Si fa presto a dire presidio. Arriva la notizia della chiusura della fabbrica e a supporto dei lavoratori si mettono in moto amministrazione e rappresentanze sindacali, si decide per la serrata e ci si organizza: una tenda, una cucina, si attiva la solidarietà del paese, arrivano le associazioni, i politici e alcuni – impagabili – volontari si rendono disponibili per animare il presidio e tenere viva l’attenzione sulla questione. Solo nelle ultime due settimane – tanto per aggiornare i lettori – abbiamo visto un affollatissimo corteo dal centro del paese fino allo stabilimento, tanti musicisti marradesi e non, i sorrisi con Metallurgica Viganò e Maria Pia Timo che rivendica anche il suo diritto di mangiare quel cavolo di marron glacé, l’appello del cardinal Bassetti, l’intervento del giornalista Saverio Tommasi, la musica della Bandabardò (Oggi non lavoro / Oggi non mi vesto / Resto nudo e manifesto), il teatro con Le ragazze di San Frediano, la visita del senatore Nencini e tanto altro, compresa l’allegra visita di tanti bambini in maschera. E nel frattempo, mentre il vento accompagnava gran parte delle iniziative, sono arrivati anche un aut aut di Italcanditi, seguito dalla “bomba” dell’interesse del gruppo Prada per la produzione dei marron glacé e da un incontro del tavolo di crisi al quale sindacati e maestranze hanno risposto che – beh – il presidio continua.

La testimonianza delle donne

Poi, però, sulle barricate ci stanno loro. A vegliare sui cancelli della fabbrica, ad accogliere i visitatori, a parlare con i giornalisti ci sono loro, le nostre donne. E ci dimentichiamo che sono mamme, nonne e mogli, con una casa da gestire, mariti da badare e figli, nipoti e genitori da accudire. E che la loro vita è stata, di fatto, ribaltata. Faccio due chiacchiere con Monica con la quale – lei nonna, io zio – condivido due nipoti (tanto per fare capire che questa è una vicenda che alla fine tocca un po’ tutti). Mi racconta che soprattutto i primi tempi è stato difficile: «L’avevo presa di petto, forse anche troppo. Ma è una causa per cui credo sia giusto lottare e così ho fatto i salti mortali per conciliare la presenza al presidio con la casa e i nipoti. Mio marito? Era molto preoccupato ma non mi ha mai fatto mancare il suo sostegno». E, infatti, non è raro trovarla qua con tutta la famiglia, nipotini compresi.

«Tutte noi abbiamo il frigorifero di casa vuoto» mi raccontano Libera e Pia, per farmi capire quanto siano cambiate le loro abitudini in questi due mesi. «Mio marito non lo vedo quasi più e si fa da mangiare da solo. I miei figli per salutarmi passano qui all’Ortofrutticola» continua Libera, raccontandomi di come si svegli alle 4,30 per portarsi avanti con le faccende di casa e venire al presidio: «Sto qua tutta la giornata. È faticoso, ma è giusto farlo: chi passa a visitarci – politici, sindacalisti, artisti, cittadini – viene per noi. Dobbiamo esserci». È determinata, Libera: dopo 36 anni di lavoro si è sentita tradita e basta vedere i suoi occhi per capire che continuerà a difendere il suo impiego e il suo paese.

Mi incuriosisce anche l’aspetto “mediatico”. In fondo, nessuna di loro aveva mai messo in conto di trovarsi in questo modo sotto i riflettori e Libera ammette che non è sempre facile: «Siamo donne semplici, abituate a casa e lavoro. Quando, per dire, ti trovi di fronte a un senatore, come è successo l’altro giorno, un po’ di imbarazzo lo provi». «Se ti trovi in una situazione del genere – mi dice Marina – poi le parole ti vengono fuori. In fondo non facciamo altro che raccontare un pezzo della nostra vita». E mi parla di questi due mesi vissuti come su un altro pianeta, di quanto sia grata per la solidarietà mostrata dal paese e di quanto sia soddisfatta di avere affrontato questa avventura: «E si va avanti».

Che forza, ‘ste donne: lottano per il loro posto di lavoro e lottano – aggiungo – anche per tutti noi. Poi corrono a casa, fanno una lavatrice e tornano qua al presidio. Prada non dovrebbe farsi scappare delle donne così.

Andrea Badiali

Ps. un grazie grande così a Walter Scarpi