Tornare dopo due anni al Festival del cinema di Venezia ha un sapore davvero particolare che va oltre la bellezza della città o il profumo di salsedine che inonda il lido. Significa riconquistare un pezzo di libertà in questa lotta terribile contro il Covid-19. Anche quest’anno distanza in sala, ma col Green pass, un passo in più a livello di sicurezza. Il red carpet è blindato, ma di fronte all’hotel Excelsior stazionano gli appassionati in attesa di un cenno dai loro beniamini. Tante le lingue straniere, francesi in particolare.

Tanti titoli interessanti e, come spesso accade, anche qualche delusione. In concorso, il film che più mi ha convinto è stato The power of the dog, ritorno al cinema per Jane Campion con un western – una storia ruvida tratta dall’omonimo romanzo – che vanta, oltre all’ottimo cast, una fotografia meravigliosa. Nelle sezioni collaterali due i film che meritano.

Il primo è A plein temps, storia di una donna sola con due bambini che disperatamente cerca di far quadrare i conti di casa, alle prese con una nuova offerta di lavoro proprio nelle giornate in cui Parigi è paralizzata dallo sciopero dei mezzi: esprime alla perfezione l’ansia di una donna che combatte nonostante un ex marito completamente assente e il mondo capitalistico pronto a schiacciare chicchessia. L’altra opera è The land of dreams che ci interroga sul pericolo che potremmo correre qualora i governi fossero in grado di controllare e archiviare i nostri sogni.

Piace sottolineare che, tra regia e cast, tutti i film nominati spiccano per presenza femminile di qualità che si nota anche nelle altre pellicole. La delusione è stata perThe Card counter: il film sta a metà tra gioco d’azzardo e vendetta per i crimini di guerra ma, in definitiva, non prendendo mai con convinzione nessuna delle due strade finisce per cadere in un canovaccio ripetitivo e già ampiamente visto.

Il miglior attore è stato – a mio modesto avviso – sicuramente Benedict Cumberbatch per l’interpretazione spigolosissima offerta nel film The power of the dog. Per la migliore attrice darei un ex aequo a Olivia Coleman, protagonista del bel The lost daughter (al netto di qualche piagnisteo di troppo), e a Laure Calamy per A plein temps.

Per fortuna, però, non ero il solo marradese in laguna: ci riempie, infatti, di orgoglio Stefano Mordini, originario del nostro paese, che ha presentato fuori concorso la sua nuova opera La scuola cattolica, dall’omonimo e interessante romanzo di Albinati, premio Strega qualche anno fa: costruito sull’efferato delitto del Circeo del 1975.

Sì. Tornare a Venezia è stata davvero un’esperienza meravigliosa.

Filippo Catani