Per festeggiare l’Assunzione della Madonna lo scorso 15 agosto si è svolto il pellegrinaggio a piedi al Santuario di Ghiandolino. A causa del Covid e del conseguente divieto di assembramenti, anche quest’anno non è stato possibile svolgere il pellegrinaggio nella forma consueta e la partecipazione è stata limitata a 150 pellegrini che sono partiti dalla chiesa di Riolo Terme, scaglionati in tre gruppi distanzati tra loro di 10 minuti.

L’evento ha avuto inizio alle 6.30 in chiesa con un canto e con la lettura del caloroso messaggio di Sua Santità Papa Francesco, inviato al Vescovo di Imola S.E. Mosciatti, in cui il Papa ha auspicato per tutti i pellegrini “un sempre più vivo desiderio di scoprire Cristo, Maestro e Pastore […] che dona consistenza a tutta la nostra esistenza, infondendo nuova speranza per il futuro”. Il messaggio del Papa terminava con la Benedizione Apostolica ai pellegrini e all’intera Comunità Diocesana.

Il gesto del pellegrinaggio è poi proseguito con la recita del Rosario e della S.Messa celebrata da S.E. Mons. Giovanni Mosciatti, della cui presenza gli organizzatori sono veramente grati. Rosario e S.Messa sono stati inframmezzati da canti e da due significative testimonianze connesse con il tema prescelto in questa edizione del pellegrinaggio dal titolo “C’è speranza? Il fascino della scoperta”.

Alle 8.15 è iniziato il pellegrinaggio in cui i tre i gruppi hanno percorso otto chilometri e duecento metri di dislivello per raggiungere Ghiandolino. Attraversando le colline imolesi i pellegrini hanno recitato il rosario per le intenzioni di preghiera inviate anticipatamente agli organizzatori. Il pellegrinaggio è terminato al Santuario con l’omaggio all’immagine della Madonna del Ghiandolino e con la recita della preghiera a San Giuseppe, nell’anno a lui dedicato.

Questo gesto di devozione popolare è stato proposto da Comunione e Liberazione a tutta la diocesi e a tutti coloro che desiderano pregare la Madonna e chiedere a lei aiuto e protezione, in particolare nell’attuale circostanza del Covid che ha acuito il nostro bisogno di vivere consapevolmente e ci ha spinto a riflettere, come forse non capitava da tempo, su chi siamo, su come e di che cosa viviamo. Il pellegrinaggio è stata un’occasione per incontrare persone ed ascoltare testimonianze che non ci hanno distratto da queste domande.

Flavio Babini

Testimonianza su Nicola Zattoni (Zatto) di Donatella Magnani

Sono profondamente grata di poter essere questa mattina qui a dar testimonianza di Nicola, detto Zatto, che tanti anche fra voi presenti al Pellegrinaggio hanno conosciuto o ne hanno sentito parlare, morto il 6 giugno scorso, giorno del Corpus Domini. L’essere qui, chiamata a dar voce alla sua esperienza attraverso la mia esperienza, è il segno evidente di una preferenza che Nicola continua ad esercitare, oltre ogni misura, su di me, e attraverso me per tutti. E oggi per ciascuno di voi.

Certamente la malattia, una forma di SLA molto aggressiva, diagnosticata ufficialmente ad ottobre, ma che ha avuto i primi segni proprio un anno fa, in agosto, è stato un grande imprevisto per Nicola, giovane imprenditore di 36 anni con una prospettiva lavorativa ottima. E lo è stata anche per tutti noi che gli siamo amici.

Sin da subito Zatto ci ha trascinato con sé in questa sua vicenda umana, non ha nascosto nulla del suo dramma. Nicola aveva capito che quella malattia era la forma, una forma davvero particolare, attraverso cui il Signore della Vita, aveva ingaggiato con lui un dialogo serrato. E non voleva viverlo da solo, anche perché capiva che da solo non ce l’avrebbe mai fatta.

Quando gli hanno diagnosticato definitivamente la SLA, Nicola mi ha scritto: “Dodi mi raccomando! Ho molto bisogno di amici! Di amici per cui la vita è una cosa seria” L’amicizia con Nicola è sempre stata una pro-Vocazione, una nuova chiamata ad essere seri e veri con la propria vita, con le proprie domande. Ci si accorgeva di essere realmente tutti sulla stessa barca: il desiderio di felicità e di compimento erano gli stessi.

Erano diverse solo le circostanze, ma la posta in gioco era per tutti la stessa. Quando la sera ci si collegava al momento di preghiera, fatto per lui e con lui, gesto iniziato ad ottobre e fedelmente vissuto tutte le sere, il cui numero di partecipanti aumentava sempre più, come se ci fosse una sorta di contagio che attraeva altri, in quelle sere più volte ci ha chiesto: “Ma voi cosa cercate, collegandovi? Chi cercate? Cosa c’è di attraente nel vedere uno malato di SLA?” E così la libertà di ciascuno era messa in gioco e sfidata continuamente.

Lo si vedeva, era evidente che il vero imprevisto, quello descritto da Montale come “l’unica speranza”, non era, per Nicola, la malattia. Ad un amico ha scritto: “La croce, (la SLA), non è causa della grandezza che vivo. La croce è solo l’evento scatenante. Ha svelato ciò che c’era dentro il mio cuore.” E cosa ha svelato del cuore di Nicola? Più volte ce lo ha detto in questi mesi: “Io voglio vivere all’altezza dei miei desideri” La sera del compleanno avvenuto il 1 giugno scorso, cinque giorni prima della sua morte, in quello che io chiamo essere il suo testamento spirituale, ci ha detto:

La mia vita è sempre stata dominata da un bisogno viscerale di essere preferito. Per tentare di soddisfare questa mia esigenza ho fatto di tutto. Ho cominciato a rubare i fiori dai giardini dei vicini per strappare una carezza a quella santa donna della mia mamma, ma non mi sono fermato lì. Non mi sono fermato davanti a niente. La mia esigenza andava soddisfatta e non mi faceva problema la scompostezza. Poi crescendo, tra un innamoramento e un libro (che scoprimmo essere L’Annuncio a Maria di Paul Claudel) ho finalmente trovato quello che in maniera disperata avevo cercato tutta la vita. Prima aveva il volto di una donna, poi lo sguardo paterno di don Carlo, infine ha piano piano invaso tutti gli angoli della mia vita, un po’ alla volta.”

Fino ad arrivare in questi mesi di malattia, dentro cui abbiamo visto Nicola stupito, e tante volte commosso, per quella tenerezza discreta e tenace con cui il Signore lo ha sempre cercato e talvolta anche inseguito. Il 21 dicembre ci raccontava di una telefonata con un amico sacerdote in cui gli era stato detto: “Nicola, prima della tua mendicanza ricordati che c’è Cristo mendicante del tuo cuore”. E Nicola ci diceva: “Quando me l’ha detto, in un secondo, ho rivisto migliaia di istanti, di questi ultimi mesi, di questi ultimi anni, nei quali il Signore non ha smesso un istante di corteggiarmi. Potrei fare migliaia di esempi”.

Il 30 maggio scriveva, attraverso il suo comunicatore oculare: “Questa malattia è terribile. Non si riesce a immaginare. Non c’è un angolo di autonomia, di respiro. Ma io potrei vivere, anzi, vorrei vivere tutti i giorni della mia vita come oggi. Istanti eterni, densi del dialogo drammatico e virile con il Mistero.”

Don Carlo Grillini nella sua omelia al funerale ha detto “…ci ha litigato con Dio eh, ma non ha smesso di dire sì! Non sì alla croce, sì alla propria felicità umana, alla propria fioritura umana, al ‘gustate e vedete’ e questo glielo abbiamo visto tutti, in questi dieci mesi”.

Nel suo cammino ad un certo punto è sorta la grande questione sull’utilità della vita, su cosa voleva dire essere utile. Scriveva ad un amico sacerdote all’inizio della sua malattia: “Io prima facevo tante cose, anche utili. Ma quando non potrò più fare nulla, nemmeno parlare, quale sarà il mio contributo? Qual è il mio valore? Diciamo sempre che Cristo basta al cuore dell’uomo. Ma è vero?”

Nicola non si è risparmiato niente e non ci ha mai risparmiato niente. E io posso testimoniare, in tanti possiamo testimoniare, che Gesù ha preso sul serio questo suo grido, e gli ha risposto, e ha aiutato anche noi a rispondere, indicandoci la strada. E come lo ha fatto? MostrandoSi a lui (e a noi) nell’accadere di tanti fatti.

La sera, nei collegamenti delle ore 21:00 su zoom per pregare insieme, pur non risparmiandoci dettagli dolorosi dell’evolversi della malattia, ci raccontava fatti, incontri, dialoghi che avvenivano durante la giornata, che lo stupivano per il loro accadere e si chiedeva: “Ma chi fa accadere tutto questo?” Io campo di quello che vedo – diceva – voglio stare attaccato alla realtà con le mani e con i denti perché è nella realtà che c’è il Suo volto”. E quante volte terminava il suo racconto della giornata dicendoci: “Anche questa sera vado a letto grato e contento”. Ma di cosa era grato, di cosa era contento? Che Gesù era riaccaduto, e questo coincideva con la sua personale realizzazione. Pochi giorni prima di morire ci dirà “Che io viva o che io muoia sono Tuo”. Capita di tutto, non si gestisce niente. Però Tu sei fedele e anche oggi sei venuto a casa mia, in camera mia. Mostrami ancora la Tua preferenza: non vivo senza.”

Zatto tutte le settimane si incontrava con Mikel Azurmendi, deceduto il 6 agosto, festa della Trasfigurazione, spagnolo, amico di tanti di noi, assetato di conoscere il Mistero. Una volta gli ha chiesto: “Zatto, dimmi: che cosa è il Mistero?” E Nicola ci diceva: “Che domanda impossibile! Però non ho avuto nessuna difficoltà a rispondergli proprio per questo motivo: il Mistero accade nelle mie giornate in maniera insistente e assolutamente delineata, per cui ho raccontato esattamente quello che mi succede dalla mattina alla sera. Questi migliaia di fatti che potrei raccontare hanno un unico denominatore comune: accadono attraverso persone. Ci sono ragazzi di 15 anni, persone di 80-90 anni, maschi, femmine, studenti, lavoratori, dipendenti, imprenditori, bianchi, neri. Gesù si manifesta sempre attraverso una carne. È da qui che nasce la mia speranza”.

Una speranza che lasciava spazio ad un’altra esigenza: “Che tutti sappiano cosa mi è successo, che tutti Lo conoscano, che tutti possano vedere che miracolo che è diventata la mia vita.”

E su questo non si è risparmiato, mai, fino all’ultimo. Nella sua casa, a volte occorreva fare da ‘vigili’ per dirigere il traffico delle persone che volevano poter parlare con lui e la cosa che lo confortava era questa “La cosa che più mi riempie il cuore è che uno guardando me non può confondersi. Non sono forte, non sono coraggioso, non ho le spalle per questa croce, sono semplicemente preso.

Tutte le sere noi abbiamo sinceramente pregato “Concedici, o Padre, per l’intercessione di don Giussani, secondo la Tua volontà, la grazia che imploriamo – la guarigione di Zatto – nella speranza che egli sia presto annoverato tra i Tuoi santi.”

Qual è stato il Miracolo che Nicola ha visto accadere nella sua vita, che noi abbiamo visto accadere? Diceva “La cosa che oggi mi sorprende in assoluto è il fatto che tutta la realtà sia investita da una novità. Tutto quello che succede, che in teoria sono sempre le solite cose, in realtà è diverso. Oggi mia sorella è venuta da Modena a trovarmi. Siamo stati insieme 2-3 ore. Anche il rapporto con lei, lo stare con lei, è stato totalmente investito dalla bellezza che sto vivendo in questi giorni… (Mentre scrivo mi rendo conto dell’eccezionalità di quello che sto scrivendo…Infatti cosa c’è di più scontato del rapporto con la propria sorella? Ma è tutto nuovo!) Non è per niente scontato il potersi vedere. Non lo è nemmeno il volersi vedere.” (29 ottobre 2020)

Nel suo testamento del 1 giugno dirà: “Sto vivendo una intensità di vita impossibile, inimmaginabile. Mio babbo mi ha chiamato figlio fratello e padre. Mia mamma sta fiorendo come il suo giardino. Non sono mai stato così fratello dei miei fratelli. Non sono mai stato così innamorato. Hanno scritto canzoni per me, hanno scritto poesie. Ho ricevuto una proposta di matrimonio. Ho pianto tutte le mie lacrime per lo struggimento affettivo che provo per ciascuno di voi. Mi capita spesso di pensare a qualcuno di voi e piangere perché mi scoppia il cuore di bene, perché siete preziosi e vi preferisco. Tutto questo negli ultimi sei mesi. È quello che ho sempre desiderato”.

Man mano che il tempo passava c’era un ultimo desiderio che si faceva sempre più spazio nel suo cuore. Il 29 maggio scriveva Voglio scoprire Chi c’è dietro a questa Bellezza: sarebbe come ricevere cento rose rosse e non leggere il biglietto. Voglio conoscere, gustare e godere di Questo.”

Voleva vedere il Suo Volto, desiderava guardarLo negli occhi. Anche l’ultimo giorno al tavolo di chi pranzava in sua compagnia c’era champagne, volendone assaggiare un ultimo sorso anche lui insieme a noi. Il perché ce lo aveva comunicato la sera del suo compleanno: Io sto vivendo, e voi con me, un anticipo di Paradiso. Per cui quando tra poco non ci sarò più, saprete che non avrò smesso di festeggiare”.

Il 6 giugno Nicola, consapevole che il tempo si era fatto davvero breve, ha voluto invitare alcuni di noi al Sacramento dell’Estrema Unzione, come questa volta lui ha voluto chiamarla. E quando la sera stessa alle 20:15 ho ricevuto la telefonata da Davide, suo fratello, in cui mi diceva che Nicola era morto, io ho avuto un moto – perdonatemi, vi chiedo di non fraintendermi – ho avuto un moto di gioia e di gratitudine. Era il giorno della Solennità del Corpus Domini e Gesù aveva compiuto il desiderio di Nicola di essere tutto Suo, immedesimandolo nel Suo Corpo Eucaristico.

Vi confido che per l’intensità di amicizia che era accaduta inaspettatamente tra me e lui, il 2 giugno gli avevo scritto: “Senti Nicola, promettiamoci che, ovunque saremo, io e te continueremo a farci compagnia, anche fisicamente”. In quel Corpus Domini ho visto la risposta a quel mio e nostro desiderio e a quel bisogno di continuare la nostra amicizia dentro una fisicità, perché quando si ama si ha bisogno di fisicità. Nel Corpus Domini, Nicola, dalla sua prospettiva, quella del Cielo, continua a far compagnia a me e a tutti noi, e io, noi, dalla mia e nostra prospettiva, quella della terra, continuo e continuiamo a desiderare di far compagnia a lui e a tutti i nostri cari che hanno varcato la soglia dell’aldilà. E’ la certezza di un rapporto, misterioso ma reale, che in me permane, è così ho scoperto di più, esistenzialmente, quella che la Chiesa chiama la Comunione dei Santi.

Ogni volta che mi sorprendo per la vita che vivo, per il semplice fatto di esserci e quindi di essere voluta e amata, mi stupisco e godo di quello stesso Mistero in cui ora vive pienamente Nicola e tutte le persone care che abbiamo amato. Stiamo partecipando, noi qua e loro là, dello stesso Mistero di Dio, certamente con una intensità, chiarezza e profondità molto diverse, ma, insieme, tutti, partecipiamo dello stesso Mistero che ci ha chiamato all’essere nel tempo e per l’Eternità. Il problema quindi non è più quello di sforzarmi per non dimenticare Nicola, ma di lasciarmi sorprendere da Dio che si è fatto Corpus Domini.

In questo Pellegrinaggio domando per me e per tutti voi la Grazia di avere un cuore semplice, un cuore innamorato di Chi si è innamorato di me e di noi, e che ha reso i nostri desideri “anello nuziale” – come ci diceva qualche giorno fa un amico sacerdote – che ci lega a Sé per sempre, mendicando, dentro la realtà e in mille modi, il mio e nostro cuore. Ecco: io voglio essere insegnante per questo, voglio costruire il Meeting per l’Amicizia fra i popoli per questo, voglio vivere la mia quotidianità per questo.

Il 6 giugno al mattino, Nicola mi ha scritto quest’ultima cosa: Viviamo la nostra vocazione e siamo compagni, quindi amici” E io gli ho aggiunto “Per sempre!”.

Oggi, con lui, lo ripeto a voi e grazie per avermi invitato a partecipare a questo pellegrinaggio.

Dodi

La testimonianza di don Samuele

Domani saranno cinque mesi da quando sono uscito dall’ospedale dopo il ricovero per il Covid.

Le tre settimane precedenti ho vissuto la malattia del Covid in modo molto particolare e rischioso. Passando dalla febbre, al ricovero, al reparto sub-intensivo e all’incredibile recupero delle forze.

Sono uscito dal Covid ma il vero miracolo, quello che reputo tale per la mia anima e identità, era già accaduto prima che i medici alzassero le mani dichiarando ai miei “stanotte aspettatevi di tutto”.

La settimana dei sintomi mi ha visto chiuso in convento dai frati del Piratello dove alloggio da settembre, e a riguardarci adesso, è stata una grande Grazia. La loro compagnia, le preghiere, il sostegno e l’attenzione nei miei confronti (fino a svegliarsi di notte per verificare se ero ancora vivo) sono stati tanti particolari per non prendere sottogamba la realtà della malattia e non sentirmi solo.

Poi le cose peggiorano e a inizio mese di marzo mi faccio ricoverare in ospedale. Entro con le mie gambe. Man mano che avanzano le ore e i giorni perdo l’autonomia: non mi alzo più, non vado in bagno, il cibo faccio fatica a finirlo, dormo sempre di più e soprattutto non riesco a rispondere ai tantissimi sms che arrivano dove chiedo gentilmente di stoppare.

Ecco, questo, ritengo il vero miracolo! Il dono di non essermi sentito solo, e di ricevere tanta umanità che non pensavo. Ci vorrebbe un capitolo a parte sull’attenzione che è mi è stata dimostrata. Mi soffermo solo sul “mare di bene” ricevuto. Un mare che ha un nome molto preciso: misericordia di Dio! Alcuni sms erano una condivisione di ringraziamenti per la mia vicinanza. Alcuni sono stati proprio inaspettati e impossibili dal punto di vista umano: Era un Altro che mi prendeva per mano. Mi sono sentito perdonato, abbracciato, amato così come ero.

In quei sms alcuni miei errori diventavano invece la strada della Grazia di Dio. Mi dicevo: “Signore, sei arrivato anche lì, hai raddrizzato anche questa strada. Non c’è proprio nulla che scarti e non abbracci. Neanche me!”. Perché è sempre e solo una sovrabbondanza che non conosci quello che svela la tua identità.

Quello che stavo domandando e gridando in questo periodo della mia vita era di capire come ripartire o abbracciare il mio essere a servizio di Cristo. Non era in discussione la vocazione ma la creatività. Mi chiedevo se c’era una risposta. Le tante attenzioni alla mia persona, alla salute, alla situazione ospedaliera hanno allargato le mie domande e aperto nuovi orizzonti che non tenevo conto perché il peccato originale chiude sempre delle possibilità.

Naturalmente le risposte alle mie domande non sono arrivate perché sono stato coperto di piccoli o grandi racconti dove l’attenzione alla mia persona bastava. Bastava così. Basta così. Ci sono. Punto.

La realtà è già piena di Cristo. (Col 2,7) E Cristo mi sta abbracciando. Perché chiedere di più? Perché voler aggiungere un discorso alla realtà? Aggiungere un piacere effimero quando c’è quello eterno? Mi sono ritrovato appagato, abbracciato e vivo stando fermo in convento, o in reparto o dentro ad un casco. Sarebbe bello approfondire la creatività dei momenti di preghiera, e ringrazio tutti per l’aiuto di questo passo di fede. Solo Dio sa quanto queste preghiere hanno cambiato la situazione storica. Intanto hanno toccato me.

La creatività è un dono se permette di stare di fronte al reale. Non c’è aiuto più grande che accettare la sfida del presente: io in malattia e voi a casa, in famiglia, al lavoro e in altri ambiti. Alla fine il miracolo è stato vivere la normalità con quel gusto e leggerezza che avevo già sperimentato anni fa. I giorni della malattia e soprattutto dell’ospedale mi hanno fatto riscoprire e rivivere la sfida di fine anni ‘90, quella della mia vocazione: Dio che mi chiama personalmente. Ed io provo a rispondere. Evidentemente negli ultimi tempi mi comportavo come un ragazzino che risponde ai genitori mentre sta giocando alla PlayStation. C’ero ma non Lo guardavo negli occhi.

La parola più familiare al mio cuore in quei giorni mentre ero steso a letto era Destino. Come qualcosa di unico, vero e diretto a me. La mia vita non era inutile o di routine o appesa a dei macchinari: è attaccata a un Destino, sono fatto per un Destino.

Riscoprire il bene di Dio che mi viene incontro e il riaccendersi di un Destino per cui offrire tutto, è stato troppo liberante! È stato il massimo! Non potevo chiedere di più. Ero ri-arrivato al Paradiso in terra come ai tempi del seminario. Mentre racconto sembra qualcosa del passato invece è il presente. Con la stessa freschezza ma consapevolezza, ferite e chili in più. Ho pensato che stavo vaneggiando, che era effetto di una droga ospedaliera. Invece era la stessa cosa di quando avevo 20 anni ma aggiornata al Samuele di oggi. Come solo lo Spirito Santo sa fare. (Ap 21,5)

Poi c’è stato anche il recupero delle energie, i sorrisi, le chiamate con i volti cari: la famiglia, gli amici preti e gli “amici del sì”. La conclusione dell’anno catechistico con le Confessioni, Comunioni, le Rogazioni. Poi c’è stato il lento recupero fisico (la vera via crucis visto che desidero tutto subito), ci sono stati gli Europei vinti, e l’Olimpiade di Tokyo col doppio oro. Ma tutti questi eventi non li ritengo così importanti come i primi giorni di marzo di questo stupendo 2021.

Risentire la Sua Presenza così reale e concreta, più del mio corpo ammalato è il dono della vita cristiana più bello che posso augurarmi. Non so per voi, ma per me è così. Senza il Verbo incarnato, senza il Logos che ridesta il mio cuore, posso fare tutto ma non ho la stessa spinta e desiderio di donarmi. Io sono fatto così. Prima dei miei errori c’è questa umanità ridestata da Lui. (Fil 3,7-11)

Salto un capitolo molto bello della convalescenza: il rapporto con infermieri e dottori (anche la settimana scorsa mi è giunta un saluto da loro, toccati dal mio modo di fare l’ammalato).

Cosa mi ha aiutato a vivere questo? la Grazia di Dio, cioè l’aiuto di un Altro. È da chiedere sempre, come dice spesso il Papa soprattutto nel Motu Proprio sulla santità. (Esort. Apost. Gaudete et exsultate). Per questo è stato fondamentale imparare e seguire volti che ti aiutano a testimoniare il domandare, come se fosse la cosa più normale. Non so perché io ho ricevuto questa Grazia. So che una spinta a riconoscerla è stata la fedeltà agli strumenti della Chiesa (Papa, sacramenti, lodi/vespri), agli strumenti del movimento (Fraternità, SdC, gesti), ai volti cari. Essi sono una grande scuola. Non solo per poter ricevere qualcosa ma anche accorgersi, seguire e gioire di tali doni. Il dono della Sua e mia presenza.

Come leggere questo avvenimento? Come si è manifestato Dio in questa storia?

Ho avuto la conferma, invece, che Dio non si sottrae alla realtà e ti sta di fianco per poter vivere con intensità tutto l’istante di vita. Per scoprire più se stessi e più la realtà. Dopotutto ho bisogno di questo aiuto: la mia persona, fatta di domande, bisogni, limiti e ricerca di ragioni infinite, tutto questo può essere vissuto fino in fondo.

Sono cambiato da questa esperienza? Non tocca a me rispondere. Condivido due cose: noto che il dolore dei propri e altrui limiti è con meno giudizio e con più compassione. E questo lo genera solo la Presenza di Cristo. L’altro aspetto è la voglia di ricominciare a ridonarmi, come dicevo prima.

Mi piace un’espressione di Papa Francesco: noi siamo dei misericordiati. (Omelia 12 aprile 2021) Gente che ha riceve la misericordia di Dio! Sono cambiato? So solo che sono ricominciato nel letto dell’ospedale mentre mi mettevano mascherine e casco. Anche stamane. Sono un ricominciato. Ora.