Emanuele Casadio, 33 anni, sarà ordinato sacerdote, assieme a Michel Arsène Bòm, dal vescovo Mario sabato 4 settembre, alle 18, in Seminario diocesano. Emanuele celebrerà poi messa a Reda, suo paese di origine, alle 17,30 di domenica 5 settembre; la sua prima celebrazione a Russi, dove sta ora svolgendo il suo servizio diaconale, è in programma domenica 12 settembre alle 11, inizio della Festa dell’Addolorata. Dopo la celebrazione ci sarà un momento conviviale al quale si potrà accedere solo esibendo il Green pass.

Emanuele è cresciuto a Reda poi, conosciuta l’esperienza dell’Omg, è stato nelle missioni peruviane prima di maturare l’intenzione di entrare in Seminario a Faenza, per svolgere gli studi di Teologia a Bologna dove ha avuto occasione di fare volontariato presso la Casa della Carità di Corticella.

Intervista a Emanuele Casadio

Emanuele, cosa provi nell’avvicinarti all’ordinazione?

Sinceramente la cosa che in questo momento più di tutto mi rimbalza in testa è una gran paura di non essere pronto a diventare sacerdote, che, grazie al Signore viene combattuta. A questa chiamata mi sono preparato con molti anni di Seminario, ma soprattutto con il sostegno di persone che mi hanno aiutato a leggere i segni che il Signore mi ha mostrato lungo il cammino, per arrivare a scegliere concretamente la strada del sacerdozio.

Qual è la cosa più bella nel dire ‘sì’ a Dio?

La cosa più bella è che si dice ‘sì’ a una persona che c’è sempre. Il Signore c’è, mi aspetta, mi accompagna e mi accompagnerà sempre nonostante i miei allontanamenti o i miei momenti bui; è e sarà sostegno nei momenti difficili della mia vita.

Quando hai sentito la chiamata del Signore?

La chiamata a entrare in Seminario, per capire cosa il Signore mi chiedesse, è arrivata durante il mio periodo di missione in oratorio in Perù. Lì ho capito che avevo bisogno di aiutare gli altri per stare bene nella mia vita. Sentivo di dover spendere la mia vita per aiutare il prossimo. Il percorso in Seminario è stato molto bello: ricco di incontri, di confronti con i compagni e di momenti formativi che mi hanno aiutato a crescere come persona.

Negli anni, oltre che perfezionare il mio rapporto con Dio, sono maturato umanamente grazie ad alcuni cammini personalizzati che mi hanno aiutato a crescere nelle relazioni e ad aprirmi di più all’altro. Ringrazio moltissimo il Seminario perché mi ha veramente cresciuto come un figlio, che si aiuta a gestire le situazioni difficili, ma soprattutto a dare il meglio di sé non solo nelle cose che sa già fare o conosce ma in tutto.

Hai mai pensato di abbandonare tutto e prendere un’altra strada?

Credo di aver avuto moltissime occasioni in cui sarei potuto andare via. Grazie a Dio ci sono state persone che mi hanno aiutato a capire il senso delle cose che stavano accadendo, ma soprattutto mi hanno supportato e sostenuto nel ricentrare il mio cammino da seminarista verso un obiettivo concreto. Il Signore ha fatto la sua parte sempre. Nonostante le mie indecisioni, ho sempre sentito la Sua presenza di amico che sostiene e incoraggia.

In quali servizi ti sei speso in questi anni?

In questi anni di Seminario ho fatto queste esperienze di servizio: in propredeutica sono stato due anni a Bagnacavallo e un anno ho effettuato un percorso personalizzato presso la comunità della Papa Giovanni XXIII a Rimini. Durante gli studi di Teologia sono stato, per circa cinque anni, nella parrocchia di Modigliana, dove ho scoperto una comunità ricca di iniziative, ho incontrato il mondo degli scout che non conoscevo, ma in particolare ho conosciuto don Massimo Goni che mi ha aiutato a comprendere meglio i “compiti” del sacerdote. Ho vissuto un anno alla Casa della Carità a Corticella di Bologna come stage pastorale dopo la V Teologia. Infine, da diacono, sto svolgendo il mio servizio nella parrocchia di Russi, realtà molto grande, dove mi sto inserendo nelle varie attività presenti; in particolare, ho creato un bel rapporto di confronto e scambio sulla nostra vita e sulla pastorale con il parroco, don Pietro Scalini, e il cappellano don Stanislao Rafalko.

L’esperienza che più mi ha arricchito è stato l’anno alla Casa della Carità. In questa casa vivono 15 ospiti con varie patologie e con la pandemia siamo stati costretti a chiuderci per preservare queste persone così fragili. È stato un anno molto formativo, ricco di confronti in cui sento di essere cresciuto come persona.

Veniamo da un anno e mezzo ricco di complessità. Che ruolo ha avuto la fede per te in questo periodo?

Sicuramente abbiamo vissuto un periodo di buio, di paura, di solitudine, ma soprattutto mancanza di relazioni. Grazie a Dio non ero solo ad affrontare questo periodo: abitando in canonica ho sempre avuto modo di confrontarmi con il parroco e il cappellano su ciò che accadeva. Sicuramente la fede nel Signore ha avuto un ruolo fondamentale. Affidare a Lui le fatiche di questo momento, le paure, mi ha aiutato a vivere più serenamente il periodo. Credo che in generale manchi un po’ la fede, perché si fa fatica ad affidare anche le cose brutte che accadono al Signore, spesso è più facile chiudersi in casa senza pensare troppo. Dobbiamo essere più fiduciosi nei confronti del Signore, proviamo ad affidare a Lui tutte le nostre fatiche, le cose brutte, le cadute e solo in Lui sapremo trovare la vera gioia che dona serenità e pace.

Che sacerdote sarà don Emanuele?

Questa è una bella domanda. Forse tra qualche anno ti risponderò. Desidero camminare insieme alla comunità in cui sarò mandato, mi impegnerò a essere presente soprattutto nei momenti di bisogno e far conoscere sempre più la bellezza dell’amicizia con il Signore, quell’amicizia che può dare la gioia vera.