Educare all’uso dei social. Con il faentino e docente di Religione Gilberto Borghi, che da febbraio curerà il corso La comunicazione nella nuova evangelizzazione alla Scuola diocesana di Teologia, tracciamo il quadro di come i social stiano plasmando un nuovo modo di pensare. Una transizione digitale che riguarda non solo i più giovani. «Partiamo da un dato di realtà – ci dice -: le generazioni di oggi sicuramente non possono più pensare di vivere senza questi strumenti. Per loro poi non sono solo strumenti, ma una vera dimensione della vita: così come hanno una dimensione corporea e una dimensione affettiva, ora ce n’è anche una virtuale da conoscere ed educare. Il tema è molto ampio e non riguarda solo i giovani: l’essere umano sta vivendo una transizione epocale, direi antropologica, e questo ha effetti anche nei processi neuronali, nelle competenze, e nel modo di ragionare».

Intervista a Gilberto Borghi

In che senso?

Diverse analisi dimostrano che le ultime generazioni abbiano un modo di pensare differente dal nostro.
Non entro nel merito se peggiore o migliore. Alcune competenze si perdono e altre si guadagnano. In questo contesto l’intelligenza logica fa più fatica: quando gli studenti devono compiere più passaggi logici consecutivi vanno in crisi. Hanno invece una capacità empatica e intuitiva molto più forte del passato. Semplificando, i ragazzi di 35 anni fa si appoggiavano più sulla “testa”, oggi più sulla “pancia” e l’istinto.

La scuola come risponde a questi cambiamenti?

È ancora improntata su un’idea antropologica non aggiornata e “pensa” a ragazzi che non esistono più. Negli ultimi anni le scienze pedagogiche ci hanno indicato che non esiste solo l’intelligenza logica, ma anche quella emotiva e relazionale. Tutti questi ambiti vanno educati, non solo il primo. In questo senso, qualcosa nella scuola primaria si è evoluto, ma nelle scuole medie e superiori le impostazioni della didattica molte volte non sono più utili. Non è un caso che molti studenti tirino fuori il meglio di sé in altri contesti esterni alla scuola, capaci di stuzzicare altre forme di competenza.

Quali consigli dare ai giovani nell’utilizzo dei social?

Caritas Strocchi

I rischi nell’utilizzo dei social ci sono, ma bisogna uscire dal pregiudizio che siano una generazione in balia di questi strumenti. Rispetto al passato, vedo i giovani molto più attrezzati e consapevoli nell’utilizzo dei social. Sanno benissimo che certe immagini di loro stessi è bene non finiscano sul web. Così come l’immagine che si costruiscono su un social non è la loro immagine integrale. Una prima forma di difesa da insegnare è approcciarsi alla dimensione digitale non solo di “pancia”, ma anche con la testa. Da parte degli educatori deve esserci sempre un monitoraggio della situazione con professionalità, ma anche senza angosce sul futuro. I giovani sono molto più capaci di noi ad adattarsi a questi nuovi contesti. Il problema che sta vivendo questa generazione a mio parere è un altro.

Quale?

La pandemia li ha limitati molto. Oggi i giovani hanno bisogno di tornare a sentire gli aspetti corporei, che è bello abbracciarsi, guardarsi negli occhi: è questo l’aspetto più in crisi.

Ha parlato di un’evoluzione che non riguarda solo i giovani. Ci parli anche del suo corso diocesano.

Il percorso è stato pensato per rispondere alla domanda: come è possibile modificare la comunicazione della Chiesa per rendere più efficace l’evangelizzazione? Nelle lezioni tento di offrire alcune strategie e stili diversi da quelli che mediamente sono messi in moto, portando casi concreti. Il modo di comunicare è cambiato: c’è stato il passaggio da una comunicazione “a piramide”, dall’alto, a una comunicazione “a rete” in cui non ci sono più riferimenti sicuri di verità e autorevolezza. Oggi è imprescindibile partire da questo.

Una buona pratica che emergerà dal corso?

Credo che oggi, se si vuole essere credibili, si deve partire dal coraggio di parlare della propria esperienza di Dio. Il che significa che se si vuole parlare di Dio, bisogna farlo a partire dal nostro rapporto con Lui in termini di onestà e franchezza, anche mettendo in luce gli aspetti di difficoltà. Penso sia importante anche alla luce del Cammino sinodale che stiamo facendo.

Adolescenti interconnessi: la ricerca della Diocesi

In tempi non sospetti, nel 2015, la Diocesi di Faenza-Modigliana si è interessata al tema dei social e ha realizzato la ricerca Adolescenti interconnessi coinvolgendo più di 1.000 studenti e 550 adulti legati al mondo dell’educazione. Già all’epoca emerse come «gli adulti guardassero sempre più i lati negativi dei ragazzi che non i loro aspetti positivi» oppure che «per gli adulti le nuove tecnologie fossero una minaccia, mentre per i giovani fossero una potenzialità». Da qui la nascita di un percorso che ha portato ai laboratori Caritas nelle scuole. «Spesso abbiamo una percezione errata dei giovani – commenta Borghi -. Già allora, in caso di necessità di confidarsi su un problema, i genitori sono al 2° posto tra le scelte dei giovani e internet è solo al 13°».