Fare squadra e condividere megawatt. È questa la filosofia che ha fatto nascere in Italia le prime comunità energetiche (Cer). Associazione tra cittadini, attività commerciali, autorità locali o imprese che decidono di unire le proprie forze per dotarsi di impianti per la produzione e l’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili. Soluzioni innovative per fare squadra e non restare soli di fronte a bollette sempre più care, riducendo l’impatto ambientale. Solo nel 2021 la legge ha riconosciuto le Cer con fondi di incentivazione nazionale. Anni prima il professor Leonardo Setti dell’università di Bologna aveva dato vita nel 2010 alle comunità solari, attive nel bolognese nei Comuni di Medicina, Sasso Marconi e Casalecchio. A supporto di queste realtà c’è il Centro per le Comunità Solari, associazione privata senza scopo di lucro, spin-off Unibo, nata nel 2015 con il compito di sviluppare strumenti utili per accompagnare le famiglie nella transizione energetica. Sia per le Cer che per le comunità solari, un gruppo di una ventina di famiglie si può associare con commercianti, imprenditori e con il Comune e decidere di costruire impianti fotovoltaici su terreni inutilizzati o tetti privati o comunali.

La comunità viene costituita come associazione o consorzio, e questi consumatori usano i loro impianti per scambiare energia. I benefici sono molteplici: ambientali, perché si autoproduce energia pulita, economici perché non si paga l’energia auto-consumata, e nel caso di Cer, si ha diritto a una tariffa incentivante per vent’anni. «A oggi – aggiunge Setti – sono l’unico modo che abbiamo per sviluppare energie rinnovabili in grande quantità. Le comunità solari non usufruiscono di fondi statali, ma si reggono in piedi solo con le proprie forze. In questi undici anni di attività, il bilancio è straordinario e abbiamo dimostrato che il sistema può stare in piedi al di là della politica». Circa 60 famiglie sono coinvolte in queste piattaforme fotovolatiche per lo scambio di energia. Uno degli aspetti straordinari è che le famiglie iniziano a partecipare come consumatori, ma la comunità permette di essere più consapevole dei consumi ed educa. «A quel punto – spiega Setti – molte famiglie decidono di diventare prosumer, non solo consumatori, ma veri produttori di energia, staccandosi dal gas e dal petrolio. Si mette in pratica un differente stile di vita più sostenibile».
“Nel 2011 il Decreto Romani bloccò lo sviluppo della green economy, disastrosa scelta politica e oggi non riusciamo più a staccarci dal gas russo…”
Per quanto riguarda il futuro della transizione energetica, non si può non guardare a quanto sta accadendo in Ucraina. «Questa è anche una guerra del gas e la coperta tra Europa, Russia e Cina è corta – spiega -. Purtroppo a livello italiano ed europeo abbiamo fallito le strategie industriali degli ultimi vent’anni. Nel 2011 riuscivamo a produrre 20 gigawatt di rinnovabili, poi questo processo si è interrotto con lo sciagurato Decreto Romani, che di fatto ha bloccato il percorso della green economy. Non si voleva far pagare agli italiani gli incentivi al fotovoltaico in bolletta, circa 30 euro all’anno. Il risultato di quest’errore di visione? Oggi altro che 30 euro, le famiglie si ritrovano a pagare anche 400 euro in più in bolletta. Puntando all’epoca sul fotovoltaico avremmo potuto in dieci anni staccarci dai rubinetti del gas russo. Ora si deve correre».
Samuele Marchi
Le comunità energetiche sono uno dei punti che la Diocesi di Faenza-Modigliana approfondirà dopo le Settimane sociali dei cattolici di Taranto
Nel novembre scorso ho letto l’intervento di monsignor Filippo Santoro, presidente del comitato scientifico delle Settimane Sociali dei cattolici italiani, a conclusione dell’evento di Taranto. Quando ho visto, fra le iniziative per la comunità ecclesiale, la costruzione delle comunità energetiche, mi sono sentito coinvolto, quasi chiamato. Sarà perché ho una formazione tecnica in ambito elettrico, sono un prosumer dal 2008, e ho appena reso più sostenibile casa mia con un intervento che ha usufruito del bonus 110%, di cui ho già visto i consistenti vantaggi, in primis viaggiando quasi gratis con l’auto elettrica, ma anche l’elettrificazione del riscaldamento con importanti risparmi. In questi mesi ho passato molto del mio tempo cercando informazioni su comunità realizzate in Italia, e aggiornamenti sull’evoluzione legislativa, tuttora in corso con l’uscita della legge definitiva del 15 dicembre per cui si attendono regolamenti attuativi. Ho trovato utile il simulatore online messo a disposizione da Enea per valutare il piano di investimento e ritorno finanziario di una comunità energetica basato sull’impianto di produzione e i consumi in bolletta degli utenti che intendono formare la comunità.
Dal punto di vista dell’impatto sociale, che è quello che più mi interessa, ho saputo della comunità energetica già attivata a Napoli, una “comunità energetica solidale”, di cui ha parlato anche il New York Times. Una comunità in un quartiere povero, dove gli incentivi dello stato vengono destinati a finanziare un’associazione che si prende cura dei più fragili fra i fragili. È proprio questo che ci interessa. Come esposto ne La sfida delle Comunità energetiche – Suggerimenti sul percorso per l’avvio (a cura del comitato scientifico della 49^ Settimana Sociale), che invito a leggere.
Con l’Ufficio di Pastorale sociale e del Lavoro stiamo preparando una strategia per divulgare questo invito nelle parrocchie, partiremo a breve. Nel frattempo colgo l’occasione per chiedere di segnalarci iniziative in questo ambito in parrocchie della nostra diocesi. Più che fornitori di indicazioni tecniche, vorremmo essere punto di comunione delle esperienze locali per migliorare quelle future, di tutti.
Fabrizio Liverani