Si è partiti con un laboratorio pomeridiano a scuola fino a creare una vera e propria compagnia teatrale che oggi coinvolge una quindicina di giovani. Alessandro Leoni, 28 anni, da diversi anni è attore della compagnia Amici dell’Europa, realtà che porta in scena spettacoli di prosa, sia più impegnati sia commedie adatte a tutti. Iniziato come un hobby a partire dal laboratorio della scuola media Europa gestito dalla prof. Adriana Andalò, questo percorso è proseguito negli anni fino a diventare una compagnia consolidata del nostro territorio. Inoltre Alessandro ha fatto esperienza di musical e operetta, nella compagnia del Cancello e nel Coro Uciim. Con lui proseguiamo il percorso tra giovani e cultura.

Intervista ad Alessandro Leoni, della compagnia faentina Amici dell’Europa

Alessandro, qual è stata la chiave vincente della vostra proposta?

Credo che ciò che funzioni di più sia la chimica che si è creata tra noi. Ci conosciamo da talmente tanto tempo che sappiamo gestire qualunque situazione e siamo pronti a improvvisare laddove ci possano essere degli errori. Inoltre grazie agli insegnamenti della prof. Andalò, che ci ha seguiti nei primi anni, siamo riusciti a ora a essere autonomi, ci siamo costruiti da soli le scenografie e procurati le attrezzature. Proponiamo spettacoli di vario genere, spaziando dal dramma d’autore alla commedia brillante: negli anni abbiamo portato in scena Pirandello, Wilde, Woody Allen, Agatha Christie, numerosi autori della commedia francese e persino un adattamento di Cime Tempestose, in modo da offrire una certa varietà al pubblico (ma anche per noi è molto più divertente poter alternare). Altra nostra particolarità è l’assenza di un vero e proprio regista: siamo noi, con la nostra esperienza, che portiamo avanti la baracca.

Cosa significa per te fare teatro?

Non è solo saper stare sul palcoscenico e imparare a memoria una parte. Certo, è importante conoscere i rudimenti, la dizione, il linguaggio del corpo, ma noi, prima di essere una compagnia teatrale, siamo un gruppo di amici che semplicemente si diverte a trovarsi due sere a settimana per provare e magari andare a bere una birra dopo. Questo divertimento lo mettiamo tutto anche nei nostri spettacoli, nei personaggi che interpretiamo, e questo il pubblico lo vede. Non si tratta solo di portare un obiettivo a termine, non è un lavoro: si tratta di fare qualcosa che ci piace e di unire le forze per farla funzionare. Teatro è collaborazione e condivisione, e sicuramente anche un bello sfogo personale. Oltre alla mia compagnia di riferimento, con cui sono cresciuto anche come persona, ho fatto esperienza di musical e operetta, nella compagnia del Cancello e nel Coro Uciim. Si può dire che mi piaccia fare teatro a tutto tondo, di qualunque genere.

Che impatto ha avuto la pandemia sulle vostre attività teatrali?

Naturalmente, come tante altre compagnie teatrali, ci è toccato dare uno stop brusco alle nostre attività. Nel nostro caso, la cosa è stata particolarmente bruciante: stavamo infatti preparando lo spettacolo “Dieci Piccoli Indiani” quando sono arrivate le prime notizie di un imminente virus e della conseguente quarantena. Avevamo in programma di andare in scena il 29 febbraio 2020, ma i teatri hanno chiuso battente esattamente la settimana prima. Abbiamo tentato di rimandare più e più volte, ma siamo riusciti nell’impresa solo lo scorso Natale, allungando le prove a dismisura fino a non poterne più. Ad oggi la cosa che più ricordo con irritazione è l’illusione di poter riprendere in maniera normale, per poi andare incontro a nuove chiusure. È stato un continuo: non potevamo riprendere con un progetto che subito ci impedivano di proseguirlo. Ovviamente non è colpa di nessuno, ma è stato davvero snervante. Poter portare in scena “Dieci Piccoli Indiani” dopo tanto tempo è sembrato quasi un sogno. Il risultato è che ci siamo stancati molto e abbiamo perso un po’ di motivazione, se fossimo riusciti fin da subito non sarebbe stato lo stesso.

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A tuo parere, in cosa Faenza deve migliorare a livello di offerta culturale?

Penso che, in ambito culturale, Faenza non abbia nulla da invidiare alle città limitrofe e anzi: sono molto contento dell’offerta presente nella nostra città. Ce n’è per tutti i gusti: cinema, teatro, musica e mostre. Sono tanti i giovani che prendono in mano realtà e associazioni della città per creare qualcosa di stimolante e interessante (penso ad esempio al circolo Prometeo, con cui abbiamo recentemente collaborato per lo spettacolo Processo a Dante). Il Cinemaincentro inoltre offre pellicole sempre di grande qualità e a volte non facilmente reperibili, che frequentemente vado a vedere con piacere. C’è sempre margine di miglioramento ma non possiamo lamentarci, abbiamo tante cose belle qui a Faenza. È una città viva dal punto di vista culturale.

Ritieni che il mondo culturale faentino riesca a valorizzare realmente i giovani? Oppure riscontri una certa chiusura?

Come sopra, ritengo che anzi i giovani del faentino siano più che in grado di portare una bella ventata d’aria fresca. Ci sono tante proposte, tantissime compagnie teatrali con tanta voglia di fare: l’unica cosa che motiva tutte queste persone (noi compresi), è la forza di volontà unita alla passione per una determinata arte. Anche se non sempre è facile organizzare un evento, è più che possibile farlo. Magari nessuno di noi sfonderà e diventerà famoso, ma in fondo non è questo lo scopo.

Cosa interessa, in particolare, ai giovani a livello culturale?

Forse la cosa che unisce di più i giovani è la musica, probabilmente è un’arte che non esaurirà mai il suo potere. Invece spesso il teatro è visto ancora come un qualcosa di nicchia, non interessante e non di tendenza. Spesso chi viene a vederci per la prima volta rimane stupito e ammette di essersi divertito molto pur non avendo mai messo piede in un teatro. Finché non ti butti e non provi una cosa non lo sai: il teatro è una di quelle, può essere davvero un’esperienza illuminante. Altra cosa su cui noto poco interesse è il cinema, non parlo di quello mainstream e dei blockbuster, ma parlo del cinema in quanto arte. A parte i soliti “fedeli”, sono pochi i giovani che vanno a vedere certi film. Forse manca una certa educazione in questo ambito, sarebbe bello poter fornire più spunti di interesse alle nuove generazioni.

Qual è stata la soddisfazione più grande in questi anni in ambito culturale?

A parte la mia compagnia, da cui ricavo sempre tantissime soddisfazioni, ricordo con un certo affetto la parte del gobbo ne “Il gobbo di Notre Dame”, musical che ho portato in scena con la compagnia del Cancello qualche anno fa. La replica al teatro Masini, il cui ricavo è andato alla Croce Rossa per l’acquisto di un defibrillatore, è stata quella che più mi è rimasta nel cuore, un po’ perché ero al Masini (e di cosa stiamo parlando), un po’ perché è stato l’ultimo spettacolo pre-covid, proprio in quel maledetto febbraio 2020. Ironicamente ha chiuso un’era, nel bene e nel male.

Samuele Marchi