Il campo di Moria sull’isola di Lesbo, allestito nel 2013 al culmine della crisi migratoria, ha ospitato più di 10mila persone ed era il più grande campo profughi d’Europa prima di essere distrutto dalle fiamme, in due incendi consecutivi, l’8 e il 9 settembre 2020.

A giugno 2021 – riporta Avvenire – la situazione dei migranti intrappolati a Lesbo (oltre 6.300), soprattutto nel campo di Mavrouni ribattezzato Moria 2.0, resta disperata: migliaia di minori non vanno a scuola, spesso arrivano da soli e in molti casi vengono trattati come adulti perché passano mesi prima che venga accertata la loro reale età.

Da sette anni la casa famiglia è un punto di riferimento

Aprire la porta di casa ai volti segnati da anni trascorsi nel campo profughi di Moria. Una casa che non è una semplice tappa del percorso che, tra difficoltà, sofferenze e muri da valicare, dal Medio Oriente porta alla Grecia e poi all’Italia o chissà dove. Una casa che è una vera famiglia, una risposta concreta al dramma umanitario che ogni giorno si vive ai confini dell’Europa. È proprio in Grecia, Paese che più di ogni altro vive la complessità dei flussi migratori, che vive da sette anni Fabiola Bianchi, assieme al marito Filippo. Ad Atene hanno dato vita a una casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII.

«Siamo arrivati in Grecia con spirito missionario su invito della Comunità stessa – spiega -. La presenza di una casa famiglia dell’Apg23 è stata richiesta dalla Chiesa cattolica locale e per noi è stata una scelta di fede, non sapevamo a cosa saremmo andati incontro. Abbiamo costruito la nostra casa alla quale la gente ha cominciato a bussare e da allora le porte si aprono a chi chiede aiuto». Profughi in cerca di un futuro migliore, poveri, emarginati.

Nel tempo la casa famiglia diventa punto di riferimento e gestisce una sorta di banco alimentare e raccolta di abiti usati. Oggi è composta da dieci persone, ma gli spazi a disposizione consentono di ospitare, nello stesso immobile, anche altri tre nuclei familiari.

Non voltare le spalle a quello che succede ai confini dell’Europa

Un crocevia di culture che consente di avere uno sguardo senza filtri rispetto a quello che sta succedendo ai confini dell’Europa, troppo spesso ignorato. «Le persone che abbiamo accolto provengono in gran parte dall’Afghanistan, ma anche da Siria ed Eritrea. Possono restare anche diversi anni bloccati in campi profughi come quello di Moria».

Da profughi a senza tetto: è questo il destino che attende tanti migranti ad Atene dopo essere riusciti a lasciarsi alle spalle i campi. Le contraddizioni di un’Europa che non sembra volersi assumere le proprie responsabilità. «In Grecia c’è il paradosso per cui una volta ottenuto l’asilo la persona perde i contributi economici – spiega Bianchi – e così si ritrova a non avere nulla in un Paese straniero. Eppure tanti rimarrebbero in Grecia se potessero».

Molte le storie che si intrecciano all’interno della casa famiglia, come quello di un uomo con tre figli che ha perso la moglie a causa di un incendio divampato nel campo profughi di Moria. A episodi drammatici, la casa famiglia offre forti esperienze di condivisione. «Uno dei ricordi più belli è quando abbiamo festeggiato con una famiglia afghana la festa musulmana dello Id al-adha. Come regalo la mamma di questa famiglia mi ha donato un crocifisso e un velo. La casa famiglia ha questa bellezza: resti te stesso, conservi la tua fede e i tuoi valori, ma li condividi e vivi in una luce nuova».