas, ha fatto subito avere loro assistenza burocratica, cibo e, nei giorni scorsi, una lavatrice. Ogni tanto alcune frasi, è inevitabile, spezzano la serenità ricreata. «Cosa si dice in tv qua in Italia della guerra nel nostro Paese?», «Mio marito e mio fratello sono ancora in Ucraina», «Siamo arrivati qui di notte, grazie a un passaggio di un connazionale al volante di un furgone. La paura è tanta, ma non potevamo fare altro che fuggire via dalle nostre case e dai nostri lavori». A parlare è Iryna, 33 anni, insegnante di inglese a Yampil, cittadina di 10mila abitanti al confine con la Moldavia. È mamma di due bambini, di 8 e 2 anni. In tutto oggi sono 22 i profughi ucraini alla casa Bersana di Faenza, sette famiglie che al momento abitano sotto lo stesso tetto. Persone accolte grazie agli sforzi della Diocesi e della Caritas in collaborazione con l’Amministrazione. Una risposta pronta a chi grida aiuto e fugge dal dramma della guerra.

Iryna, in fuga con due bambini. “In contatto con i nostri famigliari in Ucraina, non sappiamo mai cosa accadrà il giorno dopo”

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Un piatto di borsch, tipica zuppa ucraina.

«Abbiamo viaggiato per quasi tre giorni, dormendo nel furgone – prosegue il racconto di Iryna, mentre la sua bimba più piccola fa dei disegni sul tavolo a fianco – e attraversando la Moldavia, la Romania, l’Ungheria, la Slovenia entrando poi in Italia». A Yampil, nella parte sud-occidentale del Paese, il 26 febbraio scorso bombardamenti e assedi non erano ancora arrivati. I segnali della guerra però c’erano già tutti: la scarsità di cibo, la mancanza di carburante, il sibilo sempre più forte degli aerei. Il gas arriva a casa solo una volta a settimana. I supermercati erano già esauriti, la spesa si faceva comprando direttamente dai contadini. La famiglia di Iryna ha un campo e, grazie a quello, può garantirsi il cibo, ma per quanto ancora? Così quel giorno Iryna decide di partire con i suoi bambini, grazie a un passaggio di un conoscente, Vlad. «Gli unici oggetti che ho portato con me – dice – sono stati i vestiti dei bambini e dei medicinali». A Yampil sono rimasti il fratello e il marito di Iryna. Don Vasyl, il parroco della comunità cattolico-ucraina di Faenza, ha donato loro delle schede telefoniche per restare in contatto con i propri cari. Si sentono regolarmente, «ma non sappiamo mai cosa potrà accadere il giorno dopo. L’unica cosa che vogliamo è che la guerra finisca presto e poter tornare a casa» ammette Iryna.

Sette famiglie al momento sono ospitate alla casa Bersana

Al centro dei suoi pensieri c’è il futuro di Anna e Maxim (nomi di fantasia), i due figli. «Oltre alla loro serenità, in questo momento hanno bisogno di proseguire la loro istruzione, per questo sarebbe importante per noi avere degli strumenti adeguati». Oltre allo studio, il più grande Maxim vorrebbe giocare a calcio, la sua squadra del cuore è il Real Madrid. «Quanto dista Faenza?» chiede, sperando nei prossimi giorni di poter raggiungere un campo da calcio a piedi o in bicicletta. Tutte le famiglie sono riconoscenti per quanto in questi giorni è stato fatto per loro. «Stiamo davvero bene qui, c’è tutto quello di cui abbiamo bisogno e mi ha colpito davvero tanto la solidarietà delle persone» commenta Iryna. Aiuti materiali, ma anche gesti di sincera vicinanza.
In cucina le altre mamme non parlano l’inglese come Iryna, ma la loro gratitudine traspare in tanti significativi gesti. Una zuppa offerta da gustare assieme, la corretta pronuncia dei nomi italiani e ucraini che può diventare un gioco, il pinzimonio che, mangiato in un certo modo, rimanda a una tradizione ucraina per trovare moglie o marito. Alcune di loro, meno fortunate di Iryna, le bombe le hanno vissute sulla pelle. E ora alla casa Bersana si fanno forza e continuano a guardare al futuro.

Si attivano 24 posti al monastero Santa Chiara

L’accoglienza non si ferma alla casa Bersana. Al monastero Santa Chiara martedì scorso la Diocesi ha accolto tre famiglie per un totale di 12 persone (sei donne, di cui una incinta, e sei bambini). Nei prossimi giorni altre se ne aggiungeranno, per arrivare complessivamente a occupare 24 posti. «Si tratta di famiglie che momentaneamente erano ospitate da loro parenti ucraini a Faenza – fanno sapere dalla Caritas -. A supporto di questa accoglienza si sono già attivati volontari di varie associazioni e parrocchie che garantiranno una presenza fissa in questa prima fase». In tutto, fino a martedì scorso, ammontavano a 150 i profughi ucraini accolti sul territorio della Romagna faentina. Nelle parrocchie continuano a diffondersi le iniziative di solidarietà per non restare indifferenti al dramma della guerra. La parrocchia di Reda ha organizzato sabato scorso una pizzata per l’Ucraina a sostegno delle attività della Caritas. In tutto la parrocchia è riuscita a raccogliere ben 2.090 euro.

Per la raccolta fondi Emergenza Ucraina Iban: IT39G0854223700000000022094 intestato a: Diocesi Faenza-Modigliana – Ufficio Caritas; causale: Emergenza Ucraina.