Talento, senso di comunità, apprendimento laboratoriale: sono queste alcune delle parole chiave emerse dall’Open day dell’Orientamento che si è svolto il 1° ottobre 2021 a Faenza. L’evento – a cura della Diocesi di Faenza-Modigliana, Scuola Centrale di Formazione, Aeca, il Movimento Cristiano dei Lavoratori e Irsef – si è svolto al Seminario Pio XII e si è proposto di condividere esperienze, buone pratiche e linee guida nel segno del Patto Educativo Globale, indicato da papa Francesco. Nella giornata si sono così succedute riflessioni, esempi pratici portati dai ragazzi stessi, dati e numeri con l’obiettivo di garantire “l’urgenza di una risposta all’emergenza che ha investito tutte le scuole capace anche di arginare l’abbandono da parte di bambini e ragazzi a causa della crisi economica generata dal coronavirus – come detto dal vescovo monsignor Mario Tosocapace di invertire quei processi che portano a tagli finanziari al sistema educativo, con conseguenze deleterie per il futuro della stessa democrazia” (qui il testo integrale, ndr). 

Il seminario: Laboratorio orientamento giovani

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La giornata è stata aperta, in mattinata, dal seminario “Educazione, orientamento, lavoro e pandemia: affrontare la sfida della ripresa”. Ospiti relatori sono stati i professori Nino Scinicariello, Maria Dari e Paola Liverani di Irsef e il professor Daniele Callini, incaricato alla Pastorale Scolastica della Diocesi di Faenza-Modigliana. A moderare l’incontro il direttore de il Piccolo, Samuele Marchi.

Nel suo intervento, il prof. Scinicariello ha tracciato un quadro generale della formazione dei giovani, evidenziando alcune criticità. “Il 23,3% della popolazione di età compresa tra i 15 e i 29 anni non ha studi e non lavora, sono i cosiddetti Neet. E gli studenti italiani di 15 anni si collocano al di sotto della media Ocse in lettura, matematica e scienze, un quadro aggravato ancor di più dalla pandemia. Al tempo stesso, il 33% delle imprese italiane lamentano difficoltà di reclutamento di personale qualificato”. Al centro dunque va rimessa la parola “Orientamento”, che non deve diventare una “competizione tra i diversi istituti per ottenere l’iscrizione del maggior numero di studenti”, ma un approccio costante che studenti e sistemi educativi-formativi devono avere con il quale porse obiettivi e progetti, in un’ottica di formazione continua. Il Pnrr offre importanti risorse in tal senso, ma già da tempo la formazione professionale post diploma fornisce risposte, in particolare nella nostra Regione: ne sono un esempio gli Its e Ifts, corsi che garantiscono un’elevata formazione tecnica in settori specifici richiesti dalle aziende del territorio.

La professoressa Maria Dari ha poi sottolineato l’importanza dei percorsi educativi di mettere al centro di bambini e giovani la ricerca del proprio talento, con il quale realizzarsi come persone in un’ottica integrale. L’istituto comprensivo Europa di Faenza fu uno dei primi, ormai vent’anni fa, ad attivare laboratori scolastici strutturati per i propri studenti, che svariavano da laboratori di teatro alla cucina francese passando per attività nella natura. Riconoscere il talento è importante, anche perché il rischio è che nella scelta della scuola superiore si privilegino altri parametri – l’amicizia con i compagni di classe, per esempio, o il pregiudizio che le scuole tecnico-professionale siano istituti di serie b – anzichè quella di seguire una propria vocazione.

L’importanza della conoscenza della lingua inglese è stata al centro della relazione della docente Paola Liverani. “Oggi conoscere più lingue è fondamentale – ha detto – in un contesto globale e sempre più interconnesso, anche il capo reparto di un’azienda meccanica di una città della provincia italiana deve riuscire a interagire con software e clienti in lingua inglese. Su questo l’Italia sconta ancora un forte ritardo e la chiave nella didattica è quella di un apprendimento laboratoriale. Non bisogna limitarsi alla lezione frontale, specie a scuola”.

L’intervento conclusivo è stato affidato al professor Daniele Callini, che ha ricordato l’importanza di abbinare, alla parola talento, anche la parola fragilità. “Fin da quando nasce – ha spiegato – l’uomo è dipendente di qualcuno o qualcosa. E’ un animale sociale, e per questo è importante, soprattutto nel periodo storico che stiamo vivendo, passare dall’io individuale a un noi. Troppo spesso insegnanti e docenti sono lasciati soli e non vivono un vero contesto di comunità educante“. Infine ha sottolineato l’importanza di ascoltare i linguaggi con i quali i giovani ci parlano – per esempio attraverso una canzone rap – per capire i loro reali bisogni, che sono soprattutto bisogni di senso e di felicità. E l’orientamento, il sapere quale rotta intraprendere, il sapersi progettare sono proprio la chiave per rispondere a questo bisogno oggi più che mai attuale.

Dalla teoria alla pratica

Nel pomeriggio sono stati presentati i laboratori di Ciofs, Engim, Cefal, Cnos Forlì e Sacro Cuore di Lugo. Giovani in cammino lungo un percorso professionale che spazia dalla meccatronica all’operatore turistico fino a progetti di eco-sostenibilità. Esperienze che unisco il saper fare manuale all’intelligenza e capacità di rispondere alle esigenze di mercato e della comunità.

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Da qui sono partite anche le riflessioni di Massimo Folador (Liuc – Università Carlo Cattaneo) che ha posto al centro della sua relazione tre parole: efficacia, efficienza, eccellenza. “Le prime due sono già da tempo assodate nel contesto di business – spiega -, ma oggi non bastano più. Serve l’eccellenza, in ogni settore, anche quello più locale. A questo dobbiamo guardare”. Ha poi ricordato, sull’esempio dei monaci benedettini alla base delle radici culturali europee, “come il lavoro abbia prima di tutto una dimensione intellettuale e spirituale. Nel momento in cui si raggiunge una dimensione del lavoro trascendente – chiedendoti: perché stai svolgendo questa attività – si raggiunge la piena realizzazione umana”.

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A conclusione della ricca giornata è intervenuto il vescovo di Faenza-Modigliana, monsignor Mario Toso, che ha testimoniato ai giovani dei centri professionali come ogni momento di passaggio nel proprio percorso di vita – come il passare da essere studente a lavoratore, e assumere man mano sempre più gradi di responsabilità – rappresenti una sfida non facile, ma arricchente per tutti gli aspetti della propria persona.

“L’impresa è prima di tutto una comunità di persone, non dimenticatelo mai – ha ricordato ai giovani – e auguro a tutti voi di riuscire a vivere appieno questa dimensione. Non si lavora solo per svolgere un mestiere, ma per essere parte di una comunità e offrire servizi utili agli altri cittadini”. Il vescovo ha poi ricordato come sia necessaria, oltre che una formazione tecnica costantemente aggiornata in grado di rispondere alle sfide del presente, anche una cultura umanistica in grado di dare senso alle innovazioni tecnologiche: su questo punto, in particolare, ci si gioca tanto della costruzione di un “pianeta che speriamo” nel segno di una vera rigenerazione.