Senza voler entrare nel merito delle ragioni e dei torti storici dei contendenti, l’attuale conflitto Russo-Ucraino mi pare potesse prestarsi più a una difesa popolare nonviolenta che a una difesa armata. L’Ucraina, militarmente, è immensamente inferiore alla Russia. Inoltre, non può richiedere l’intervento della Nato perché non ne è membro. Non può neanche diventarlo, perché da anni vi è un conflitto interno in Donbass e Crimea. Non può contare sull’Onu bloccata del potere di veto della Russia. Neppure gli Usa sono disposti a scatenare la Terza guerra mondiale per loro. L’Unione Europea è impotente, perché l’Ucraina non ne fa parte. Certo essa ha annunciato, al pari di singoli Paesi aderenti, l’intenzione di fornire armamenti, ma questo non modifica di nulla l’enorme disparità di forze in campo. Anche il governo italiano ipotizza questa eventualità, con la conseguente possibile violazione della propria legge 185/90 sul commercio delle armi che ne vieta l’esportazione verso i Paesi in stato di conflitto. Senza considerare il rischio di coinvolgere il nostro Paese in una guerra non di difesa del proprio territorio nazionale e come tale in contrasto con l’art. 11 della nostra Costituzione che “Ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali”.
In conclusione, l’opzione militare è me pare oggettivamente perdente. Anzi, più a lungo si continua a sparare e maggiori i lutti, le mutilazioni, le distruzioni, gli odi, le vendette alle quali dover rimediare successivamente. Senza contare le bombe e le mine inesplose che resteranno pericolose per decenni.
Una modalità alternativa poteva essere quella della Difesa Popolare Nonviolenta secondo la quale non è importante difendere i confini, ma le istituzioni democratiche. Infatti, essa parte dall’idea che il controllo territoriale di un paese non significa anche il controllo della sua società e della sua vita politica. Agli invasori dovrebbero essere opposte forme di non collaborazione, di disobbedienza civile nonviolenta in modo da rendere inefficace, economicamente e politicamente non sostenibile, la loro occupazione. I dipendenti pubblici, le scuole, i sindacati e i singoli cittadini dovrebbero boicottare e non applicare le disposizioni ricevute dall’occupante. Dovrebbe funzionare un governo parallelo, in parte all’estero, in grado di diramare direttive di comportamento e modalità di azione tali da rendere inefficace il potere dell’occupante e perfino demotivare i singoli soldati occupanti. Certo, andava preparata anticipatamente, ma avrebbe causato meno danni collaterali e meno lutti.
In Italia, abbiamo la possibilità e il tempo per costruirla e sperimentarla. Per iniziare, basterebbe approvare la proposta di legge d’iniziativa popolare volta a istituire presso la Presidenza del Consiglio Dipartimento della Difesa Civile non armata e nonviolenta che dal 2017 è lasciata dormire in Parlamento. In essa sarebbero coinvolti i Corpi Civili di Pace e la Protezione Civile e prevede la creazione di un Istituto di ricerca sulla Pace e il Disarmo.
I Corpi Civili di Pace, istituiti in Italia con la legge n. 147/2013, sono già stati impiegati all’estero in almeno dodici conflitti di altrettanti Paesi. Più di recente sono stati istituiti anche dalla Repubblica di San Marino con la legge n. 194. Essa prevede il loro utilizzo anche durante la fase acuta dei conflitti, con l’obiettivo di abbassare il livello di violenza, interponendosi e affiancandosi a chi più subisce gli effetti distruttivi della guerra. Hanno presentato progetti di Corpi Civili di Pace l’Ass. Comunità Papa Giovanni XXIII, la Caritas Italiana, la FOCSIV e il Gavci.
Ora si inizia a percorrere la inevitabile via diplomatica e ben presto, si spera, si firmeranno degli accordi di pace.
Corpi Civili di Pace di Paesi come la Repubblica di San Marino, la più antica del mondo e con una lunga tradizione di pace e neutralità alle spalle, potrebbero essere accettati più facilmente dalle due parti in conflitto. Anziché mandare truppe cuscinetto dell’Onu o osservatori militari per controllare il cessate il fuoco si potrebbero inviare questi civili con gli stessi compiti. In aggiunta essi potrebbero più agevolmente adoperarsi per ridurre le tensioni sociali e riconciliare le comunità.
Davide Patuelli