Mettere sotto la lente d’ingrandimento il Sinodo dei giovani per sviluppare una tesi di laurea originale e utile per tutta la comunità. Riccardo Pollini, 23 anni è originario di Cervia. Si è trasferito a Faenza nel 2017 per iniziare il percorso della Comunità Propedeutica che ha concluso nella primavera scorsa. Il 5 ottobre scorso si è laureato in Scienze dell’educazione presso l’Istituto Universitario Salesiano di Venezia (Iusve) con la tesi triennale Giovani alle prese col Sinodo. La partecipazione nella Diocesi di Faenza-Modigliana.

Intervista a Riccardo Pollini

Riccardo, come mai la scelta di questa tesi?

La scelta è dovuta a diversi motivi. Intanto la volontà di rendere la tesi un lavoro circoscritto ma che potesse servire a una realtà conosciuta, qual è la diocesi di Faenza. L’occasione è stata data dal fatto che uno dei miei professori, Davide Girardi, aveva già svolto un lavoro significativo sulla realtà di Faenza e mi sembrava interessante approfondirlo e continuarlo.

Come hai condotto la ricerca?

È costruita a partire da interviste narrative. Sono stati coinvolti 18 giovani della Diocesi, nove dei quali avevano direttamente partecipato ai lavori del Sinodo. Gli altri intervistati sono stati individuati tra coloro che, anche se non del tutto dentro gli ambienti diocesani o parrocchiali, avevano sentito parlare del Sinodo. Volevamo vedere cosa aveva significato partecipare alle riunioni e agli eventi, ma anche cosa il Sinodo aveva mosso nel mondo giovanile del territorio. Ho quindi cercato di farmelo raccontare direttamente dai protagonisti.

Cosa è emerso dalla tua tesi?

Di certo il Sinodo di Faenza ha messo in moto alcuni processi particolari, che si innestano in una realtà giovanile, quella faentina, abbastanza vivace. Non è pratica comune nelle diocesi rendere i giovani stessi protagonisti di processi del genere. In particolare due aspetti hanno inciso in maniera positiva sull’esperienza sinodale e che bisognerebbe trovare il modo di implementare. Uno riguarda l’importanza di alcuni luoghi, come è stato il Seminario diocesano, dove riunirsi per parlare di questioni di fede, dove condividere i diversi percorsi che parrocchie, associazioni e movimenti vivono, ma anche dove trovano posto momenti informali così come momenti di preghiera e spiritualità.

Molti giovani hanno dichiarato l’importanza positiva che ha avuto per loro ritrovarsi insieme e vedere che si era in tanti, tutti giovani, a cercare di rispondere alle stesse domande sui loro cammini personali e su come condividere la fede con i coetanei o nei percorsi di catechismo. Altro punto, l’importanza di momenti aperti a tutti, eventi nei quali la Diocesi e i giovani credenti facciano proposte serie per tutti i giovani del territorio. Poi diventano pretesti per ritessere relazioni o per riprendere a farsi domande su alcuni temi.

Quali sono le domande di fede che si pongono i giovani oggi?

Sono tante e molteplici, e sicuramente questa ricerca non ha tutte le risposte. Una cosa è emersa: il bisogno di trovare momenti e luoghi (e il Sinodo è stato uno di questi) in cui vedere che le proprie domande sono prese sul serio, ma anche la voglia di trovare nuovi modi di essere Chiesa. Inoltre, è forte il bisogno di vedere, di toccare che come giovani con un cammino di fede non si è soli, che altri ragazzi e altre ragazze ancor oggi, nel nostro territorio, si fanno le stesse domande e cercano le stesse risposte.

Cosa può testimoniare il Sinodo dei giovani all’imminente cammino sinodale al quale siamo chiamati?

Mi sono posto questa domanda fin da quando, mentre scrivevo la tesi, il Papa ha annunciato l’inizio del percorso sinodale mondiale. Sicuramente Faenza può approfittare di tutto il lavoro fatto recentemente al Sinodo, e partire dal riprendere in mano i Documenti del Sinodo che purtroppo in pochi hanno letto.

Poi credo che sia un’occasione di rilancio: la pandemia ha bloccato quasi del tutto la fase attuativa del Sinodo dei giovani. Bisogna ritrovare lo slancio per metterla in piedi. Credo che si troverebbero giovani disponibili, anche tra chi è già stato sinodale. Potrebbero essere valorizzati come “esperti” del Sinodo nella nostra diocesi, rendendoli davvero protagonisti.

Samuele Marchi