Era il 9 agosto 2019. Una colonna di fumo si alzava da via Deruta: il magazzino della Lotras System, azienda di logistica, era avvolto dalle fiamme. Da subito i Vigili del Fuoco capirono la portata dell’incendio: un mix distruttivo, fatto dagli oli di una società di Forlì e dalla gomma di un’impresa di Cotignola. Il sindaco Malpezzi, accorso sul posto per coordinare l’unità di crisi, aveva invitato la popolazione a non fare attività all’aperto e a lavare accuratamente gli ortaggi e la frutta. Si operò rapidamente, tramite i bacini di laminazione, per scongiurare l’inquinamento delle acque che poteva portare danni catastrofici fino alla riviera.

I campionamenti effettuati da Arpae per monitorare gli inquinanti nell’aria delinearono un quadro non critico entro i limiti di legge. Ci vollero otto giorni per domare le fiamme che avevano avvolto gli oltre 20mila mq dell’edificio. Ora cosa ne sarà allora di quest’area? Alcuni la definiscono una cicatrice nella città, che deve essere rimarginata e ricucita. Ne parliamo con l’assessore all’Ambiente, Luca Ortolani.

Intervista all’assessore all’Ambiente Luca Ortolani

A che punto sono le indagini?

Sono ancora in corso. Il capannone rimane sotto sequestro. Finché non verranno stabilite dagli organi competenti le cause e, eventualmente, il responsabile dell’incendio, su questo fronte non ci possiamo muovere. Chiaramente, come ente pubblico, il Comune si è fatto carico degli interventi principali per mettere in sicurezza l’area del disastro. In tutto l’Amministrazione Malpezzi ha speso 2,4 milioni di euro per gestire l’emergenza, un milione dei quali prestato dalla Regione. Si tratta di cifre considerevoli per il bilancio comunale. Oltre a questi, altri 750mila verranno spesi per completare la bonifica dell’area del bacino di laminazione. Certo, i tempi della Magistratura sono molti lunghi e a volte paiono scollegati dalla realtà. Come Amministrazione oggi garantiamo la sorveglianza del sito e ciclicamente dei tecnici monitorano l’area che è in sicurezza, ma tanta gente ci chiede di intervenire: vedere il capannone in quello stato non è un bel messaggio per la città.

E nel caso non risultasse un responsabile?

La prima cosa che faremo sarà rivalerci sulle assicurazioni. A occuparsi della bonifica sarebbe il responsabile dello stabilimento. Poi, vista la portata dell’emergenza, cercheremo un confronto con Stato e Regione per quanto riguarda le somme già spese.

Quale futuro dunque per il capannone?

In attesa dei verdetti dalla Magistratura è impossibile programmare con certezza i prossimi step. L’unica riflessione che posso fare è che, da come ha operato in questi due anni, l’intenzione della proprietà sembra essere quella di mantenere la propria attività a Faenza. Attualmente ha spostato la propria sede in un altro capannone in via Proventa.

La bonifica del bacino di laminazione invece procede.

A fine agosto si è concluso lo svuotamento delle acque. A differenza delle prime acque utilizzate per lo spegnimento dell’incendio, dalle analisi, questa acqua non risultava essere particolarmente inquinata, e lo testimonia la vita acquatica che si è sviluppata nel corso del tempo. Ora inizierà l’operazione di sfalcio dell’erba e della vegetazione, attorno e all’interno del bacino stesso. Anche questa verrà analizzata e poi smaltita, come materiale organico o come rifiuto a seconda delle analisi. Una terza fase riguarderà lo ‘scortico’ dello strato superficiale del terreno del bacino per una trentina di centimetri di profondità. Anche in questo caso il terreno verrà analizzato.

Quando finiranno i lavori?

La conclusione è prevista a ottobre e a fine anno contiamo di portare il bacino alla sua funzione originaria.

Che cosa lascia questa ferita?

Sicuramente a ogni faentino ha lasciato, a livello personale, emozioni e ricordi diversi. Come Amministrazione parto dagli aspetti positivi: c’è stata una virtuosa gestione dell’emergenza tra attori pubblici e tanti privati coinvolti grazie ai quali è stato evitato un enorme disastro ambientale, specie per quanto riguarda la gestione delle acque inquinate che sarebbero potute arrivare fino alla Riviera. Credo che questo ci debba essere riconosciuto dallo Stato e Regione, anche come supporto economico. Ha lasciato però tanta preoccupazione nel settore logistica, strategicamente importante per il nostro territorio e che necessita di competenze specifiche per svilupparsi. Si è trattato di un grande danno di immagine.

Qualità dell’aria a Faenza: patti e incentivi per migliorarla

Un’aria meno sgradevole e più sana: questi gli obiettivi per i prossimi anni, tanto nella zona industriale quanto nella città nel suo complesso.

«La necessità di ridurre l’impatto delle sostanze odorigene che vengono prodotte dalle lavorazioni di materie vegetali e organiche nelle aree industriali c’è – spiega l’assessore Ortolani -. Ovviamente qui l’incendio del magazzino Lotras oggi non c’entra, ma entrano in campo altri fattori. A maggio dell’anno scorso è stato sottoscritto un protocollo d’intesa tra Comune e aziende (Caviro, Dister Energia, Enomondo, Tampieri, Faenza Depurazioni, Villapana) che si sono impegnate a investire complessivamente 20 milioni di euro per il miglioramento della qualità ambientale nell’area industriale. Tra dicembre e gennaio faremo un primo bilancio pubblico dopo un anno e mezzo di lavoro».

Tra gli interventi in campo dalle aziende, la realizzazione di nuovi capannoni e silos, oltre a nuovi impianti di trattamento dell’aria in grado di limitare la diffusione delle molecole più sgradevoli.

«Si stanno sviluppando nuove tecnologie, anche se dal punto di vista chimico diversi passaggi non sono banali – dice Ortolani -. Voglio sempre sottolineare che, per quanto sgradevoli, questi odori non sono nocivi per la salute. Così come il fumo bianco che vediamo emettere da queste industrie è in gran parte vapore acqueo».

Meno sgradevole all’olfatto, ma più pericoloso, è invece la quantità dei Pm10 e polveri sottili nell’atmosfera. «Il contesto della Pianura Padana non ci aiuta – spiega Ortolani – e proprio per questo il tema della qualità dell’aria va affrontato con uno sguardo più ampio di quello comunale, a livello regionale». Più che le aziende, già controllate per non superare limiti di legge, secondo l’assessore all’Ambiente e gli ultimi studi regionali un ruolo decisivo per l’innalzamento delle polveri sottili è dato delle emissioni domestiche: il 57% dei Pm10 nell’aria viene emesso, infatti, dalle caldaie domestiche. «Le emissioni delle auto e soprattutto il riscaldamento nelle case causano l’impatto maggiore dei Pm10 – dice Ortolani -. Per questo vanno sostenuti sempre di più incentivi per l’efficientamento energetico edilizio. Così come dobbiamo guardare con attenzione quanto sta facendo la Germania in campo della mobilità rinunciando per esempio al diesel. Le persone vanno aiutate in questi cambiamenti, per questo anche dalla Regione si deve sempre di più puntare sugli incentivi. Noi dialoghiamo con gli altri enti e metteremo in campo gli strumenti di cui come Amministrazione disponiamo, come il Pug, ma la partita su questo fronte è molto ampia».