Da più di un anno e mezzo quattro atleti del Sud Sudan – il più giovane stato al mondo, e uno dei più poveri – si allenano per le Olimpiadi e le Paralimpiadi a Maebashi, una città giapponese di 300mila abitanti, a circa due ore di macchina da Tokyo. I quattro erano arrivati nell’ottobre 2019 grazie a un programma di cooperazione tra il loro paese e il Giappone. Ci sono rimasti anche dopo che le Olimpiadi furono rinviate al 2021, grazie a una raccolta fondi che finanziò la loro permanenza. Maebashi iniziò a ospitare i quattro atleti grazie all’iniziativa di un ex membro dell’Agenzia di cooperazione internazionale del Giappone, che offre assistenza e supporto ai paesi in via di sviluppo. L’idea era di offrire stabilità e adeguate strutture di allenamento agli atleti e al loro allenatore e, al contempo, provare a sfruttare lo sport per contribuire ad allentare le tensioni in Sud Sudan, che nella sua breve storia ha già avuto una grave guerra civile in cui si stima siano morte almeno 400mila persone e che ha generato un numero di rifugiati che in Africa non si vedeva dai tempi del genocidio del Ruanda.

Sud Sudan: un giovane paese a cui lo sport può dare tanto

I quattro atleti sarebbero dovuti restare dal novembre 2019 fino all’agosto 2020. Quando a marzo le Olimpiadi di Tokyo 2020 furono ufficialmente rinviate, alcuni abitanti di Maebashi si attivarono però per prolungare la loro permanenza fino a questa estate, tra le altre cose per evitare che dovessero viaggiare dal Giappone verso il Sud Sudan nel mezzo di una pandemia. Come ha scritto Bloomberg, per la permanenza degli atleti fino all’estate del 2020 era stato previsto e ottenuto un budget di 20 milioni di yen, circa 150mila euro. Un budget che dopo il rinvio è salito fino a circa 30 milioni di yen, con la differenza (pari a circa 75mila euro) che è stata raggiunta perlopiù grazie a una raccolta fondi associata all’acquisto di prodotti tipici dell’area di Maebashi. Ma anche grazie all’interessamento di diverse aziende giapponesi: i quattro atleti sono così potuti restare a Maebashi, ricevendo prima le attenzioni dei media giapponesi e poi di quelli internazionali.

Grazie alla costanza dell’allenamento, in certi casi insieme ad atleti giapponesi, molti di loro hanno migliorato i rispettivi tempi, in più di un’occasione facendo segnare i nuovi record nazionali del loro giovane paese. “Prima che venissimo qui, la vita era molto dura. Il campo di allenamento distava 17 km da casa mia e recarmi lì era molto difficile. A volte mangiavo una volta al giorno o ogni due – ha raccontato uno di loro –. L’allenamento con gli studenti, invece, mi ha aiutato molto. Nelle lunghe distanze, tenere il passo da soli in allenamento non è semplice. Ma quando corri in gruppo è molto più facile”. E quando non si allenavano hanno partecipato in vari modi alla vita cittadina e, tra le altre cose, seguito lezioni di computer e di giapponese (queste ultime, ha scritto Bloomberg, sono però state ridotte dopo che gli atleti hanno fatto notare che non gli sarebbero servite granché in futuro). Alle Olimpiadi di Tokyo, oltre agli atleti sudanesi in gara con i colori del Sud Sudan ce ne saranno altri quattro che, in quanto rifugiati provenienti dal Sud Sudan, faranno parte della squadra olimpica dei rifugiati. E’ già previsto che dopo di loro arrivino a Maebashi, per sei mesi ciascuno, altri atleti sudsudanesi, in preparazione delle Olimpiadi del 2024 a Parigi.

Dopo il Kosovo, anche il Sud Sudan avrà strappato un applauso a Pierre De Coubertin.

Tiziano Conti