Quattro domeniche che profumavano di normalità (ma anche di aglio, salsiccia ai ferri e ragù). Sì, c’era il controllo del Green Pass ed era ovvio che la fiumana di gente delle edizioni pre-Covid non poteva esserci, ma la Sagra delle Castagne di Marradi è finalmente tornata. Ed è tornata con tutto il suo contorno: le bancarelle, i dolciumi, le bucce di caldarroste per terra, le bande e i cantanti (più o meno sempre gli stessi, anche se i Via Emilia Ponente sono diventati SR 302), i brigidini, il torrone morbido, la cagnina, il tizio dei coltelli, i prodotti a base di cannabis, gli schiamazzi della Compagnia, i parcheggi selvaggi, il formaggio scoparolo, la mora romagnola, il panettone ai mirtilli, lo zabaione da passeggio, i giovani, i meno giovani, i cani, i motociclisti, le corriere, i treni speciali ritardati ed affollati (ma questa dei treni è – ahimé -un’altra storia), i servizi al TG regionale e tutto il resto, con menzione speciale per la bancarella dei peruviani che vengono alla sagra da smillanta anni e che ormai hanno preso il posto del banco della frutta essiccata che tanto piaceva a mio babbo ma che ormai non viene da qualche anno.

Ma anche le bruschette sono tornate (ovviamente in versione mascherata e ovviamente con ottime recensioni) e, tutt’intorno, anche lo stand della Sagra sul Sagrato è tornato in pista, con poche variazioni per quanto riguarda la squadra degli operatori ma tante novità logistiche: un nuovo stand per la distribuzione dei dolci, nuove posizioni per le varie cotture, meno tavoli e un angolo “mercanti fuori dal tempio” dove faceva bella mostra di sé la Vespa di Medori con il cartello “vendesi”.

La comunità e la Sagra delle Castagne di Marradi

Dopo una prima domenica di riscaldamento, le domeniche centrali sono state come al solito quelle con il maggiore afflusso e – devo dire – la nostra truppa di ottuagenari ha ben gestito la situazione, anche se in qualche momento il Luciometro (la scala internazionale che definisce il livello di stress di uno stand gastronomico in base all’intensità dello sguardo torvo del Lucio, n.d.a.) ha raggiunto i livelli di guardia. Altri momenti difficili li ha portati la nuova fila per l’asporto, che in qualche momento ha costretto i clienti a lunghe attese, che qualcuno ha affrontato dando informazioni al posto degli operatori dello stand. Niente, comunque, in confronto alla grave crisi dei tortellini fritti che per due settimane una Merkel ormai libera da impegni istituzionali ha cercato di gestire con pugno di ferro, ma senza grandi risultati perché i tortellini – buonissimi – venivano spazzati via in tempo record. La questione, così, si è risolta solo all’ultima domenica che, complice la vicinanza a Ognissanti e la ricorrenza del ricordo dei morti, ha visto un afflusso ridotto e che ha permesso a tutti di lavorare più serenamente, se si escludono le isolate proteste di un sommelier de sanglier che contestava il ragù di cinghiale della sua polenta e la delusione dei clienti che speravano in una versione Halloween dello stand, con le donne vestite da zucca (eh, per quello dovevate andare al Bar Centrale!). Alla fine, l’unico rammarico è per la Vespa di Medori che – nonostante diversi interessati – alla fine delle quattro sagre è rimasta invenduta. Gli intenditori dicono che la base di partenza fosse troppo alta ma, in fondo, si tratta del primo modello con miscelatore (non me ne intendo, ma riporto pedissequamente quanto mi hanno riferito, così almeno sapete che conosco l’avverbio “pedissequamente”) e poi ha una storia eroica, essendo stata la responsabile di almeno due polmoniti accertate e di decine di altri malanni non letali. Insomma, mi sa che avreste potuto fare un grande affare, un po’ come quelli che hanno comprato la limousine di Al Capone…

Vabbè, alla Vespa, alle bruschette e ai tortellini ci penseremo poi. Per intanto vi dirò che è stato bello ritrovare praticamente tutti gli operatori dello stand. E questo – dopo un anno così difficile – è stata davvero la cosa più importante per tutti.
Alla prossima (tra undici mesi)!

Andrea Badiali