All’inizio la “fabbrica dei marroni” era tutta da costruire. Per darne un’idea, dopo che pose la firma per gestire l’Ortofrutticola del Mugello, Sergio Batistini, uno dei tre soci che la rilevò nel 1986, entrò per la prima volta nel suo nuovo ufficio. La stanza del dirigente aveva come tavolo a disposizione una “cassa da imballaggio” e non c’era praticamente niente. Vuota, come vuota rischia di tornare a essere dopo gli annunci di questo inizio 2022, ma torniamo al 1986. In quella fabbrica dove i tavoli erano casse di imballaggio non si perse tempo e si iniziarono a lavorare le castagne, e negli anni iniziarono a viaggiare in tutto il mondo fino ad arrivare in Giappone e a essere messe sotto l’etichetta di grandi marchi internazionali. E anche le persone, marradesi e non solo, cominciarono a entrare in quello stabilimento e a vederlo come una grande famiglia: giovani alla loro prima esperienza stagionale, operaie con famiglia che avevano così modo di lavorare diversi mesi all’anno, dipendenti fissi. Nei picchi, fino oltre cento persone hanno ruotato attorno all’Ortofrutticola. E a Marradi è quasi impossibile trovare qualche famiglia che non sia stata, almeno una volta, a contatto con questa azienda che porta nel mondo il marron buono. “C’è tanta soddisfazione nel percorso che abbiamo fatto in quasi quarant’anni, e mi piange il cuore vedere la situazione di oggi” commenta Sergio Batistini, che fino all’agosto del 2020 è stato socio di minoranza dell’Ortofrutticola del Mugello. La società è passata infatti a Italcanditi di Bergamo, che il giorno dopo Natale ha annunciato la chiusura dello stabilimento e la sua delocalizzazione a Bergamo. Con Batistini, ripercorriamo la storia di quello che non è un semplice stabilimento, ma uno dei cuori pulsanti della comunità marradese. 

La nascita dell’Ortofrutticola sotto l’impulso pubblico

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Pur essendo sempre stata un’azienda privata, l’Ortofrutticola del Mugello nasce sotto un forte impulso pubblico. Uno dei protagonisti di questa storia è Renzo Mascherini, all’epoca presidente dell’Unità Montana del Mugello, che gettò le basi di quello che sarebbe diventata l’azienda. Grazie a dei finanziamenti europei da 3 miliardi di lire venne completato lo stabilimento per la lavorazione dei marroni a Sant’Adriano. Inizialmente, nel 1984, si pensò di affidarlo a una cooperativa di castanicoltori, ma l’impresa fallì dopo poco. Ed è qui che nel 1986 Mascherini fa entrare in gioco Sergio Batistini, firenzuolino come lui e amico di vecchia data.  

“All’epoca dirigevo uno stabilimento del settore alimentare a Torino – ricorda Batistini – e mi contattò Mascherini, che mi propose questo progetto. I primi incontri furono preliminari, dissi che la gestione dello stabilimento mi interessava, ma non feci promesse”. Batistini coinvolse nel progetto anche Giancarlo Robba, che era stato dirigente Motta. E dalle parole si passò ai fatti: dopo una serie di incontri con la comunità montana la firma fu posta nel 1986: lo stabilimento entrò a regime. La proprietà dell’immobile era pubblica, ma la gestione era affidata all’Ortofrutticola.

“All’inizio c’era diffidenza, è bello oggi vedere tutti uniti in difesa della fabbrica dei marroni”

Una firma che fu anche una scelta di vita: Batistini lasciò Torino e si trasferì con la famiglia a Marradi, dove la storia dell’Ortofrutticola era ancora tutta da costruire, come testimonia lo stato in cui si trovava il suo primo ufficio. E non si può dire che all’epoca ci fosse molto entusiasmo attorno alla “fabbrica dei marroni”. “C’era un po’ di comprensibile diffidenza – spiega Batistini– la gestione era affidata a persone che non erano del posto, inoltre si veniva dal fallimento della precedente cooperativa. E’ bello vedere oggi, invece, tutti uniti nella sua difesa”. Si iniziò subito a lavorare, e il lavoro paga. “Partimmo facendo solo sbucciatura e lavorazione delle castagne – ricorda -, la produzione di marron glacé iniziò solo nel 1989, ma avevamo già con importanti commissioni per il mercato francese, che fornivamo con 100mila scatole. Ci consolidammo sempre di più con marchi come la Lindt e Novi”. Diversi contratti riguardavano anche il Giappone, che Batistini andò a visitare per conto dell’azienda.

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In fabbrica si lavora tutto l’anno. Se è vero che il grosso del lavoro con gli stagionali si svolge da luglio a dicembre, già nei mesi prima vengono assunti una trentina di lavoratori per le attività più artigianali, mentre gennaio e febbraio sono dedicati alla manutenzione dello stabilimento. Pur con periodi di difficoltà, il fatturato riesce a raggiungere cifre da 10 milioni di euro. “Si arrivava a produrre anche 700 tonnellate di marron glacé, che per un settore comunque di nicchia come il nostro sono numeri davvero molto alti che ci hanno posti come una delle principali aziende del settore”. Si arriva poi ai giorni nostri. Nell’agosto del 2020 il socio di maggioranza che deteneva il 71% delle quote, l’avellinense Gaetano De Feo, decise di vendere a Italcanditi.

“Mi piange il cuore a sentire di una possibile chiusura, non abbassiamo la guardia”

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La notizia della chiusura dello stabilimento, diffusa il 26 dicembre scorso, viene accolta anche da Batistini come un fulmine a ciel sereno. “Quando acquisirono lo stabilimento – commenta – l’impressione di tutti era che volessero continuare a investire sulla nostra fabbrica. Con Italcanditi abbiamo avuto un rapporto di lavoro di quasi trent’anni, e con questa realtà siamo sempre andati d’accordo, vero è che questa impresa è gestita a sua volta da un fondo di investimenti che può avere chissà quali altri interessi”. Il vecchio socio vede però ancora dei segni di speranza per il futuro. “Pur non essendo più direttamente coinvolto, seguo con particolare attenzione e preoccupazione la vicenda. Sono fiducioso: visto l’impegno con cui si sta muovendo la comunità e le personalità che si sono mosse anche a livello regionale e nazionale, penso ci sia ancora margine per far cambiare idea all’Italcanditi. Non bisogna però abbassare la guardia e tenere sempre viva l’attenzione”. 

Nella foto: Sergio Batistini in visita in Giappone