Sua Eccellenza Monsignor Mario Toso, vescovo della Diocesi di Faenza-Modigliana, è stato nominato nei giorni scorsi componente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali dei Cattolici Italiani. In questa intervista approfondiamo con il vescovo diversi temi: dalla rielezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica al ruolo dei cattolici in politica; dall’impegno dell’associazionismo cattolico fino alla necessità di una politica nuova che superi le ideologie soggiogate da una cultura fluida, laicistica e tecnocratica.
Intervista a monsignor Mario Toso
Lei è stato recentemente nominato membro del Comitato scientifico ed organizzatore delle Settimane sociali dei Cattolici Italiani. Che impressione ha riportato sulla rielezione del Presidente Sergio Mattarella?
Un senso di stima e di ammirazione nei confronti di Mattarella. Ma assieme è emersa anche la convinzione che non si può più perdere tempo rispetto al bisogno di nuovi partiti e di nuovi politici, meno incentrati su giochi di potere, sulla propria autoreferenzialità, sull’immediato, sull’autoconservazione. C’è un urgente necessità di partiti rinnovati, più aperti al bene comune, a una visione di futuro per tutti e, quindi, ad una progettualità attenta ai bisogni della gente e del Paese. Sovranismo e populismo hanno indotto nei partiti una sproporzione enorme rispetto ai bisogni reali, alle vere domande dei cittadini e della società, che sono posti a vivere dentro una crisi complessa, non solo dal punto di vista sanitario, ma anche dal punto di vista ecologico, sociale, economico, finanziario, politico e culturale. Ciò dovrebbe far pensare al definitivo superamento sia del sovranismo sia del populismo, come anche del leaderismo.
Lei ha scritto ripetute volte sul tema della democrazia, sul rapporto tra questa e l’apporto dei cattolici, assieme agli altri cittadini. Cosa ritiene opportuno si debba fare in questo momento storico?
Innanzitutto, occorre porre in atto una svolta culturale decisa, rispetto al pensiero individualistico, libertario, transumanista, che si sta sempre più candidando a costituirne il substrato morale, antropologico, giuridico. Una tale piega ideologica è causa dello smantellamento dei pilastri della democrazia, quale è codificata nelle principali carte costituzionali d’Europa, ma non solo. Sarebbe fatale accettare una democrazia soggiogata da una cultura fluida, da visioni libertarie, laicistiche, tecnocratiche. La democrazia entrerebbe in uno stato di confusione di identità, sul piano morale e giuridico. Finirebbe per vivere in preda a contraddizioni interne, che ne destrutturerebbero l’anima personalista, pluralista, comunitaria, solidale, trascendente.
Ci sono state reazioni significative da parte dell’associazionismo cattolico rispetto allo spettacolo deprimente circa il comportamento dei partiti e dei segretari?
A parte il sospiro di sollievo di fronte alla rielezione del Presidente Mattarella, non sono mancati commenti poco entusiasti. Sicuramente si pone per la Chiesa italiana una fase di analisi attenta della situazione, su ciò che è accaduto e su ciò che bisognerà fare. Di fronte sta il Paese e la sua domanda di politica nuova. Sarebbe una grave omissione se il mondo ecclesiale non si assumesse la responsabilità di questa stagione, particolarmente cruciale per il futuro. Le nostre comunità e il mondo associazionistico non possono continuare a proseguire sulla loro strada come se nulla fosse avvenuto, senza porsi interrogativi su come vivere la dimensione sociale della fede e su come esercitare un discernimento disincantato a servizio del bene comune. C’è bisogno di investire in formazione sociale e di canalizzare forze nuove nella partecipazione e nella rappresentanza politica.
Il mondo cattolico mostra in questo tempo una particolare fecondità di iniziative di carattere sociale ed economico, come è chiaramente apparso nell’ultima Settimana Sociale dei Cattolici Italiani che si è tenuta a Taranto nell’ottobre dello scorso anno. Pensa che tutto questo possa rispondere anche alla domanda di una politica nuova?
Senza dubbio. Rimane, tuttavia, decisiva la leva di una seria formazione sociale e politica. Non ci si può accontentare della dimensione politica di una società civile ricca di fermenti e di nuove responsabilità sociali. Una tale dimensione deve poter fiorire e completarsi su un piano più alto, ossia su quello della società politica propriamente detta. Qui si consegue il bene comune mediante istituzioni di partecipazione, di rappresentanza e di governo della cosa pubblica. Per parte sua, la Commissione per i problemi sociali e il lavoro della C.E.I., con il suo Presidente S. Ecc. Mons. Luigi Renna, sta programmando una seria riflessione sull’esperienza delle Scuole di formazione all’impegno sociale e politico, come anche sull’importante documento Evangelizzare il sociale che, forse, non ha ancora avuto adeguata concretizzazione storica nelle nostre comunità e nelle nostre associazioni.