Teatro, fotografia, letteratura: in una parola contaminazione. Prosegue il nostro approfondimento su giovani e cultura con Giulia Timoncini, 28 anni, che fa parte del consiglio direttivo di due associazioni: Acsè e il Gruppo Municipale del Niballo. Negli ultimi mesi Acsè ha inaugurato la mostra Bombe nel cielo, ancora aperta al Museo del Risorgimento, e si è occupata del laboratorio didattico Donne antifasciste al liceo Torricelli-Ballardini. Promuove inoltre progetti di divulgazione culturale tramite il teatro. Con la propria collana editoriale, dal 2018 edita da White Line, Acsè presenta al pubblico ricerche inedite sulla Romagna e i romagnoli a tema storico, letterario e artistico. Dal mese prossimo sarà in libreria il nuovo volume: Immenso naufragio – Gli scrittori romagnoli e la Grande Guerra di Valerio Ragazzini.

Intervista a Giulia Timoncini

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Giulia, raccontaci un po’ di te. Di cosa ti occupi a livello culturale in città?

Faccio parte del consiglio direttivo di due associazioni: Acsè e il Gruppo Municipale del Niballo – Palio di Faenza. In particolare, insieme a un gruppo di amici ho fondato Acsè alle fine del 2017, unendo due realtà preesistenti: la “Siparium Mirabiliae” e “la Lampada”. Con Acsè ci occupiamo di tante iniziative che spaziano su campi diversi. Negli ultimi mesi abbiamo inaugurato la mostra “Bombe nel cielo”, ancora aperta al Museo del Risorgimento e dell’Età Contemporanea di Faenza e ci siamo occupati del laboratorio didattico “Donne antifasciste” al Liceo Torricelli-Ballardini inserito all’interno del progetto dell’Unione della Romagna Faentina “Donne libere e protagoniste”. Oltre a queste attività organizziamo anche serate con delitto e abbiamo progetti di divulgazione culturale tramite il teatro che speriamo di poter far ripartire con l’estate. Ultimo, ma non meno importante, è la cura della collana editoriale Acsè che dal 2018 è edita da White Line e si occupa di presentare al pubblico ricerche inedite sulla Romagna e i romagnoli a tema storico, letterario e artistico. Dal mese prossimo dovrebbe arrivare in libreria l’ultimo volume della collana: “Immenso naufragio – Gli scrittori romagnoli e la Grande Guerra” del nostro socio Valerio Ragazzini.

Che impatto ha avuto la pandemia sul settore editoriale? E quale futuro vedi per “il mondo dei libri”?

La pandemia ha avuto un forte impatto sul settore editoriale: se da un lato la vendita di libri a livello nazionale è aumentata, dall’altro l’editoria locale ne ha risentito molto perché per mesi è stato impossibile presentare i libri e vivere al meglio l’ambiente culturale che queste occasioni creano. La presentazione di un libro, per come la intendiamo noi, è un’occasione per creare un dibattito, affrontare argomenti poco discussi e creare connessioni con altre realtà, in poche parole per “fare cultura”. Il mondo dei libri in futuro affronterà sfide interessanti: da un lato bisogna trasmettere sempre più il piacere e l’importanza della lettura e della scrittura, dall’altro c’è bisogno di affrontare nuovi temi e rileggere quelli esistenti con chiavi di lettura diverse. L’evoluzione digitale degli ultimi anni ci ha portati a usufruire dei contenuti scritti in maniera molto diversa da quella anche solo di dieci anni fa e l’editoria, specie quella legata a piccole realtà come la nostra, può e deve trovare molti stimoli nel cercare di stare al passo e attualizzare la nostra storia e le nostre tradizioni.

“La contaminazione tra linguaggi differenti è una delle chiavi vincenti”

In questi anni, guardando indietro il tuo percorso, qual è stata la chiave vincente della tua/vostra proposta culturale?

Fin dall’inizio del percorso di Acsè abbiamo tenuto in mente una parola: contaminazione. Cerchiamo sempre di collaborare con più realtà del nostro territorio, come ad esempio il Museo del Risorgimento e dell’Età Contemporanea o la Fototeca Manfrediana. Crediamo che, a livello culturale, la capacità di fare rete tra più realtà sia vincente, non solo perché si mettono insieme più conoscenze, ma anche perché si mettono insieme più persone. La proposta culturale non può essere staccata dalla socialità perché altrimenti si andrebbe a perdere il concetto stesso di associazionismo.

A tuo parere, in cosa Faenza deve migliorare a livello di offerta culturale? E quali sono invece i punti di forza?

Pur non essendo una grande città, Faenza è molto attiva e stimolante. Anche in questi tempi di pandemia, da più parti sono state proposte attività per i cittadini di qualsiasi fascia d’età. Faenza ha molto da offrire e a molti livelli: partendo dai grandi eventi (come quelli legati alla ceramica o al Palio) fino ad arrivare a eventi più piccoli, ma di grande valore culturale. Quello in cui però può migliorare è la capacità di fare rete tra le varie realtà associative e culturali che spesso non si conoscono e talvolta propongono iniziative simili. Anche dal punto di vista della comunicazione si potrebbe migliorare, per quanto questo sia un tema in continua evoluzione visto che a seconda dell’età, il pubblico predilige strumenti diversi per informarsi e scoprire gli eventi cittadini.

Ritieni che il mondo culturale faentino riesca a valorizzare realmente i giovani? Oppure riscontri una certa chiusura?

La valorizzazione dei giovani è un tema non solo faentino, ma di portata globale. La questione andrebbe affrontata da due punti di vista diversi. Il primo è quello di un giovane faentino che volendo impegnarsi in attività associative, ha sicuramente difficoltà nello scoprire le realtà presenti in città. Il secondo è quello delle realtà associative che non riescono a raggiungere il pubblico più giovane per presentargli le proprie proposte. Lavorando su questi due fronti penso che si otterrebbero ottimi risultati, perché nei casi dove questo già succede, mi sembra che i giovani siano più valorizzati.

“Giovani e cultura? Imprescindibile partire dalla socialità”

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Cosa interessa, in particolare, ai giovani a livello culturale? Ci sono stereotipi e/o pregiudizi da superare?

Penso che ai giovani in primis interessi “stare insieme” e ricominciare a vivere quella socialità che si è persa in questi anni. Se l’offerta culturale venisse strutturata anche dal punto di vista della socialità, qualsiasi attività potrebbe risultare interessante per un giovane. In particolare, proposte legate a teatro, cinema, fotografia o sport sono le più quotate. Negli ultimi anni si è visto anche uno sviluppo interessante del gioco da tavolo, che in determinati casi può essere utilizzato come strumento di divulgazione culturale. Lo stereotipo più grande è che “fare cultura” sia noioso o solo per pochi, quando in realtà è il modo in cui si affronta o viene raccontato l’argomento a fare la differenza.

Qual è stata la soddisfazione più grande in questi anni in ambito culturale?

La soddisfazione più grande è stata sicuramente la mostra “Faenza distrutta, Faenza ricostruita” che abbiamo organizzato tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 al Museo del Risorgimento e dell’Età Contemporanea in collaborazione con la Fototeca Manfrediana. La mostra ha raggiunto oltre 1500 visitatori e il punto di forza è stato raccontare come la città è cambiata tra prima e dopo gli eventi della guerra: è stato bellissimo vedere persone più adulte che ricordavano i luoghi della loro gioventù e persone più giovani (anche ragazzi) stupirsi di cosa ha attraversato la città per arrivare a quello che vedono loro oggi.

Unita a questo, ho un bellissimo ricordo dell’avventura in giro per tutta la Romagna per fotografare le stazioni passeggeri ancora attive da pubblicare sul libro della collana Acsè “I treni in Romagna – In viaggio tra storia e letteratura” nel 2019.