La storia della propria città si può studiare sui libri, a scuola, ai convegni. Da qualche anno anche su facebook. Prosegue il nostro approfondimento su giovani e cultura con il 26enne Marco Santandrea, che da diversi anni porta avanti a Faenza il progetto Torre dell’Orologio. Nata nel 2012 come una pagina facebook di divulgazione storica, il salto di qualità è arrivato nel 2017 quando la pagina ha iniziato a pubblicare video nei quali Marco racconta la città direttamente sul campo: le condivisioni e il passaparola hanno fatto diventare i video molto popolari, per non dire virali.

Oggi Torre dell’Orologio è un’associazione attiva sia a livello social sia nella città con eventi dal vivo a favore dei soci. Di recente Santandrea ha dato alle stampe il libro Faenza in un minuto, di cui ci ha parlato Mario Gurioli negli scorsi numeri del Piccolo. «Tutto questo è essenzialmente un mezzo col quale riesco ad approfondire un argomento, la storia locale, che mi appassiona da anni – spiega Santandrea – e mi permette di non “tenere tutto per me” ma di condividere con chiunque ne sia interessato ciò che scopro un po’ alla volta. Al di fuori di “Torre” sono studente di architettura e rionale, anche quest’ultimo ambito è figlio di una passione e un divertimento che mi accompagnano fin da giovanissimo».

Intervista a Marco Santandrea, curatore del progetto Torre dell’Orologio

Faenza in un minuto è diventato un libro. Qual è la soddisfazione più grande di questo progetto?

Sicuramente l’idea di aver messo nero su bianco un progetto attivo ormai da diversi anni e che si è dimostrato piuttosto coinvolgente anche per chi lo segue. Credo che rendere disponibile questa “raccolta” sarà di grande aiuto sia per chi ci conosce già da tempo, ma anche per l’appassionato dell’ultima ora che potrà trovare le risposte a molte curiosità.

In questi anni, guardando indietro al tuo percorso, qual è stata la chiave vincente della tua proposta culturale?

Penso che le chiavi siano state due: l’essere un po’ fuori dagli schemi classici della divulgazione storica locale (spesso affidata alle sole opere cartacee o comunque impostata in maniera “tradizionale”) e a questo si unisce l’utilizzo di uno stile comunicativo semplice, il che, attenzione, non significa tralasciare delle nozioni o inventarle, ma renderle accattivanti e comprensibili a chiunque. Questo modo di raccontare la storia non l’ho creato a tavolino, è semplicemente il mio metodo naturale di descrivere qualcosa.

A tuo parere, in cosa Faenza deve migliorare a livello di offerta culturale? E quali sono invece i punti di forza?

I faentini amano la propria città e le storie che ha da raccontare, e questo è dimostrato sia dalle realtà museali sia dalle tante iniziative culturali che spesso nascono spontaneamente. Un problema che tende a crearsi è forse un eccessivo “campanilismo” tra i vari soggetti, con il risultato di mostrare all’esterno un’offerta ricca ma non coesa al punto giusto. Fare squadra in questo senso ci permetterebbe di creare un biglietto da visita veramente dirompente, non solo a livello locale.

Ritieni che il mondo culturale faentino riesca a valorizzare realmente i giovani?

In generale non penso che la città sia chiusa alle novità culturali: se un gruppo di giovani ha in mente un’idea può trovare diversi aiuti nelle realtà già esistenti o crearne una nuova; il nostro esempio lo dimostra, ma come noi altre iniziative nate in questi anni (gruppo fotografia Aula 21, Fototeca Manfrediana e Officina Matteucci per citarne qualcuno) sono frutto di un’iniziativa giovanile.

Ci sono stereotipi o pregiudizi da superare in ambito giovani e cultura?

Affermare che i giovani non siano interessati alla cultura è forse un modo semplice di ignorare un problema, che è quello della comunicazione. Le giovani generazioni “parlano un’altra lingua”, vogliono informazioni veloci, ma non vuol dire che non siano interessati alla cultura, è semplicemente che per come gli viene presentata risulta per loro forse troppo “noiosa”. Questo lo notiamo anche sui nostri profili: raccontando la storia in pillole l’attenzione rimane alta, senza cadere, almeno speriamo, nella noia.

Samuele Marchi