Sa vot, Cânva?, è uno dei modi di dire in uso in quel di Tredozio. Cânva, in italiano “Canapa”, è ancora oggi il nome di un podere con una casa ampia, solida e un gran bel terreno tutto esposto a solatìo, che si trova sulla collinetta dominante la strada provinciale poco prima di arrivare a Tredozio venendo su da Modigliana. Negli anni in cui la campa e il benessere dipendevano dalla qualità del terreno che si lavorava, il podere di Cânva rappresentava il massimo che si potesse desiderare.

Sa vot, Cânva?!, che per i tradoziesi significa “cosa vuoi di più?”, è diventato il titolo di un libro in cui sono stati raccolti detti, cultura e tradizioni del piccolo comune dell’alta valle del Tramazzo che potete vedere nella foto di copertina scattata dal Monte della Collina.

La vivacità e la sensibilità che contraddistingue Tredozio per le sue tante iniziative culturali le ritroviamo nelle pagine di questo bel libro scaturito dalla curiosità di Silvia Nannini, Barbara Verni e Ivan Villa, tre giovani tredoziosi che hanno deciso di indagare sul modo di vivere e lavorare dei loro compaesani in anni ormai lontani da quelli in cui loro tre sono nati e cresciuti.

Partendo da uno sbiadito ricordo di quanto avevano sentito raccontare da bambini, si sono confrontati con gli anziani, “i nonni” della piccola comunità tredoziese che sono la memoria storica di quel tipo di vita.

Grazie ai tanti tasselli delle varie testimonianze, raccolte con un’indagine lunga, paziente e preziosa, sono riusciti a ricomporre il puzzle della situazione di allora.

In quegli anni la popolazione di Tredozio, oggi per lo più residente in paese, viveva in gran parte nelle case sparse sulle colline circostanti, nei poderi che facevano capo a varie parrocchie: piccole entità territoriali aventi ognuna caratteristiche proprie e fra queste, in primis, la lingua.

Ascoltando i racconti dei “nonni”, gli autori di Sa vot, Cânva?! si sono resi conto che un dialetto tredoziese omogeneo non è mai esistito, ma che c’erano tante parlate quante erano le località, a monte o a valle che fossero. In quegli anni dalla cadenza dialettale si capiva subito la zona da cui proveniva chi stava parlando. Quel dialetto così vario, ma tanto ricco di espressività, lo si ritrova in ogni pagina di Sa vot, Cânva?!. È la caratteristica che accompagna il lettore dall’inizio alla fine del libro, qualunque sia l’argomento che si sta trattando; termini, proverbi e modi di dire dialettali seguono il filo conduttore dello scorrere del tempo metereologico e del ciclo delle stagioni, cominciando dall’inverno e poi su dietro con le altre:

e’ srè ch’ o s’ fa ed not, s’ o dura on dè l’è anch trop (il cielo sereno che si fa di notte, se dura un giorno è anche troppo);

l’enverne o n’ se l’è mei magnè el pasere, s’ o n’ v e˜ prema o v e˜ dapp (l’inverno non se lo sono mai mangiato le passere, se non viene prima viene dopo);

Nadèl ai sol, Pasqua ai fogh (Natale al sole, Pasqua con il fuoco acceso);

Sant’Antogn da la berba biãca, s’ o n’ l’ha davãti deddrè la n’ gne mãca (Sant’Antonio dalla barba bianca, se non ce l’ha davanti di dietro non gli manca);

Merz da la bela testa, tot i dè aqua e tempesta (Marzo dalla bella testa, tutti i giorni acqua e tempesta);

quand o canta e’ cocch, la matena a mol e la sera sott (quando canta il cuculo, la mattina bagnata e la sera asciutta);

so piov per Sant’Ana o perd l’avlana e o venz la castagna (se piove per Sant’Anna – 26 luglio – ci rimette la nocciola e ci guadagna la castagna);

Sant’Andrè la nev ent e’ pajè (Sant’Andrea la neve nel pagliaio).

Quando poi si parla dei lavori dei campi e della casa, delle tradizioni e dei riti religiosi è tutto un susseguirsi di espressioni dialettali e di termini particolarissimi: e’ chep fred (la coppa di testa), e’ revzol (il raviggiolo), i brusè (le castagne arrosto), la paciarela (la polenta con pancetta, porro e fagioli), i bartlez (i caratteristici tortelli di patate, pancetta e formaggio cotti alla lastra), e’ brusadù (la padella forata per fare i brusè).

E che dire dei tanti soprannomi, uno più originale dell’altro?

Eccone alcuni:

Bel òcc, Brusafer, Chegazira, Ciapomì, Cul strett, Disnòv, Gabanona, la Gnagnera, Mez chil, Mo va là, Paronzla, Pelacrest, Pititù, Putana boja, Sciopõ, Spruciõ, Strusle, Vidlaz, Zerciõ, Zizéna.

Nel libro sono riportate anche diverse fotografie d’epoca, una ventina di pagine di modi di dire con la relativa spiegazione in italiano e … alcune pagine bianche dove chi legge può aggiungere altre parole o espressioni tredoziesi che non siano state riportate dagli autori.

La presentazione di Sa vot, Cânva?! si farà sabato 11 settembre alle ore 16.30 in piazza a Tredozio (in caso di maltempo ci si ritroverà nel teatro di San Michele) e siete invitati tutti, in particolare i tredoziesi residenti, ma anche quelli lontani e i loro discendenti; fra questi ci sarò anch’io perché la mia zocca viene di là. Venite, sarà bello rivivere insieme ai tre autori tanti momenti della cultura e vita tredoziese di un tempo.

Mario Gurioli